di P. Stefano Conotter ocd

copatrone

...a 20 anni dalla Spes aedificandi

Quest’anno ricorrerà il ventesimo anniversario della proclamazione di Brigida, Caterina e Edith come Sante Patrone d’Europa. Alla vigilia degli appuntamenti elettorali che ci aspettano, è interessante riflettere su questo atto di San Giovanni Paolo II. Ne parliamo con l’amico Gianni Borsa, corrispondente da Bruxelles per l’agenzia di stampa SIR, che si occupa specialmente di Unione europea e politiche comunitarie. È autore del libro “Europa, parole per capire ascoltare capirsi”, pubblicato quest’anno dalle edizioni In Dialogo nella collana Agape.

Qual è secondo te il significato della proclamazione di tre donne co-patrone per l’Europa di oggi? Quali sono le ragioni di questa scelta di parte di Giovanni Paolo II?

Giovanni Paolo II si può certamente considerare un grande “europeista”. Parlano, per questo santo, la sua vicenda umana, la sua storia di polacco, il suo percorso di sacerdote, vescovo e infine pontefice, con una linearità e coerenza d’azione che ancora oggi ci interrogano e, a nostra volta, ci spronano a un pensiero e a un impegno per la costruzione della “casa comune”. Lo stesso Wojtyła ha più volte indicato ai credenti questo obiettivo raggiungendo, a mio avviso, il punto più alto del suo messaggio con la “Ecclesia in Europa” del 2003. E lo poneva, come leggiamo nelle prime righe della lettera apostolica “Spes aedificandi”, del 1° ottobre 1999, sotto la protezione di Dio: “La speranza di costruire un mondo più giusto e più degno dell’uomo […] non può prescindere dalla consapevolezza che a nulla varrebbero gli sforzi umani se non fossero accompagnati dalla grazia divina”. Il “papa venuto dall’est”, che aveva proclamato nel 1980 co-patroni d’Europa i fratelli Cirillo e Metodio, pionieri dell’evangelizzazione dell’Oriente, accanto al monaco Benedetto, finalmente indica alla Chiesa “tre figure altrettanto emblematiche di momenti cruciali del secondo Millennio che volge al termine: santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena, santa Teresa Benedetta della Croce. Tre grandi sante, tre donne, che in diverse epoche – due nel cuore del Medioevo e una nel nostro secolo – si sono segnalate per l’amore operoso alla Chiesa di Cristo e la testimonianza resa alla sua Croce”. Sante, ci dice il papa, in quanto testimoni del Vangelo nella loro vita, nel loro tempo. Esattamente quella santità cui è chiamato ogni credente. Splendide le parole con le quali il pontefice indica “particolarmente significativa l’opzione per questa santità dal volto femminile, nel quadro della provvidenziale tendenza che, nella Chiesa e nella società del nostro tempo, è venuta affermandosi con il sempre più chiaro riconoscimento della dignità e dei doni propri della donna”. Per poi ammettere: “In realtà la Chiesa non ha mancato, fin dai suoi albori, di riconoscere il ruolo e la missione della donna, pur risentendo talvolta dei condizionamenti di una cultura che non sempre ad essa prestava l’attenzione dovuta”. Dunque tre patrone per un’Europa che, oltre a respirare coi due polmoni dell’Est e dell’Ovest dopo la caduta della Cortina di ferro (impersonati proprio da Benedetto, Cirillo e Metodio), valorizza il suo volto femminile, la metà della sua popolazione col volto di bambine, ragazze e donne; un’Europa col delicato, intelligente e tenace spirito femminile, che ha costruito accanto all’uomo quell’Europa di cui siamo figli.

La scelta di queste tre donne sante, fra innumerevoli altre possibilità, ha anche un significato “geografico”?

Un ulteriore chiarimento della scelta di Giovanni Paolo II su Brigida, Caterina e Teresa Benedetta è resa esplicita sempre fra le righe della “Spes aedificandi”: “La loro santità si espresse in circostanze storiche e nel contesto di ambiti ‘geografici’ che le rendono particolarmente significative per il Continente europeo. Santa Brigida rinvia all’estremo Nord dell’Europa, dove il Continente quasi si raccoglie in unità con le altre parti del mondo, e donde ella partì per fare di Roma il suo approdo. Caterina da Siena è altrettanto nota per il ruolo che svolse in un tempo in cui il Successore di Pietro risiedeva ad Avignone, portando a compimento un’opera spirituale già iniziata da Brigida col farsi promotrice del suo ritorno alla sua sede propria presso la tomba del Principe degli Apostoli. Teresa Benedetta della Croce, infine, recentemente canonizzata, non solo trascorse la propria esistenza in diversi paesi d’Europa, ma con tutta la sua vita di pensatrice, di mistica, di martire, gettò come un ponte tra le sue radici ebraiche e l’adesione a Cristo, muovendosi con sicuro intuito nel dialogo col pensiero filosofico contemporaneo e, infine, gridando col martirio le ragioni di Dio e dell’uomo nell’immane vergogna della ‘shoah’. Essa è divenuta così l’espressione di un pellegrinaggio umano, culturale e religioso, che incarna il nucleo profondo della tragedia e delle speranze del Continente europeo”. Ecco, all’Est e all’Ovest si aggiungono, con le tre sante, il Nord e il Sud d’Europa, e, inoltre si sottolineano la dimensione del pellegrinaggio (non c’è fede e non c’è Chiesa senza l’abito del pellegrino!) e quella del dialogo fede-Chiesa-storia. Ancora una volta papa Wojtyla ci stava dando – e ci lascia per l’oggi – una profonda catechesi e una grande lezione umana.

