di Iacopo Iadarola

 

paolo VI

Pubblichiamo l'allocuzione che Paolo VI tenne agli studenti del Collegio Internazionale Teresianum il 27 febbraio 1966, in occasione della visita alla parrocchia di S.Pancrazio attigua al Collegio. La preziosità del discorso, oltre che nel contenuto, risiede nel suo carattere inedito: non figura infatti fra i discorsi ufficiali del Pontefice, ma è stato trascritto esclusivamente negli atti del nostro Ordine (Acta Ordinis Carmelitarum Discalceatorum n.11 (1966), fasc.1-4, pp.3-7). 

 

Invitato a fare atto di presenza anche in questo Istituto, vengo molto volentieri — per conoscere intanto —, e sono lieto di vedere una casa di silenzio, di preghiera, di formazione, così nuova, così bella e anche così popolata. Vi lascio qui la mia benedizione, in modo par­ticolare. In questa forma le cose diventano più significative, espressive, e ne sono contento perché voglio che tutti sappiate quale sia la mia stima per la vostra famiglia religiosa e quale sia il desiderio di vederla fiorire e prosperare; quanto cuore io metta nel benedire il vostro Padre Generale — non è vero? — ringraziandolo di questa sua acco­glienza, il Rettore di questa casa, e poi tutti i Superiori che presie­dono alla grande famiglia dei Carmelitani Scalzi.

Una parola speciale a quelli che qui sono alunni: è per questi, in modo particolare, che questa visita ha ragione di essere.
E che cosa vi diremo? Le parole di S. Paolo: « videte vocationem vestram » [1 Cor 1,26]. Guardate di avere sempre migliore, sempre più inebriante cognizione della vocazione che vi ha messo questo abito, che vi ha aperto le porte di questa casa e che qui vi allena alla grande scuola mistica e apostolica del Carmelo.
È parola grave, sapete! Perché misurare che cosa significhi essere chiamati — oggi specialmente — in una famiglia religiosa così esi­gente come la vostra, così piena di contenuto e d'impegno, così ardita come la vostra che pretende alla vita contemplativa, al colloquio con Dio: prendere coscienza, dico, di questa chiamata, di questa scelta vostra, può quasi intimorire il vostro spirito, sgomentarlo!
Tutte le volte — e me lo insegnate — che ci avviciniamo alle realtà di Dio, restiamo intimiditi e quasi depressi: « Domine non sum dignus » [Mat. 8,8]. La vicinanza di Dio ha nelle nostre anime questa avvertenza « exi a me, quia homo peccalor sum » [Lc. 5,8] : allontanati perché non sono degno... non sono degno... sono polvere e peccatore: va via, Signore, da me perché... perché sei vicino!...E può darsi che questa impressione della incombenza di Dio sulle vostre anime, sui vostri destini, dia a voi questo timore di non essere capaci, di non essere degni, di avere altre attitudini, altre aspi­razioni, etc.
Meditate bene, meditate bene!
Ma se il Signore in fondo al cuore, con l'autentica prova della voce di chi vi dirige, vi assiste, vi dice: « vieni, figlio! », non ab­biate timore, non abbiate timore!...
Il Signore è così che elegge. Elegge la gente umile, elegge i figli poveri, elegge coloro in cui vuol far rifulgere, non la bravura del­l'uomo, ma la sua misericordia e la sua soverchiante causalità.
E vorrei davvero, proprio guardando i panorami della Chiesa e i suoi bisogni più espressivi, guardando al bel Concilio che abbiamo chiuso poco fa, [chiedermi]: di che cosa ha bisogno la Chiesa?
Semplifichiamo tutto, ma siamo sicuri di non fallire: ha bisogno di voi! Ha bisogno di chi prega; ha bisogno di chi sta sospeso sul monte, per essere davvero folgorato dalla luce della parola di Dio e che da questa folgorazione manda luce e grazia poi su tutto il corpo della Chiesa.
Ha bisogno ancora oggi di vita contemplativa. Ha bisogno di chi ascolta le lezioni sublimi, gravi e difficili, di S. Teresa e di S. Gio­vanni della Croce. Ha bisogno di chi abbia l'audacia di una scelta così unica e, si direbbe, così « innaturale » come la vostra. Ha bisogno dell'eroismo spirituale che diventa vostra professione. Ha bisogno di anime che si lasciano assorbire totalmente dal colloquio e dalla immi­nenza di Dio.
E sia detto questo senza che ne venga scapito a un altro invito che dalla Chiesa vi viene.
La Chiesa vi dice « pregate » ; ma oggi — sembra quasi che si contraddica, ma si completa — aggiunge « pregate e lavorate ».
Padre Generale! Quanti furti che noi facciamo alla tranquillità delle sue case, dei suoi monasteri, dove sono le parrocchie! Eccone una qua [indica la parrocchia di S.Pancrazio]. Dica a questi bravi contemplativi che sono i più adatti a fare anche i figli attivi della Chiesa, e che quanto più hanno conosciuto Dio, tanto più sentiranno traboccare nel cuore la carità, e la carità verso i fratelli, verso quelli che sono desolati e che non hanno assi­stenza religiosa e non hanno chi li guidi sulla via della grazia e della verità.E se qualcuno di voi — sempre auspice il vostro superiore — è chiamato anche, diciamo a « distrarsi » nella vita attiva, non creda che questo offenda la grande vocazione, direi esclusiva, a cui desti­nate la vostra vita: la integra! Le dà l'esperienza del « dare ciò che è ricevuto », che è molto più perfetto che non il ricevere solo.E vorrei dire di più, per l'esperienza pastorale che abbiamo avuto anche accostando famiglie religiose impegnate nell'azione parrocchiale e pastorale: non solo non vi sarà distrazione! Vi sarà rifornimento, vi sarà ricchezza, vi sarà spinta; riempirà le vostre anime di una sete maggiore di parlare con Dio, quanto più avrete visto la desolazione e il bisogno delle anime che stanno nella nostra società. E saprete allora dare alla vostra vita quella formula completa che fu quella di Gesù Cristo, che fu adoratore del Padre e servitore e maestro dei fratelli. E in questa bella composizione che sembra essere la vocazione della Chiesa in questo momento, troverete la pienezza, troverete la gioia di vestire la vostra divisa carmelitana, troverete Santa Teresa che dirà: «va bene così», e troverete la garanzia migliore della ricompensa di Dio e della nostra benedizione.