di P. Giuseppe Furioni ocd

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Teresa di Gesù Bambino (1873-1897) ricorda quando pregava il rosario, quasi giocando, con la cuginetta Maria: «I due eremiti recitavano insieme il rosario, servendosi delle dita in modo da non mostrare la loro devozione al pubblico indiscreto». Intorno agli undici anni si iscrive alla confraternita del rosario; nel 1886, come «Figlia di Maria», se lo impone quotidianamente – lo ricorda la sorella Celina – e da carmelitana ne diventa solerte propagandista.

Ella racconta che nella visita alla Santa Casa a Loreto pose la sua corona nella scodellina di Gesù Bambino. E sempre durante il pellegrinaggio italiano, è ancora Teresa che fa passare attraverso le grate dell’urna di santa Maria Maddalena de’ Pazzi le corone dei compagni di viaggio perché possano toccare il corpo della santa fiorentina. Dove lo avesse imparato lo si capisce da questa lettera della sorella Maria che descrive l’agonia della mamma: «Non lascia mai il suo rosario, prega sempre malgrado le sue sofferenze, ne siamo tutti ammirati, perché ha un coraggio e un’energia che non ha l’eguale. Quindici giorni or sono diceva ancora il suo rosario tutto intero in ginocchio ai piedi della Santa Vergine della mia camera, che lei ama tanto».

Ma è la mamma stessa che, nelle sue lettere, descrive in che ambiente matura questa devozione mariana, anche se non da tutti condivisa. Come quando il marito e i compagni di viaggio tornano da Lourdes con al collo dei rosari dai grani grossi come castagne e sono presi a male parole dalla gente. La corona rientra anche fra i possibili regali di Natale:«Quanto a Leonia – scrive alla cognata Celina –, non posso chiederle giocattoli, non si diverte più, lavora. Può regalarle un rosario per la sua prima Comunione», e sempre Zelia conferma la soddisfazione della figlia per il bellissimo rosario ricevuto. Gioia che viene anche dal comportamento della figlia maggiore:«Maria […]; è molto devota e non passa un sol giorno senza dire il suo rosario».

Si capisce allora perché suor Maria Dositea così scriva a Zelia:«Quanto a quello che voi mi raccontate, mia beneamata sorella, che voi avete il mio Rosario, ne sono ben contenta, io penso che ogni volta che voi lo direte, non vi dimenticherete di me nelle vostre ferventi preghiere». E quando, dopo la morte della sorella visitandina (il 24 febbraio 1877), la sposa di Luigi riceverà un pacchetto contenente i suoi oggetti di pietà, per sé vorrà tenere solo il rosario, «per servirmene quando sarò seriamente malata». Ma, ahimè, è destino che quella corona vada perduta di lì a pochi mesi. Accade a Lourdes, dove Zelia si è recata dietro insistenza del marito e delle figlie. Fu quello un viaggio tribolato per Zelia («Mi ricorderò per molto tempo di questo viaggio a causa dei disagi e delle fatiche che mi ha procurato»), e mancava solo che fosse smarrito non solo il rosario ricevuto suor Maria Dositea, ma anche quello di Paolina, non meno ricco di ricordi:«Ho perduto il rosario di nostra sorella che avevo voluto portare con me, sperando che mi portasse bene. Avevo però una così gran paura di perderlo che non l’ho lasciato un minuto, lo tenevo costantemente intrecciato fra le dita. Dico, nemmeno un minuto, ma, ahimè, sono stata ad acquistare delle provviste e l’ho dato in custodia a Maria; quando siamo rientrate, il rosario non c’era più. Questo mi ha molto addolorata, era la sola reliquia che avevo di mia sorella e quella a cui tenevo di più. Paolina ha pure perduto il suo al quale erano attaccate due medaglie di sua zia. Ha pianto il suo povero rosario; io non ho pianto il mio, ma me ne è rimasta una pena in fondo al cuore. Alla fine, è una cosa permessa dal buon Dio, una prova di cui mi ricompenserà».

