di P. Fabio Roana ocd

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È il titolo, questo, di una canzone cantata da Giuni Russo al Festival di Sanremo del 2003 e che ha l’aria del «testamento musicale», pur risalendo in realtà a qualche anno prima (era stata scartata dalla giuria del Festival nel 1997), e comunque al tempo in cui la cantautrice aderisce «in maniera intima e appassionata alla spiritualità carmelitana», avvicinandosi a Teresa di Gesù (Moro perché non moro, Nada te turbe, Cercati in me), Giovanni della Croce (La sua figura), Teresa Benedetta della Croce (Il Carmelo di Echt) e alle carmelitane scalze di Milano (con cui registra La sposa).

Morirò d’amore, cantata durante la malattia che la condurrà alla morte tra il 13 e il 14 settembre del 2004, ci aiuta a ricordare la particolare amica del Carmelo che è Giuni Russo (nome d’arte di Giuseppa Romeo) nel quindicesimo anniversario da quella notte.

«È una canzone che non ho scritto per me; è stata scritta da tre donne: da me, da Maria Antonietta Sisini e dalla Magelli. È una poesia di amore, senza pretese, con una parola altissima. Quando una donna canta “Morirò d’amore, morirò per te”, questo è amore altissimo. Pensate che io la canti per un uomo, per una mamma, per un figlio; io invece la canto per l’amore alto che è questa parola: morirò d’amore morirò per te, in te». È l’altissima poesia senza pretese di qualcuna che nella sua fragilità ama l’Amore – è solo una suggestione? –, di qualcuna che ama la Parola dell’Amore, attratta da qualcosa che è «forte come la morte» (Ct 8,6). Un urlo che attraversa il cielo e si trasforma in canto… Un canto che s’intreccia alle parole di Lui che vincono, vincono anche il nostro tirarci indietro. Da una che ha nel proprio repertorio il teresiano «muero porque no muero» ci si può aspettare questa elevazione al divino.

Giuni Russo, sepolta secondo la sua volontà nel monastero delle care scalze di Milano, ci ricorda così come possono morire al Carmelo anime spose giunte all’unione d’amore con Dio o almeno come possono desiderare di morire anime che hanno imparato a conoscere e a gustare l’Amore:

«anche se la condizione della loro morte, in quanto alla parte naturale, è simile a quella delle altre, tuttavia nella causa e nel modo della morte c’è molta differenza. Perché, se le altre muoiono morte causata da malattia o da lunghezza di giorni, queste, anche se muoiono nella malattia o nel colmo dell’età, non è l’anima [che si separa dal corpo mortale] a strapparle, ma qualche impeto e incontro d’amore molto più elevato di quelli passati, e più potente ed efficace, dato che poté rompere la tela e portarsi via il gioiello dell’anima» (Fiamma viva d’amore B 1,30).

Così Giovanni della Croce. E Teresa di Gesù, che sa bene cosa significhi vivere morendo d’amore, ci spiega quanto pensa della morte un’anima gioiosamente “morta” nel matrimonio spirituale e la cui vita è ormai Cristo (cfr. Castello interiore VII 2,5; Fil 1,21 e Gal 2,20): «Nessun timore ha della morte, niente più di quello che avrebbe di un soave rapimento» (Castello interiore VII 3,7). E potremmo poi andare a vedere come sono morti altri santi innamorati, carmelitani e non solo, pur nel dramma della sofferenza. Cose da mistici lontani dalle nostre umili esperienze? Eppure la canzone che stiamo ascoltando ci parla di un Amore struggente che geme nel nostro cuore (cfr. Rm 8,22ss.).

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Le citazioni senza riferimenti vengono da Claudio Zonta S.I., Giuni Russo: una vita in musica, «La Civiltà Cattolica», 3-17 agosto 2013, pp. 283-295.