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In occasione dell'odierna memoria del beato Alfonso Maria dello Spirito Santo (Mazurek), padre carmelitano polacco vittima del totalitarismo nazista, pubblichiamo il seguente articolo di P. Giacomo Gubert sulle vittime di un altro, analogo, totalitarismo. 

La vita e le opere di Marius Oprea, raccontate dal giornalista Guido Barella, ricordano, si licet magna componere parvis, John May, il protagonista di Still Life (2013) di Uberto Pasolini. Li accomuna la stessa pietas per i defunti, dimenticati, abbandonati, anonimi a cui assicurare una croce, una sepoltura, il ricordo dei cari, e li distanzia la passione per la giustizia che ha meritato a Marius il titolo di “Simone Wiesenthal dei crimini del comunismo rumeno” secondo le parole di Paolo Rumiz.

La lotta per la giustizia politica, storica, contemporanea, umana, in Romania in particolare, è troppo problematica per poterne parlare in poche righe. Basterà ricordare tre dati: in proporzione alla propria popolazione, la Romania ha avuto il più alto numero di vittime oggetto di sterminio durante la dittatura; Solzenicyn dichiarò che quanto accadde nel carcere speciale di Piteşti “fu la più dura barbarie del mondo contemporaneo”; per alcune peculiarità della transizione verso la democrazia, in Romania non ci fu una rilevante riconciliazione nazionale. Perciò, a quasi vent’anni dalla caduta del regime comunista, preferiamo in questa sede lasciare sullo sfondo questa enorme problematica per ricordare solamente i frutti personali dell’opera dell’archeologo, storico e giornalista Oprea.

Pietas

Sono frutti di verità e di carità, luci e atti amorevoli. “Quando nel 1991 – dice Oprea – ho iniziato a svolgere le ricerche sui delitti perpetrati dalla Securitate, ho cominciato a riflettere su che cosa è successo a noi come popolo rumeno, a noi come individui rumeni. E adesso la missione, mia e degli amici che con me collaborano, è far sì che i resti delle vittime del regime possano avere almeno la benedizione da parte di un sacerdote e possano finalmente riposare in pace all’ombra di una croce”. Questa carità non rimase senza risposta. Come e molto meglio di quanto accade in Still life, la comunione dei santi si è messa all’opera: “Io sono stato ateo: in casa, mia madre era cristiana, mia padre no. Mia madre non mi obbligava ad andare in chiesa, tanto che l’ultima volta che mi sono confessato avevo, credo, dodici anni. Dopo non l’ho più fatto. Adesso ho ripreso ad andare in chiesa perché i morti mi hanno spinto sulla strada della fede”.

Luci

Sorin Ilieșiu, regista, senatore, collaboratore di Oprea, testimonia: “Si riportano storie allucinanti. I detenuti doveva confessare una realtà immaginaria, ammettere colpe mai commesse solo per compiacere gli aguzzini e sfuggire così alla tortura. I primi ad essere minati erano i fondamenti della famiglia e della religione. Venivano distrutti questi sentimenti per distruggere l’anima […] Si deve conoscere quello che è stato il genocidio delle anime, così ho chiamato il mio docu-film”. “Ancora oggi – dice Aristide Ionescu intervistato da Ilieșiu – quando sono in una chiesa ho l’impressione di non potervi nemmeno entrare dopo aver visto quello che ho visto e non aver lottato abbastanza per oppormi a ciò che è successo. Un inferno in terra? Peggio. [...] E le vittime ... Alcune di loro potrebbero, dovrebbero essere proclamate sante: persone che hanno offerto a un compagno îl loro ultimo pezzo di pane anche se non ne avevano per sé. Già, penso che alla fin fine Satana abbia fatto un favore a Dio: tutte queste persone adesso sono lì, nei cieli, e non possono non essere dei santi. Questo sistema è stato un diabolico tentativo di annullare l’individuo, di farlo diventare meno di un animale. Il regime puntava a far sì che ciascuno, là dentro, finisse con l’uccidere la propria anima. Ma io dico che non ci è riuscito”. 

Un grande martirologio

Uno sguardo e un luogo più ampio, in cui collocare anche le tristi vicende rumene, l’ha indicato e offerto papa Giovanni Paolo II. Nel corso del suo sesto viaggio in Polonia (dal 5 giugno al 17 giugno), durante il quale venne beatificato p. Alfonso Maria Mazurek ocd, il santo papa ebbe a dire: “Anche il nostro secolo ha scritto un grande martirologio. Io stesso nel corso del ventennio del mio pontificato, ho elevato alla gloria degli altari numerosi gruppi di martiri: giapponesi, francesi, vietnamiti, spagnoli, messicani. E quanti ve ne furono nel periodo della Seconda Guerra Mondiale e sotto il sistema totalitario comunista! Soffrivano e davano la loro vita nei campi di sterminio hitleriani oppure sovietici … è giunto ora il momento di ricordare queste vittime e di rendere loro l’onore dovuto. Questi sono dei «martiri spesso sconosciuti, quasi ‘militi ignoti’ della grande causa di Dio» (TMA, 7).

E Giovanni Paolo II aggiunse riguardo p. Alfonso Maria, che il Carmelo ricorda il 12 giugno: “Sono lieto perché mi è stato dato di beatificare, insieme a cento e otto martiri, anche il beato Padre Alfonso Maria Mazurek, alunno, e più tardi benemerito educatore del seminario minore annesso al convento [dei Carmelitani Scalzi. Ebbi occasione di incontrarmi personalmente con questo testimone di Cristo che nel 1944], come priore del convento di Czerna, suggellò la sua fedeltà a Dio con la morte del martirio”. P. Alfonso fu infatti ucciso da due soldati tedeschi non per ragioni politiche ma perché era un sacerdote conosciuto per la sua fedeltà alla legge di Dio.