di P. Giuseppe Furioni ocd

«Anno 1873, venerdì 3 gennaio, ore 10 del mattino. Davanti a noi, Germain Victor Chambry, cavaliere della legione d’onore, vicesindaco della città di Alençon, officiale delegato dello stato civile, è comparso il signor Luigi Martin, di 49 anni, produttore del “punto di Alençon”, abitante in questa città, in via San Biagio 36.

Si è presentato per riconoscere un figlio di sesso femminile di lui dichiarante e della signora Zelia Maria Guérin, sua moglie, di 41 anni, anch’essa produttrice del “punto di Alençon”, con lui convivente (sposata il 12 luglio 1858 in questo municipio), nato ieri al suo domicilio alle 11.30 di sera; e a questa bambina ha dato i nomi di Maria Francesca Teresa; detta dichiarazione è stata fatta alla presenza del signor René Jean Gautier, di 53 anni, e di Eugène Mathurin Lequinio, di 35 anni, entrambi impiegati in questo municipio, domiciliati in questa città. [...] Abbiamo preso atto che il padre e i testimoni hanno firmato con noi dopo la lettura».

È questo l’annuncio ufficiale della nascita di Teresa Martin, custodito nell’anagrafe di Alençon.

Sul piano familiare, è la mamma stessa a darne notizia al fratello Isidoro e alla cognata Celina, che vivevano a Lisieux: «La mia figlioletta è nata ieri, giovedì, alle undici e mezzo di sera. È molto forte e sana. Mi dicono che pesa otto libbre, anche se facciamo sei, non c’è male: pare molto graziosa. Sono contentissima, tuttavia al primo momento sono rimasta sorpresa perché aspettavo di avere un maschio. Mi ero immaginata questo da due mesi, perché la sentivo molto più forte che gli altri miei bambini. Non ho sofferto molto che per una mezz’ora; quello che ho sentito prima non è da contare. Sarà battezzata domani, sabato: non mancherete che tutti voi per rendere la festa completa. Maria sarà la madrina, con un maschietto press’a poco della sua età come padrino» (Lettera, 3 gennaio 1873).

Pare molto graziosa

Due giorni dopo la nascita, la piccolina riceve il battesimo nella parrocchia di Notre-Dame di Alençon, come recita l’atto di battesimo: «Sabato 4 gennaio 1873, dal sottoscritto Vicario è stata battezzata Maria Francesca Teresa, nata il 2 gennaio dal matrimonio legittimo di Ludovico Giuseppe Luigi Stanislao Martin e di Zelia Maria Guérin, entrambi di questa parrocchia (via San Biagio 36). Il padrino è Paul Albert Boul e la madrina Maria Luisa Martin, sorella della bambina, che hanno firmato con noi e il padre della bambina».

Il battesimo è amministrato da Louis Dumaine, vicario parrocchiale di Notre-Dame dal 1868 al 1876, e più tardi vicario generale di Séez e testimone al processo di beatificazione di suor Teresa. Quanto al padrino, Paul Albert Boul, è il figlio di un amico di Luigi, nato il 29 novembre 1863 e abitante in via dei Tisons 149. Morirà il 17 settembre 1883, all’età di diciannove anni.

La figlia che viene ad allietare il focolare dei Martin è la nona creatura messa al mondo da Zelia, ma è la quinta a sopravvivere ai primi anni dell’infanzia.

La prima menzione dell’arrivo di una nuova creatura in casa Martin si ritrova in una lettera che Zelia scrive ai Guérin di Lisieux il 21 luglio 1872. Ella è incinta da quattro mesi e sta per compiere 41 anni, mentre il marito ha compiuto cinquant’anni: «Bisogna che vi partecipi un evento che si verificherà probabilmente alla fine dell’anno, ma questo per il momento interessa solo me e non se ne rallegra nessun altro. Tuttavia me ne rallegrerei se sapessi di poter allevare la creaturina che sta per venire a stabilirsi nel nostro focolare, questa non se ne partirà finché io e lei saremo in vita. Io sto meglio dell’ultima volta, ho buon appetito e non ho mai la febbre. Spero che questo bambino verrà su bene, le disgrazie non bussano sempre alla medesima porta, insomma, sia fatta la volontà di Dio!».