Ma il gusto della preghiera sopravvive alla mamma. Teresa, nel maggio 1885, è in vacanza con gli zii a Deuville e zia Celina scrive alla nipote Maria: «Al mattino siamo stati alla messa solenne a Trouville e nel pomeriggio siamo andate ai Vespri al Buon Soccorso. Lì ho sentito meditare il rosario, come mai prima l’avevo inteso. Il parroco parla bene e io ho ammirato molto questo modo di recitare il rosario». Due anni più tardi, la cugina Maria, scrivendo a Teresa in viaggio verso Roma, conferma: «Da parte mia, io ti assicuro, mia cara piccola Teresa, che non ti dimentico, io prego per te, fino a rompere l’inginocchiatoio; questa sera sono stata alla mia mezz’ora di adorazione diurna e ho recitato un intero rosario per la mia cara sorellina».

Anche nel Carmelo, intitolato alla Vergine Immacolata, il rosario viene recitato, per lo più alla sera. Lo conferma l’album fotografico composto da Teresa e madre Agnese sulla vita di una postulante di Lisieux di fine secolo XIX. In posa è la cugina di Teresa, Maria Guérin. In versi si dice: «Ogni travaglio abbandono nel tempo della libertà. Solo quando il giorno declina recito il mio Rosario». E lo documentano anche le lettere circolari sulle monache defunte che, dai Carmeli di Francia, giungono a Lisieux. È un refrain il riferimento al culto della corona e la cura per la preghiera mariana più popolare nel breve profilo biografico proposto agli altri monasteri.

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E anche Teresa lo pregava quotidianamente, ricorda suor Maria degli Angeli, insieme al Memorare. Per questo sorprende quando negli ultimi giorni di vita confessa che questa pratica le fu assai faticosa. E, preoccupata che questo sentimento fosse interpretato come disprezzo degli abituali esercizi di pietà in favore di una certa spontaneità e individualismo, spiegava: «Al contrario, amo tanto le preghiere comuni, perché Gesù ha promesso di essere presente in mezzo a coloro che si riuniscono nel suo nome: allora sento che il fervore delle sorelle supplisce al mio, ma da sola (ho vergogna a confessarlo) la recita del rosario mi costa più che mettermi uno strumento di penitenza!… Mi accorgo che lo dico così male! Per quanto mi sforzi di meditarne i misteri, non riesco a fissare l’attenzione…» (Ms C, 25v°). Probabilmente era il tono ripetitivo che mal si adattava al temperamento di Teresa, soprattutto se la recita era comune e veloce. E, infatti, qualche riga più sotto, continuava: «A volte, quando il mio spirito è in un’aridità così grande che mi è impossibile ricavarne un pensiero per unirmi al Buon Dio, recito molto lentamente un “Padre Nostro” e poi il saluto angelico: allora queste preghiere mi rapiscono, nutrono la mia anima ben più che se le recitassi precipitosamente un centinaio di volte…». Comunque, nonostante le precisazioni e le sfumature di Teresa, il testo dovette risultare quanto meno sconcertante, se la sorella Paolina (Sr. Agnese) decise di ometterlo dalle prime edizioni della Storia di un’anima.

Chiara è la convinzione di Teresa: «Per molto tempo mi sono afflitta per questa mancanza di devozione che mi stupiva, perché amo così tanto la Madonna che mi dovrebbe essere facile fare in suo nome delle preghiere che le sono gradite. Adesso mi affliggo di meno: penso che, poiché la Regina dei Cieli è mia Madre, vede la mia buona volontà e se ne accontenta» (Ultimi colloqui, 20 agosto). Costante nella vita di questa religiosa è la ricerca non di particolari gratificazioni, ma semplicemente di «far piacere» a Gesù, e a Maria. E il rosario, in quanto preghiera «gradita alla Vergine», andava recitato, anche se richiedeva fatica, nella certezza che la Vergine guarda solo all’amore dei nostri gesti, non alle imperfezioni che li accompagnano. E con il rosario nelle mani, insieme al Crocifisso, Teresa venne sepolta.