di P. Giuseppe Furioni ocd

canonizacion

Teresa d’Avila è stata elevata alla santità il 12 marzo 1622 insieme a quattro uomini: gli spagnoli Isidoro di Madrid, detto l’Agricoltore, Ignazio di Loyola e Francesco Saverio e l’italiano Filippo Neri. Dunque, una canonizzazione multipla – la prima volta nella storia della Chiesa moderna –, l’unica del breve pontificato di Gregorio XV (1621-1623). Un evento tanto solenne che qualche storico la definisce «rappresentazione del trionfo della Controriforma cattolica».

È inoltre di non poco conto che la bolla di canonizzazione della Santa spagnola sia stata redatta lo stesso giorno della cerimonia, il 12 marzo; quelle di Ignazio, Francesco Saverio e Filippo Neri, dal titolo Ratione conguit, saranno promulgate ad opera di Urbano VIII un anno e mezzo dopo, il 6 agosto 1623; quella di Isidoro – ancora con il titolo Ratione congruit –, addirittura più di un secolo dopo, da papa Benedetto XIII, il 4 giugno 1724.

Forte tensione missionaria

La decisione della molteplice canonizzazione e la sua data dipese da una complessa azione diplomatica che vide in azione soprattutto i sovrani di Spagna, Filippo III, e di Francia, Luigi XIII. Anche i carmelitani non rimasero con le mani in mano: una parola autorevole presso la Santa Sede l’aveva in quel tempo padre Domenico di Gesù Maria. Nel 1621 proprio lui era stato l’animatore della battaglia della Montagna Bianca, presso Praga, in quel momento simbolo della riconquista cattolica dei territori protestanti. E proprio il tema politico-religioso è sotteso a molte espressioni della bolla di canonizzazione di Teresa di Gesù, Omnipotens sermo Dei (scarica qui il testo della bolla tradotto in italiano dal latino).

Non bisogna peraltro dimenticare poi che proprio Gregorio XV fu il fondatore della Congregazione de Propaganda Fide (oggi Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli) con la bolla Inscrutabili Divinae Providentiae del 22 giugno 1622. In quest’iniziativa missionaria si erano distinti in vario modo diversi carmelitani: il venerabile Giovanni di Gesù Maria, padre Pietro della Madre di Dio e soprattutto padre Tommaso di Gesù. Incaricata della diffusione della fede, nacque come organismo che soprintendeva a tutta l’attività missionaria della Chiesa, sottraendola alle iniziative non sempre in buona fede dei cosiddetti sovrani cattolici.

Padre Giovanni di Gesù Maria, ancora lui protagonista di questa significativa stagione, scriverà che nessuno può dubitare che «il suo intento [di Teresa] era stato quello di attuare per mezzo degli Scalzi suoi figli quello che non le era stato possibile attuare per mezzo delle sue figlie» (Assertio missionum 2,7).

Quanto alla bolla, essa segue uno schema abbastanza usuale in quel tempo: una prima sessione, in cui si spiegano le ragioni per cui Dio l’ha proposta al mondo; segue poi una presentazione della vita, delle virtù e della morte; quindi sono elencati alcuni miracoli compiuti in vita e dopo la morte; per concludere con il decreto che riconosce l’universalità del culto.

Missionaria è la parola di Dio

L’inizio solenne – Omnipotens sermo Dei – richiama l’espressione di Sap18,14-15: «Cum enim quietum silentium contineret omnia, et nox in suo cursu medium iter haberet, omnipotens sermo tuus de cælo, a regalibus sedibus durus debellator in mediam exterminii terram prosilivit» («Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio»). Qui sono ripresi i termini caratteristici della liturgia della notte di Natale, quando Gesù nasce nel cuore stesso delle tenebre umane. E santa Teresa usa un bellissimo paragone per descrivere il mistero della presenza divina nel cuore del giusto: «Nulla di più meraviglioso che vedere colui, che può riempire della sua grandezza mille e più mondi, rinchiudersi in una cosa tanto piccola [l’anima del fedele]! Come gli piacque rinchiudersi nel seno della sua santissima Madre» (Cammino di perfezione, ed. Escorial, 48,3)

Ma la Bolla allude soprattutto alla dimensione battagliera con la quale questa parola s’impegna contro i nemici di Israele prima e ora della stessa Chiesa. Dio Padre, infatti, «ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1,13). Terminata la sua missione sulla terra, ha scelto per confondere i sapienti di questo mondo poveri ed umili. E tale attitudine volle fosse presente anche nelle generazioni successive.

Anche santa Teresa si colloca in questa prospettiva: «In diebus vero nostris fecit salutem magnam in manu foeminae» («Ai nostri giorni ha operato una grande vittoria per mano di una donna»). Il molteplice richiamo biblico è tutto riferito alla lotta vittoriosa di Davide contro i Filistei, i nemici del popolo eletto per antonomasia (1Sam 19,5; 2Sam 23,10.12; 1Cr 11,14).

In questo passaggio si sottolineano le virtù della verginità, dell’umiltà, della lotta contro il maligno e altre importanti virtù (maximisque virtutibus), ma soprattutto ad essere posta in evidenza è la condizione femminile: virtutem sexus animi magnitudine supergressa, paragonando la monaca castigliana alla figura biblica di Debora.

