di P. Giuseppe Furioni ocd

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L’evento drammatico suscitato dal coronavirus in Cina con tutte le conseguenze a livello mondiale contribuisce a portare l’attenzione a un analogo evento che coinvolse l’Europa centotrent’anni fa e, forse, anche la stessa Teresa Martin. Si tratta di un’epidemia di influenza, detta grippe, che nella sola Francia provocò 70.000 vittime e per la quale il vescovo Hugonin promosse un pellegrinaggio diocesano a Notre Dame de la Délivrande. In tutto il mondo uccise circa un milione di persone. Fu anche la prima pandemia d’influenza ad essere documentata in dettaglio e a essere studiata con mezzi di laboratorio. E anche i rapporti statistici dell’epoca sono considerati dai moderni epidemiologi di alta qualità.

Già tra il IX e il XII secolo sono state registrate saltuarie segnalazioni di eventi epidemici caratterizzati da febbre elevata, tosse e alta mortalità probabilmente riferibili a influenze, generalmente riportate dalle cronache dei monasteri europei. È però solo nei secoli XIV, XV e XVI che, con lo sviluppo dell’urbanizzazione, delle attività economiche e mercantili, nonché con il consolidamento di relazioni diplomatiche, che si creano le condizioni per un’adeguata e affidabile documentazione storica degli eventi a cura non solo degli storici, ma anche dei medici. Va anche detto che il periodico rinnovarsi di questi episodi, che non sempre raggiungevano un tasso di mortalità elevato, non rimaneva fissato nella memoria collettiva alla stessa maniera delle infezioni di peste e di colera, dagli effetti ben più pesanti sulla popolazione.

Si deve a Giovanni Villani la prima descrizione, nel 1323, di un’epidemia influenzale in Italia e in Francia. Dei numerosi episodi succedutisi nel tempo non va dimenticato l’evento pandemico del 1580, definito «anno memorabile per universale influenza catarrale», con quel diffondersi del «catarro universale» che, tra l’altro provocò in Spagna la morte di Catalina Alvarez, madre di san Giovanni della Croce.

Ai nostri giorni, rimane viva nella memoria delle persone più anziane la «spagnola» che, tra il 1918 e il 1920, anche a causa della miseria in conseguenza della prima guerra mondiale, causò la morte di centinaia di milioni di persone nel mondo. Molti furono i giovani a essere colpiti in quella circostanza, mentre più resistenti furono le classi più anziane e la ragione sembra sia dovuta dalla loro condizione già temprata dell’epidemia fine secolo XIX. Perché nell’Ottocento furono due gli eventi influenzali di maggior rilievo: quelli degli anni 1830-1833 e 1889-1901, oltre ad altri minori.

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Il nome «grippe» con cui l’influenza è chiamata in Francia risale al 1743: «Tutti erano presi da sintomi generali uniformi, così tutti gli ammalati hanno avuto fattezze raggrinzate contratte o smagrite, in una parola la faccia grippata, oltre a ciò essi sentivano delle orripilazioni al minimo movimento, miste a vampe di calore, una rottura di membra e come dei dolori contusivi sopra tutta la superficie del corpo». Scrive così la Gazete medicale del 1833 circa l’influenza parigina di quegli anni.

È il tempo in cui gli inglesi chiamarono questi sintomi «influenza», in Germania ottennero il nome di «Krip» e i Francesi diedero quello di «grippe». Altrove fu chiamata febbre catarrale, o affezione reumatica, o affezione reumatico-catarrale. Il termine grippe, secondo qualche autore, è fatto derivare dal polacco crypka, che significa «raucedine».

Quanto alla ricorrenza ciclica e alla gravità delle epidemie influenzali, l’Ottocento si muoveva tra concezioni ancorate al passato, mentre si ponevano le basi della medicina moderna. Scriveva il dottor Giacomo Barzellotti (1768-1839), dell’Università di Pisa, nel 1832: «Come i pianeti, le comete, il flusso e reflusso del mare, le malattie dette lunatiche, le febbri periodiche, hanno quelle epidemiche certe loro ricorrenze, che molto si approssimano al ritorno periodico dei pianeti, del flusso e reflusso del mare, specialmente se le stesse cause cosmiche, o quelle atmosferiche almeno, si trovino alla condizione del trapassato loro periodo». Sulla stessa linea, ma in modo più prudente Roberto Giacomo Graves, professore d’Istituzioni mediche nella scuola di medicina d’Irlanda, nel 1864: «È probabile che il grippe (influenza) dipenda principalmente dall’influenza tellurica, e che riconosca per causa alcuni disordini negli agenti fisici che modificano la superficie esterna del nostro pianeta; ma nello stato attuale delle nostre cognizioni, noi non possiamo parlare per congettura, e dobbiamo guardarci dallo sdrucciolare in investigazioni puramente speculative e inutili. Quale sia la frequenza di questi disordini, a quali leggi essi obbediscano, ecco quel che resta ancora a sapersi».

V0011966 A family threatened by influenza is prepared for a large scaCredit: Wellcome Library, London. Wellcome Imagesimages@wellcome.ac.ukhttp://wellcomeimages.orgA family threatened by influenza is prepared for a large scale bleeding. Coloured etching.Published:  - Copyrighted work available under Creative Commons Attribution only licence CC BY 4.0 http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/

Quanto alla cura, la medicina di due secoli fa spesso si muoveva in modo empirico e sulla base di alcune nozioni di fondo ereditate addirittura dai medici dell’antichità, ma insieme si cercavano nuove soluzioni farmacologiche. Nel 1831, sempre il dottor Barzellotti sosteneva: «Le tossi catarrali hanno ceduto al riposo, tepore del letto, ed alle bevande demulcenti. Rare volte vi è occorsa nei casi semplici la cavata di sangue, o l’applicazione di sanguisughe. Rarissimo vi è stato il bisogno della purga». Non occorre soffermarsi sulla terapia del tempo: salassi e purghe erano considerate le cure adeguate per buona parte dei malanni. In quegli anni, Domenico Savio morì sfinito dai numerosi salassi e così anche Camillo Benso conte di Cavour; Luigi Martin, durante un attacco di congestione cerebrale, nel maggio 1887, fu curato con l’applicazione di sanguisughe. E tutto ciò malgrado già nel 1580 c’era chi affermava: «Impiego del salasso, sicura morte del paziente»!

Il medico catanese A. Di Giacomo, sul finire del 1833, annotava: «E per amor di verità mi è forza anche il dire come in alcuni casi, lasciato a se stesso l’andamento del male (sempre sotto la medica accortezza), dopo aver percorso i suoi stadi si vide condursi a salute colle sole calde bevande, e colle dovute cautele», regola in generale certamente valida anche oggidì.