di P. Iacopo Iadarola ocd

arborelius

Ecco un breve profilo biobibliografico del nostro cardinale (attualmente l'unico carmelitano a rivestire la porpora cardinalizia, nonché il primo cardinale scandinavo della Storia della Chiesa!) creato da papa Francesco il 28 giugno 2017 e ora possibile suo successore al soglio pontificio.

Nato nel 1947 a Sorengo (Svizzera) da genitori svedesi, è cresciuto a Lund, nella Svezia meridionale. Dopo aver praticato la fede cristiana nella confessione luterana, a vent'anni si è convertito al cattolicesimo e nel 1971, affascinato dalla lettura di S. Teresa di Gesù Bambino, è entrato nel nostro Ordine dei Carmelitani Scalzi. Ha studiato teologia a Bruges, dove ha preso i voti, e presso la Pontificia Facoltà Teologica del Teresianum a Roma (con una tesi sul concetto di Chiesa in S. Giovanni della croce e S. Elisabetta della Trinità, relatore P. Federico Ruiz). Nel 1979 è stato ordinato sacerdote dall'allora vescovo di Stoccolma Hubertus Brandenburg. Per molti anni ha vissuto nel convento di Norraby, nel comune di Svalöv, nel sud della Svezia.

Il 17 novembre 1998 è stato nominato vescovo di Stoccolma da papa Giovanni Paolo II, a seguito della rinuncia di Hubertus Brandenburg, divenendo in questo modo il primo vescovo cattolico di sangue svedese dall'inizio della Riforma protestante. Dal 2005 al 2015 è stato presidente della Conferenza episcopale della Scandinavia, in seguito vicepresidente. È stato membro del comitato di presidenza del Pontificio Consiglio per la famiglia; dal 2014 al 2016 è stato consultore del Pontificio consiglio per i laici.

E' sempre stato molto apprezzato da papa Francesco il quale, in una conversazione coi direttori delle riviste culturali europee della Compagnia di Gesù, alla domanda su come concepire l'evangelizzazione in Europa e in una cultura che sembra aver perso il suo radicamento religioso, così ha risposto: "Vorrei indicare, però, un uomo che è un modello di orientamento: il cardinale Anders Arborelius. Non ha paura di nulla. Parla con tutti e non si mette contro nessuno. Punta sempre al positivo. Credo che una persona come lui possa indicare la strada giusta da seguire" (qui; ricordiamo anche la bella intervista fattagli da P. Giuseppe Furioni, qui). Adduciamo un esempio della sua franchezza e della sua parresia segnalando come nel 2008 avvertì tempestivamente la Santa Sede della gravità delle dichiarazioni negazioniste del vescovo lefebvriano Williamson: l'informazione purtroppo, pur correttamente inoltrata, non sarebbe mai giunta direttamente a Benedetto XVI il quale, se ne avesse avuto contezza, certo avrebbe proceduto diversamente in relazione alla revoca della scomunica per il suddetto vescovo, questione per cui avrebbe dovuto in seguito fare pubblica ammenda.

Il suo motto episcopale e cardinalizio è In laudem gloriae, segno di un animo profondamente contemplativo in quanto costituisce un chiaro richiamo alla spiritualità carmelitana in generale e di S. Elisabetta della Trinità in particolare (notiamo tra l'altro come P. Anders non abbia mai voluto dismettere, né da vescovo né da cardinale, il santo abito carmelitano; e che, pare, avesse chiesto a Francesco di essere sollevato dal suo incarico di cardinale per ritirarsi in un monastero nel sud della Svezia). La monaca di Digione infatti aveva scelto questa citazione paolina - In laudem gloriae, tratta dall'inno iniziale della lettera agli Efesini - come proprio nome e sunto della propria missione spirituale. Padre Anders ha molto a cuore questa santa e le ha dedicato un originale studio pubblicato sulla rivista Teresianum 36 (1985), reperibile qui in inglese. Sulla rivista della Provincia veneta dei carmelitani scalzi, Quaderni Carmelitani, ne è uscita la traduzione in italiano all'interno del numero 22 (2005): "La Chiesa, mistero di comunione e di amicizia, in Elisabetta della Trinità" (clicca qui per accedervi; in inglese segnaliamo ancora questa recente pubblicazione di agevole lettura sul carisma carmelitano).

