di F. Iacopo Iadarola ocd

Non ci sono parole ed è bene che non ce ne siano troppe per commentare la supplica in mondovisione di venerdì 27 marzo, in cui il Santo Padre ha fatto pregare e commuovere milioni di anime, facendo battere come mai forse prima d’ora quello che è il cuore del suo ministero e della sua ragion d’essere: confermare la nostra fede. Il vangelo scelto per la celebrazione è stato Mc 4,35-41: Gesù che sulla barca dei discepoli terrorizzati seda la tempesta.

E tutti noi ieri sera ci siamo sentiti fra costoro, nello scrosciare della pioggia, sulla barca di Pietro. Che ci ha ricordato che «questo è il momento non del giudizio di Dio, ma del nostro»: per comprendere una buona volta quanto siamo perduti senza di lui, per comprendere quanto l’umile vita degli anziani, dei badanti, dei commessi dei supermercati e degli infermieri scriva la storia più delle macrostrutture economiche, più di politiche globali inique che si sgretolano impotenti sotto i colpi di un invisibile virus. Infine, dopo un lungo adorante, assordante silenzio, nel momento culminante della benedizione urbi et orbi le campane della città eterna han suonato spiegate in perfetta armonia con le sirene delle autoambulanze. Intelligentis pauca.

Mistici e realisti

Miracolosamente appropriato è stato anche il commento televisivo della prima rete italiana, che pur dopo un abbrivio di eccessiva favella, ha saputo far cessare ogni voce per tutto il tempo dell’adorazione eucaristica (e ci chiediamo se in televisione sia mai andato in onda un silenzio così lungo in tale fascia oraria). A commento dell’evento, il presbitero Filippo Di Giacomo ha proferito parole sapienti, con sottolineature tutte carmelitane.

Una è stata la ripresa di un celebre «fioretto» di santa Teresa d’Avila, la santa mistica per eccellenza che ci preme particolarmente ricordare quest’oggi, 28 marzo 2020, in quanto è il suo 505° compleanno: «Teresa da sola non può nulla, con due ducati può qualcosa, con due ducati e Dio può tutto». Come ci ricorda T. Alvarez[1], è questa una leggenda molto antica, trasmessa dal popolo ma non per questo meno degna di attenzione. Sarebbe la risposta che Teresa avrebbe dato a qualcuno che le domandava come potesse, senza nemmeno una blanca, fondare così tanti monasteri. Risposta che ha stuzzicato generazioni di cristiani e che potremmo ben attualizzare in questi giorni, in cui «il mondo è in fiamme» proprio come ai tempi di Teresa, sostituendo al termine «ducato» quello di «mascherina» o «ventilatore polmonare» o «debito pubblico» (e visto che Mario Draghi al Financial Times ha parlato di «tragedia di proporzioni bibliche» potrebbe anche ricordare che nella Bibbia son contemplati i giubilei con annesse remissioni dei debiti...).

È un aneddoto che ci ricorda, in modo quanto mai attuale, che il vero mistico è il vero realista, e che il vero realista è il vero mistico. Perché un finto realista, quello che pensa soltanto alle cose concrete ovvero a Mammona, farà la fine sprovveduta ricordata dal Papa: «Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato».

Teresa e Giovanni Incarn. Avila 001

Dio parla nella notte

E mentre in Italia era il giorno più nero, con il numero maggiore di morti registrato dall’inizio dell’epidemia, s’è fatta subito sera. Quella di Quasimodo, quella del mondo, quella in definitiva di cui ci parla il Vangelo, come ci ha ricordato Francesco: «"Venuta la sera" (Mc 4,35): Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città». È a questo riguardo che il vaticanista della Rai ha fatto un altro bell’affondo carmelitano, citando san Giovanni della Croce a folle mediatiche che mai probabilmente avevano sentito enunciare, in maniera così concisa, quello che ogni essere umano intuisce come profondamente vero: «Dio parla nella notte». È l’adagio che riassume tutta la mistica e la spiritualità del nostro grande Dottore della Chiesa, e che ci sembra opportuno spiegare ora con le parole di Giovanni Paolo II: «Il Dottore mistico richiama oggi l’attenzione di molti credenti e non credenti per la descrizione che fa della notte oscura come esperienza tipicamente umana e cristiana […]. Mi riferisco a questo mondo specifico della sofferenza del quale ho parlato nella Esortazione Apostolica Salvifici doloris. Sofferenze fisiche, morali o spirituali, come la malattia, la piaga della fame, la guerra, l’ingiustizia, la solitudine, la mancanza del senso della vita, la stessa fragilità della esistenza umana, la coscienza dolorosa del peccato, la apparente assenza di Dio, sono per il credente una esperienza purificatrice che potrebbe chiamarsi notte oscura. A questa esperienza Giovanni della Croce ha dato il nome simbolico ed evocatore di notte oscura, con un riferimento esplicito alla luce e oscurità del mistero della fede. Senza pretendere di dare all’angustioso problema della sofferenza una risposta di ordine speculativo, alla luce della Scrittura e della esperienza, va scoprendo e scegliendo qualche cosa della meravigliosa trasformazione che Dio porta a compimento nella oscurità, poiché «sa saggiamente e bellamente far nascere il bene dal male». Si tratta, in definitiva, di vivere il mistero della morte e resurrezione in Cristo con tutta verità»[2].

Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto…

585d80c864505c56076fad93e7acf703 r

«Sa saggiamente e bellamente far nascere il bene dal male»: tramite quest’ultima citazione potentemente pasquale, tratta dal Cantico Spirituale[3], notiamo come lo stesso Francesco abbia riecheggiato san Giovanni della Croce, quando ha affermato ieri sera: «Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai». Inoltre, nel brano della lettera apostolica che abbiamo appena letto c’è un rimando alla Salvifici doloris. Questa splendida esortazione era stata citata proprio qualche giorno fa dal decreto della Penitenzieria Apostolica con cui sono state annunciate, per conto di Papa Francesco, le condizioni speciali per beneficiare delle indulgenze plenarie in questo tragico momento di pandemia: «La Chiesa, sull’esempio del suo Divino Maestro, ha avuto da sempre a cuore l’assistenza agli infermi. Come indicato da San Giovanni Paolo II, il valore della sofferenza umana è duplice: "È soprannaturale, perché si radica nel mistero divino della redenzione del mondo, ed è, altresì, profondamente umano, perché in esso l’uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione" (Lett. Ap. Salvifici doloris, 31). Anche Papa Francesco, in questi ultimi giorni, ha manifestato la sua paterna vicinanza e ha rinnovato l’invito a pregare incessantemente per gli ammalati di Coronavirus. Affinché tutti coloro che soffrono a causa del Covid-19, proprio nel mistero di questo patire possano riscoprire "la stessa sofferenza redentrice di Cristo" (ibid., 30), questa Penitenzieria Apostolica, ex auctoritate Summi Pontificis, confidando nella parola di Cristo Signore e considerando con spirito di fede l’epidemia attualmente in corso, da vivere in chiave di conversione personale, concede il dono delle Indulgenze a tenore del seguente dispositivo».

Ora, questo momento di preghiera straordinaria che abbiam vissuto rimarrà senz’altro nella storia. Ma non permettiamo che rimanga solo un momento arcano e affascinante. L’abbraccio benedicente al mondo del colonnato di San Pietro deve ora scandirsi per le nostre membra; i tesori di Pietro sono stati dischiusi e spalancati perché noi possiamo attingervi a piene mani le indulgenze, quelle sante indulgenze che sono un concretissimo, realistico e mistico aiuto che possiamo donare a noi stessi, per la nostra purificazione e conversione, e alle anime, che purtroppo in schiere troppo numerose si avviano in questi giorni per il cielo. Anime che, come ci riferisce la sublime poesia di Dante, ci stanno implorando: «Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto … ché qui per quei di là [noi] molto s’avanza» (Purgatorio III, 142-145). Non è fuori luogo ricordare che, con le nuove disposizioni concesse dal Santo Padre, in questo periodo possiamo ottenere un’indulgenza plenaria anche ogni giorno, con la semplice recita di un rosario, ad esempio, e col proposito di fare la comunione e la confessione appena sarà possibile[4]. Senza tralasciare alcuna possibilità materiale di fare del bene al nostro prossimo, di prenderci cura di lui, in questi tempi di forzato isolamento e di combattimento spirituale non sottovalutiamo dunque queste pratiche tradizionali, perché esse corrispondono appieno a ciò cui si riferiva ieri sera Francesco: «abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità».

E rievocando ancora la memoria della nostra santa madre Teresa, ricordiamo che ella impennò la sua vita di preghiera, rivoluzionando la propria vita e quella della  Chiesa, proprio partendo da queste pratiche: «Fermarmi alquanto sull'orazione dell'orto [del Getsemani] era l'esercizio che praticavo, da vari anni, quasi tutte le sere prima d'addormentarmi, quando mi raccomandavo a Dio, e ciò anche prima che divenissi monaca, perché mi avevano detto che si guadagnavano molte indulgenze. Sono convinta che con questo esercizio la mia anima si sia molto avvantaggiata, perché cominciavo a fare orazione senza neppur sapere cosa fosse» (Vita 9,4).

Note:

[1] T. Alvarez, Fioretti di Teresa di Gesù. Aneddoti, leggende, fatti e detti, Edizioni OCD, Roma 2018, 23.

[2] Giovanni Paolo II, lettera apostolica Maestro della fede, 14 dicembre 1990, Acta Apostolicae Sedis 83 (1991), 569-570.

[3] Edizione B, strofa XXVIII: «All’ombra di quel melo / a me fosti sposata / qui ti porsi la mano / e fosti riscattata / dove tua madre fu violata».

[4] Su internet, anche su canali ufficiali, c’è molta confusione e faciloneria al riguardo. Ricordiamo e puntualizziamo, facendo sintesi del recente decreto della Penitenzieria Apostolica e dell’Enchiridion Indulgentiarum nella sua ultima edizione (19994), che per ottenere l’indulgenza plenaria in questo periodo di emergenza le condizioni sono queste:

- Offerta di preghiera per la cessazione dell’epidemia (rosario, lettura della Sacra Scrittura per mezz’ora, visita al SS. Sacramento ecc. come indicato nel decreto; per gli ammalati di coronavirus, per coloro che sono in quarantena e per chi li assiste è sufficiente anche solo unirsi spiritualmente a queste preghiere, senza doverle compiere)
- Avere il proposito di fare la confessione, la comunione e una preghiera secondo le intenzioni del papa quando sarà possibile
- Avere disaffezione da ogni peccato, anche veniale (che non significa non averlo compiuto!).