Conosciamo la storia di Debora (Gdc 4-5), l’unico giudice donna che combatte non solo i nemici di Israele, ma anche la pavidità dei suoi connazionali. E Debora nel corso della storia cristiana è divenuta il simbolo del massimo a cui si può concedere a una donna nella vita della Chiesa. Per esempio, ne parla san Tommaso quando deve spiegare perché alle donne non sia possibile concedere il sacramento dell’ordine; oppure quando si discute se Maria possa esercitare l’ufficio di avvocata presso il Figlio suo.

Teresa missionaria e contemplativa

Quanto a Teresa, la prima delle qualità evidenziate è il coraggio con cui lotta per la legge di Dio e i suoi comandamenti. Effettivamente, Teresa è stata per così dire arruolata da Dio sul campo di battaglia della riforma cattolica, dal momento che ella riforma un ordine religioso con l’esplicita intenzione di servire meglio la Chiesa. La stretta clausura per le monache e l’azione apostolica dei frati è da lei pensata proprio in funzione dell’opera di reconquista della Chiesa. Nelle sue opere risulta chiaro che la dimensione penitenziale ascetica orante della clausura deve andare proprio in questa direzione.

E qui si possono citare diverse testimonianze della stessa Teresa. «Da questa visione [quella dell’inferno] mi derivò un grandissimo rincrescimento al pensiero che molte anime si dannano, specie quelle dei luterani che per il battesimo  erano già membri della Chiesa: insieme ad esso sentii accendersi in me la brama incalzante di prodigarmi per la redenzione delle anime…» (Vita 32,6).

Nel Cammino di perfezione, per giustificare l’austerità del monastero di San Giuseppe in Avila, da lei appena fondato, scrive: «In quel tempo vennero a mia conoscenza i danni di Francia e la rovina provocata da questi luterani e di quanto forte fosse l’incremento di questa malaugurata setta. Mi diede gran pena e, come se io potessi fare qualcosa o fossi qualcosa, mi misi a piangere lamentandomi con il Signore e supplicandolo di rimediare a tanto male. Mi sembra che allora avrei dato mille vite pur di salvarne una sola fra le molte che andavano perdute» (Cammino di perfezione 1,2).

Ed è ancora il motivo per il quale decide di dilatare la riforma fondando altri monasteri: «Dopo quattro anni, o poco più [dalla fondazione di San Giuseppe], venne a trovarmi un religioso francescano, gran servo di Dio, chiamato fr. Alfonso Maldonado, che aveva i miei stessi desideri per la salute delle anime, ma del quale io avevo grande invidia perché li poteva mettere in pratica. Era tornato da poco dalle Indie, e cominciò a raccontarmi dei molti milioni di anime che laggiù si perdevano per mancanza d’istruzione religiosa. Ci tenne una predica con una esortazione per animarci alla penitenza, e se ne andò. Io rimasi così afflitta per la perdita di tante anime che, non sapendomi più contenere, mi ritirai tutta in lacrime in un romitorio, e là innalzando la mia voce al Signore, lo supplicai di fornirmi di qualche mezzo per contribuire a guadagnarne qualcuna al suo servizio, poiché tante gliene rapiva il demonio, e di darmi la possibilità di far un po’ di bene con la preghiera, posto che non sapevo far altro» (Fondazioni, 1,7).

E dopo aver descritto le profanazioni riservate al santissimo Sacramento e supplicato il Signore di avere pietà di tante anime che si perdono e di soccorrere la sua Chiesa, conclude: «Il giorno in cui le vostre orazioni, le vostre aspirazioni, le vostre discipline e i vostri digiuni non mirassero all’obiettivo che ho descritto, sappiate che non raggiungereste né attuereste il fine per cui state qui raccolte. Il Signore… non permetta che questo si cancelli mai dalla vostra memoria» (Cammino, ed. Escorial, 4,4).

Pioggia di celeste sapienza

Teresa era consapevole dell’incapacità delle potenze mondane di circoscrivere i mali compiuti contro la Chiesa: «Le forze umane sono impotenti ad isolare [un tale incendio] sebbene si sia cercato di arruolare truppe nel tentativo di arginare con la forza delle armi una calamità così immane e in fase di continua espansione. […] Come ho già ribadito, chi ci deve difendere è il braccio ecclesiastico, non quello secolare» (Cammino, ed. Escorial, 3,1.2). E proprio per questo ritenne la sua opera indispensabile al bene della Chiesa.

Ma la bolla non dimentica quei singolari doni di grazia che le apriranno la strada al riconoscimento del dottorato: «[Il Signore] la colmò infatti di uno spirito d’intelligenza che non solamente lasciò alla Chiesa di Dio esempi di buone opere, ma la irrigò di una pioggia di celeste sapienza, avendo scritto libri di teologia mistica e altri ricolmi di grande devozione, dai quali le menti dei fedeli ricavano frutti abbondanti, e sono sommamente stimolati a desiderare la patria celeste».