Ma facciamoci rispiegare direttamente dalla nostra Elisabetta quali siano i connotati dell'anima che sceglie, come lei e come il nostro Padre Anders, di vivere in laudem gloriae:

“Per decreto di Colui che opera tutte le cose secondo la sua volontà, noi siamo stati predestinati ad essere la lode della sua gloria” (Ef 1,11-12). Come realizzare questo grande sogno del Cuore del nostro Dio, questo volere immutabile sulle nostre anime? In una parola, come rispondere alla nostra vocazione, e divenire perfette Lodi di gloria della Santissima Trinità? [...] Una lode di gloria è un’anima che dimora in Dio, che l’ama di un amore puro e disinteressato, senza ricercare sé nella dolcezza di quest’amore; che l’ama al di sopra di tutti i suoi doni, anche se non avesse ricevuto niente da Lui e che desidera il bene dell’Oggetto amato. Orbene come desiderare e volere effettivamente il bene di Dio se non compiendo la sua volontà, poiché questa ordina tutte le cose per la sua gloria più grande? Dunque quest’anima deve consegnarsi pienamente, perdutamente fino a non volere altro, se non quello che Dio vuole.

Una lode di gloria è un’anima di silenzio che sta come una lira sotto il tocco misterioso dello Spirito Santo affinché Egli ne faccia uscire delle armonie divine; ella sa che la sofferenza è una corda che produce suoni ancora più belli, così ella ama vederla nel suo strumento alfine di smuovere più deliziosamente il Cuore del suo Dio.

Una lode di gloria è un’anima che fissa Dio nella fede e nella semplicità; è un riflettore di tutto ciò che Egli è; ella è come un abisso, senza fondo, nel quale Egli può scorrere, espandersi; è come un cristallo attraverso cui Egli può irradiarsi e contemplare tutte le sue perfezioni e il proprio splendore. Un’anima che permette così all’Essere divino di saziare in lei il suo bisogno di comunicare “tutto ciò che Egli è, tutto ciò che egli ha”, è in realtà la lode di gloria di tutti i suoi doni.

Infine una lode di gloria è un essere sempre nell’azione di grazie. Ciascuno dei suoi atti, dei suoi movimenti, dei suoi pensieri, delle sue aspirazioni nel medesimo tempo che la radicano più profondamente nell’amore, sono come un’eco del Sanctus eterno… Nel cielo della sua anima, la lode di gloria comincia già il suo ufficio dell’eternità. Il suo cantico è ininterrotto perché ella è sotto l’azione dello Spirito Santo che in lei opera tutto; e sebbene ella non ne abbia sempre coscienza perché la debolezza della natura non le permette di essere fissata in Dio senza distrazioni, ella canta sempre, ella adora sempre, ella è, per così dire, tutta passata nella lode e nell’amore, nella passione della gloria del suo Dio" (Come si può trovare il cielo sulla terra, 10 agosto 1906).

Certamente, questa passione per la gloria di Dio, che consiste nel comunicare la sua vita eterna all'umanità, non è appannaggio delle sole monache carmelitane ma è una vocazione aperta e auspicabile per tutti, in una riforma contemplativa della Chiesa e della sua missionarietà sulla quale Arborelius molti anni fa, nel succitato articolo, scrisse queste parole profetiche (nonché precorritrici dei numerosi strali del magistero di Francesco verso la piaga del clericalismo) e oggi forse più attuali che mai:

"La maniera femminile (piuttosto che femminista) di Elisabetta di accostarsi alla Chiesa potrebbe essere un mezzo per riscoprire la vera natura di questa. La gente che vive in una società caratterizzata da fenomeni così «maschili» come tecnologia, efficientismo, burocrazia rischia di estendere questi stessi criteri alla Chiesa e anche alla fede nel suo complesso. Questo è il motivo per cui rivolgere uno sguardo contemplativo alla Chiesa, come Elisabetta, può essere un rimedio nella situazione pastorale presente. La visione ecclesiale della beata Elisabetta può risultare una fonte di rinnovamento per la teologia in generale. Il periodo del Vaticano I e II - non è privo di importanza vedere una connessione tra questi due concili - è un periodo «ecclesiocentrico». Come argomento teologico la Chiesa ha ricevuto un'attenzione sovrabbondante. Questo fatto ha avuto naturalmente più di un effetto positivo, ad esempio una comprensione più profonda del cuore del mistero ecclesiale. Ma può anche dare luogo a uno svantaggio grave che può anche trasformarsi in un rischio mortale: la Chiesa, cioè, come centro di interesse potrebbe portare a oscurare il mistero di Dio stesso. Si potrebbe quindi parlare di un certo narcisismo ecclesiale, o come fatto concreto o come tentazione. La Chiesa, però, non ha lo scopo di proclamare se stessa, ma Dio, e non è fatta per sé, ma per l'uomo. Benché non fosse una teologa essa stessa, la beata Elisabetta della Trinità rispetta fedelmente questi due principi fondamentali della teologia. E questa è un'altra ragione per cui la sua visione ecclesiale rimane valida oggi come fonte di ispirazione - e di correzione - anche per i teologi".