Viene da chiedersi se, a vent’anni di distanza e nel contesto in cui viviamo, ha ancora una reale attualità parlare di Patroni d’Europa.

Nel nostro tempo, ricordare e fare riferimento culturale e spirituale a questi sei copatroni d’Europa, significa sollevare lo sguardo dalla cronaca, dagli egoismi, dalle divisioni (i nazionalismi sono la pericolosa trasposizione politica dell’individualismo, dei cuori induriti, del venir meno del “farsi prossimo”), per aprirci verso l’intera umanità, a partire da chi ci è stato posto accanto, e per riscoprire l’aspetto trascendente della vita. Nella lettera del 1999 leggiamo ancora: “Cresca, dunque, l’Europa! Cresca come Europa dello spirito, sulla scia della sua storia migliore, che ha proprio nella santità la sua espressione più alta. L’unità del Continente, che sta progressivamente maturando nelle coscienze e sta definendosi sempre più nettamente anche sul versante politico, incarna certamente una prospettiva di grande speranza. Gli Europei sono chiamati a lasciarsi definitivamente alle spalle le storiche rivalità che hanno fatto spesso del loro Continente il teatro di guerre devastanti. Al tempo stesso essi devono impegnarsi a creare le condizioni di una maggiore coesione e collaborazione tra i popoli. Davanti a loro sta la grande sfida di costruire una cultura e un’etica dell’unità, in mancanza delle quali qualunque politica dell’unità è destinata prima o poi a naufragare”. Sono parole di una impressionante attualità.

Queste sante sono state quindi scelte anche perché rappresentano l’asse verticale che attraversa l’Europa. Trent’anni fa, dopo la caduta del muro di Berlino, si sentiva più il problema dell’integrazione fra Est e Ovest, mentre Giovanni Paolo II indicava che c’era una sfida anche nella diversità fra Nord e Sud?

Nord e Sud d’Europa sono assai differenti tra loro, così come lo sono tuttora l’Est e l’Ovest. Questo aspetto non va però inteso in chiave negativa: è, semmai, il bello di un’Europa “unita nella diversità”, come recita il motto dell’Ue. Ciò che dobbiamo imparare noi, cittadini europei, è riconoscere, scoprire, vivere, gustare e valorizzare le diversità, senza per questo negare la necessità di una più alta e nobile convergenza di valori, di obiettivi, di concrete scelte politiche, economiche e sociali. L’integrazione comunitaria, che passa attraverso le istituzioni dell’Unione europea, dovrebbe procedere in quella direzione. Si tratta di correggerne limiti, errori e ritardi. Ma chi oggi dice di voler distruggere il lungo cammino comunitario – che ha prodotto nella storia pace, democrazia, diritti e sviluppo – in realtà non ha altro in mente che un ritorno ai confini chiusi, alle anguste frontiere divisive, ai pericolosi bracci di ferro politici di marca nazionalista che, nel secolo scorso, portarono a due guerre mondiali. Dobbiamo diffidare da chi semina – per fini elettorali – divisione, rancori e paure. I santi, e la Chiesa tutta, hanno camminato su altri sentieri, hanno imboccato la porta stretta – ma giusta – dell’incontro, della reciproca comprensione, della solidarietà, dell’impegno a tutelare la vita, a promuovere il valore della famiglia, a tendere la mano agli ultimi, siano essi poveri, malati o stranieri.

La scelta di Giovanni Paolo II di un patronato femminile per l’Europa è anche un richiamo alla questione della dignità della donna. E’ ancora necessario questo richiamo nell’Europa di oggi?

La difesa dei diritti delle donne resta oggi una priorità. Ogni giorno ragazze e donne subiscono violenze, anche nella nostra Europa; ogni giorno misuriamo forme di discriminazione verso il genere femminile. Tutti i giorni milioni di donne operano per il bene delle rispettive famiglie e della società nel suo complesso, o anche nel mondo del lavoro, senza un giusto riconoscimento, senza una adeguata valorizzazione della loro opera. La società europea – e quella degli altri continenti – deve imparare dalle donne, deve rispettare le donne, deve loro assegnare ruoli e compiti adeguati, e non certo “inferiori” a quelli cui una società troppo maschilista ci ha abituati. Di certo la politica e il diritto devono fare la loro parte, in sede nazionale come su scala europea. E anche la Chiesa deve riflettere su questi aspetti…

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Vale quindi la pena approfittare di questo anniversario per rivalutare la scelta di Giovanni Paolo II di proporre all’Europa queste tre Sante Patrone, anche se nel clima politico attuale sembra spiri un’altra aria? Basti pensare alle recenti affermazioni di Papa Francesco nel suo discorso alla Pontificia accademia delle scienze sociali sul grande rischio del "crescente nazionalismo che tralascia il bene comune".

Sì, abbiamo bisogno di costruire un’Europa più giusta, più efficace, più vicina ai cittadini. Respiriamo, invece, un’aria contraria, sentiamo voci che promettono di “rivoltare l’Europa come un calzino”, senza peraltro avere né l’intelligenza né il coraggio di spiegare ai cittadini come cambiare questa Unione europea. Dobbiamo diffidare dai nuovi tribuni, dai “rivoluzionari a chiacchiere”. Oggi, come ieri, l’Europa (e ogni suo Stato membro), ha bisogno di politici visionari, profetici e al contempo “concreti”, che abbiano competenze, sguardo lungo e coerenza tra ciò che affermano e ciò che fanno. L’esempio dei “padri fondatori” della Comunità europea è lampante. Bravi politici ne abbiamo anche ora: si tratta di scovarli e di sostenerli.