di P. Aldino Cazzago

t ovs1. Il terzo significativo aspetto dell’esperienza spirituale di Teresa d’Avila che papa Francesco mette in risalto è quello della «via della fraternità». Per Teresa questa non fu, né a livello personale,né comunitario, una fuga che oggi chiameremmo intimistica. Fu,come scrive papa Francesco, «la sua risposta provvidenziale (…)ai problemi della Chiesa e della società del suo tempo».

Ma qual è il fondamento di questa «via della fraternità» e secondo quale dinamica deve vivere e svilupparsi? La risposta al primo interrogativo è semplice: la certezza che Cristo è «con noi» (Vita,32,11); quella al secondo, è un famoso testo del Cammino di perfezione: «Non crediate, sorelle ed amiche mie, che le cose da raccomandarvi siano molte. […]

La prima è l'amore che dobbiamo portarci vicendevolmente; la seconda il distacco dalle creature; la terza la vera umiltà, la quale, benché posta per ultimo, è prima ed abbraccia le altre» (4,4). Quando queste tre cose sono in atto nonsi può che, come dice papa Francesco, «camminare insieme con Cristo come fratelli». A suo parere questa è anche una «bella definizione della fraternità nella Chiesa».

2. Per non fuggir in uno spiritualismo, proviamo a porci questa domanda: «Le tre cose raccomandate da santa Teresa non potrebbero essere le dimensioni fondamentali della vita cristiana in quanto tale e non una lente di ingrandimento per scrutare solo e unicamente la vita dei conventi e dei monasteri?». Scrive papa Francesco nel Messaggio: «Come vorrei, in questi tempi, delle comunità cristiane più fraterne dove si faccia questo cammino: procedere nella verità dell’umiltà che ci libera da noi stessi per amare di più e meglio gli altri, soprattutto i più poveri!».

Ecco due questioni centrali, oggi forse più di ieri: vivere «nella verità dell’umiltà che ci libera da noi stessi» e «amare di più e meglio gli altri, soprattutto i più poveri». Sono questioni centrali sia in ambito sociale sia in quello religioso ed ecclesiale perché i soggetti implicati sono spesso gli stessi e anche se, in diversa misura e intensità, la mentalità che li plasma viene trasferita dal primo al secondo e, si spera, viceversa.

Com’è sotto gli occhi di tutti, sia a livello personale sia sociale si è ben lontani dal vivere «nella verità dell’umiltà»: a livello individuale perché si coltiva sempre più un ‘io’che va sottraendo spazio alle altre dimensioni della persona come la gratuità e la solidarietà, in ambito sociale perché si formano sempre più gruppi dove persone che a livello, culturale, economico, di benessere e posizione sociale, ‘ce l’hanno fatta’ si aggregano e si chiudono per meglio fronteggiare quelli che, agli stessi livelli ‘non ce l’hanno fatta’. Durante il Festival Biblico di Vicenza nel 2012 Zygmunt Bauman ha detto a questo proposito: «Bisogna aver presente il triste dato dell’individualizzazione della società contemporanea,che è consistita nello smantellare l’aggregazione, raggelare la comunità, recidere il comune scopo degli essere umani».

3. In ambito ecclesiale, forse con segni meno marcati, la fatica di vivere «nella verità dell’umiltà», a livello personale e comunitario non è minore. Ha scritto Jean Vanier a questo proposito: «Una comunità non è veramente un corpo se non quando la maggioranza dei membri sta facendo il passaggio dalla “comunità per me” a “io per la comunità”, cioè quando il cuore di ognuno si sta aprendo ad ogni membro, senza escludere nessuno».

Il primo passo per vivere «nella verità dell’umiltà» è ricordare che, come ha scritto Teresa di Gesù, «l’umiltà è verità» (Mansioni,7,10,7), cioè sguardo realistico, e per questo veritiero, sulla condizione umana segnata dal peccato e quindi perennemente in bilico tra bene e male, per chi crede e per chi non crede. Come era realista Teresa d’Avila quando scriveva: «O libero arbitrio, quanto sei schiavo della tua stessa libertà, allorché non vivi inchiodato dal timore e dall’amore di Chi ti ha creato!» (Esclamazione, 17).

Il secondo passo ci è suggerito nella stessa Esclamazione: «Muoia una buona volta questo io e viva in me l’Altro, che è più grande di me e migliore di me, nei miei stessi interessi, sicché io possa servirlo». Se, come ha scritto papa Francesco nel Messaggio per il centenario teresiano, è «nella verità dell’umiltà» che ci si «libera da noi stessi», la strada appena suggerita da Teresa d’Avila è assolutamente rispondente al fine: solo un «io» non ripiegato su se stesso, liberato, e colmo dell’«Altro che è più grande di me» può far spazio all’amore dei fratelli. Nella Evangelii Gaudium papa Francesco ha scritto che «il modo di relazionarci con gli altri che realmente ci risana invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono» (n. 92).

4. Dalla «fraternità mistica» che si vive nella comunità cristiana,trae beneficio anche la convivenza sociale, perché è solo questo tipo di amore agli altri che può prevenire antagonismi e violenze e dar vita a nuovi e più ampi spazi di fraternità e di solidarietà. Le parole che santa Teresa rivolgeva alle sue monache valgono anche per noi: «Benché vi siano molti indizi per conoscere se amiamo Dio, tuttavia non possiamo mai esserne sicuri, mentre lo possiamo essere quanto all’amore del prossimo. Anzi, più vi vedrete innanzi nell'amore del prossimo, più lo sarete anche nell'amore di Dio:statene sicure. Ci ama tanto Iddio, che in ricompensa dell'amore che avremo per il prossimo, farà crescere in noi, per via di mille espedienti, anche quello che nutriamo per Lui» (Mansioni, 5,3,8).