Amo i bambini alla follia

Due mesi più tardi, ella pensa già al battesimo della «piccola Teresa», che deve occupare il posto e il nome di quella morta l’8 ottobre 1870, Maria Melania Teresa. E dunque sembra persuasa di attendere ancora una femminuccia: «Prego mio fratello di non dimenticarsi, lui, dei due chilogrammi di confetti fini che mi occorrono per il Battesimo della “piccola Teresa”. Mi manderà per la stessa occasione, cinquanta libbre di cioccolato e della tapioca in piccola quantità. Metta tutto questo in una cesta, gliela restituirò con dentro un’oca, quando sarà il tempo. Penso già alla fine dell’anno, a motivo della creatura che verrà per mia strenna. Come l’alleverò? Ho degli incubi tutte le notti. Infine bisogna sperare che me la caverò meglio di quanto creda e che non avrò il dolore di perderla». Così scrive alla cognata Celina il 29 settembre 1872.

La nascita si avvicina, e si pone di nuovo la questione di una nutrice, non senza angoscia. Il 15 dicembre scrive di nuovo alla cognata: «Ora attendo tutti i giorni il mio angioletto e sono molto confusa perché non ho ancora trovato una balia. Ne ho viste parecchie, ma non convenivano che molto imperfettamente e mio marito non ha mai potuto risolversi a prenderne una. Non è per il prezzo, è perché temiamo d’introdurre in casa nostra delle persone poco adatte, come sono oggi in generale tutte le balie. Quanto a prendere una seconda cameriera, che mi darebbe dell’impiccio e non curerebbe il mio bambino come vorrei, preferisco stare tranquilla. Se il buon Dio mi facesse la grazia di poterlo allattare, non sarebbe che un piacere allevarlo. Io amo i bambini alla follia, ero nata per averne, ma ben presto sarà il tempo che anche questo finisca. Avrò quarantun’anni il 23 di questo mese, è l’età in cui si è nonna! Probabilmente non le scriverò prima della nascita del mio piccino, spero che sia verso Natale e conto essere io stessa ad annunciarglielo».

Mi cantava in seno

Nessuno può descrivere meglio i primi giorni della «piccola Teresa» quanto sua madre, per la quale l’angoscia si è mutata in gioia: «...ora sono del tutto ristabilita, anche la piccina sta bene e promette di essere molto robusta, solo che non oso contarci perché ho sempre paura dell’enterite. Avevo cominciato ad allattarla e temendo che non bastasse, ho voluto farmi aiutare dal poppatoio. È andato benissimo fino a domenica, ma il famoso poppatoio ha rovinato tutto: è stato impossibile farla attaccare al seno. Ho impiegato tutti i mezzi, l’ho lasciata digiunare, ma ha strillato da fare pietà e sono stata costretta a cedere. Beve perfettamente. Le dò dell’acqua panata con metà latte, questo è tutto il suo nutrimento e sono decisa a non darle altro per tre o quattro mesi. Quando tenterò di farla mangiare, pregherò lei di dirmi quale nutrimento dava alle sue figliolette per cominciare. La piccina non è difficile durante il giorno, ma la notte ci fa spesso pagare cara la sua buona giornata. Ieri sera l’ho tenuta in braccio fino alle undici e mezzo e non ne potevo più dalla stanchezza; dopo, fortunatamente, non ha fatto che dormire. Questa bambina si chiama Teresa come l’ultima mia piccina; tutti mi dicono che è bella. Sorride di già. Me ne sono accorta per la prima volta martedì. Ho creduto di sbagliare, ma ieri il dubbio non era più possibile: mi ha guardata molto attentamente, poi mi ha fatto un sorriso delizioso. Quando la portavo in seno, ho notato una cosa che non è mai accaduta per gli altri miei figli: quando cantavo, lei cantava con me... Lo confido a lei; nessuno ci potrebbe credere».

Qualche giorno dopo la nascita, un giovane suona alla porta di casa e consegna a Luigi un foglio che reca questi versi: «Sorridi e cresci rapidamente; alla felicità tutto t’invita: tenero amore, tenera cura... sì, sorridi all’aurora, bocciolo appena schiuso, tu sarai un giorno una rosa!».

Questo messaggio di benvenuto proviene da una coppia di nobili caduti in miseria insieme ai loro figli. Incontrati sotto il portico della prefettura, Zelia li aveva fatti entrare in casa, aveva loro offerto un luogo coperto, e Luigi aveva cercato un lavoro per il padre. La poesia esprimeva la riconoscenza di quella famiglia e presagiva per la piccola un glorioso destino.