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Il sangue che cade dalla mano del Crocifisso

Tre croci

«Sentii la carità entrarmi nel cuore, il bisogno di dimenticarmi per far piacere e da allora io fui felice!
Una domenica guardando un’immagine di Nostro Signore in Croce, fui colpita dal sangue che cadeva da una delle sue mani Divine, provai un grande dolore pensando che quel sangue cadeva a terra senza che nessuno si desse premura di raccoglierlo, e decisi di tenermi in spirito ai piedi della Croce per ricevere la rugiada Divina che ne sgorgava, comprendendo che avrei dovuto in seguito spargerla sulle anime...
Anche il grido di Gesù sulla Croce mi riecheggiava continuamente nel cuore: “Ho sete!”. Queste parole accendevano in me un ardore sconosciuto e vivissimo... Volevo dar da bere al mio Amato e io stessa mi sentivo divorata dalla sete delle anime...
Non erano ancora le anime di sacerdoti che mi attiravano, ma quelle dei grandi peccatori, bruciavo dal desiderio di strapparli alle fiamme eterne». (Ms A,134)

 

Il primo figlio di Teresa: il bandito Pranzini 

Pranzini

 

«Allo scopo di eccitare il mio zelo il Buon Dio mi mostrò che i miei desideri gli erano graditi. Sentii parlare di un grande criminale che era appena stato condannato a morte per dei crimini orribili: tutto faceva credere che sarebbe morto nell’impenitenza. Volli ad ogni costo impedirgli di cadere nell’inferno; allo scopo di riuscirvi usai tutti i mezzi immaginabili: capendo che da me stessa non potevo nulla, offrii al Buon Dio tutti i meriti infiniti di Nostro Signore, i tesori della Santa Chiesa; infine pregai Celina di far dire una messa secondo le mie intenzioni, non osando chiederla di persona nel timore di essere costretta a confessare che era per Pranzini, il grande criminale. Non volevo nemmeno dirlo a Celina, ma mi fece delle domande così affettuose ed insistenti che le confidai il mio segreto; invece di prendermi in giro mi chiese di aiutarmi a convertire il mio peccatore: accettai con riconoscenza, perché avrei voluto che tutte le creature si unissero a me per implorare la grazia per il colpevole. Sentivo in fondo al cuore la certezza che i nostri desideri sarebbero stati esauditi; ma allo scopo di darmi coraggio per continuare a pregare per i peccatori, dissi al Buon Dio che ero sicurissima che avrebbe perdonato al povero disgraziato Pranzini, che l’avrei creduto anche se non si fosse confessato e non avesse dato alcun segno di pentimento, tanto avevo fiducia nella misericordia infinita di Gesù, ma che gli domandavo soltanto un segno di pentimento per mia semplice consolazione... La mia preghiera fu esaudita alla lettera! malgrado il divieto che il papà ci aveva dato di leggere i giornali, pensavo di non disobbedire leggendo i brani che parlavano di Pranzini. Il giorno dopo la sua esecuzione mi trovo sotto mano il giornale: La Croix. L’apro in fretta e cosa vedo?... Ah! le lacrime tradirono la mia emozione e fui costretta a nascondermi... Pranzini non si era confessato, era salito sul patibolo e stava per passare la testa nel lugubre foro, quando a un tratto, colto da un’ispirazione improvvisa, si volta, afferra un Crocifisso che il sacerdote gli presentava e bacia per tre volte le piaghe sacre!... Poi la sua anima andò a ricevere la sentenza misericordiosa di Colui che dichiarò che in Cielo ci sarà più gioia per un solo peccatore che fa penitenza che per 99 giusti che non hanno bisogno di penitenza!». (Ms A, 135)

«Avevo ottenuto il segno richiesto e quel segno era l’immagine fedele delle grazie che Gesù mi aveva fatto per attirarmi a pregare per i peccatori. Non era forse davanti alle piaghe di Gesù, vedendo colare il suo sangue Divino che la sete delle anime era entrata nel mio cuore? Volevo dar loro da bere quel sangue immacolato che avrebbe purificato le loro macchie, e le labbra del “mio primo figlio” andarono a incollarsi sulle piaghe sacre!!!... Che risposta ineffabilmente dolce!... Ah! dopo quella grazia unica, il mio desiderio di salvare le anime crebbe ogni giorno; mi sembrava di udire Gesù che mi diceva come alla samaritana: “Dammi da bere!”. Era un vero e proprio scambio d’amore; alle anime davo il sangue di Gesù, a Gesù offrivo quelle stesse anime rinfrescate dalla sua rugiada Divina: così mi sembrava di dissetarlo e più gli davo da bere più la sete della mia povera piccola anima aumentava ed era questa sete ardente che mi dava come la più deliziosa bevanda del suo amore». (Ms A, 136)

 

Teresa seduta alla tavola dei peccatori

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«Signore, tua figlia ha capito la tua luce divina e ti chiede perdono per i suoi fratelli, accetta di mangiare per quanto tempo vorrai il pane del dolore e non vuole affatto alzarsi da questa tavola piena di amarezza alla quale mangiano i poveri peccatori prima del giorno che hai stabilito... 
Così ella può dire a nome suo, a nome dei suoi fratelli: Abbi pietà di noi Signore, perché siamo poveri peccatori!... Oh! Signore, rimandaci giustificati... Che tutti coloro che non sono affatto illuminati dalla luminosa fiaccola della Fede la vedano finalmente brillare...

O Gesù se è necessario che la tavola insudiciata dai peccatori sia purificata da un'anima che ti ama, accetto di mangiarvi da sola il pane della prova fino a quando ti piaccia introdurmi nel tuo regno luminoso. La sola grazia che ti domando è di non offenderti mai!». (Ms C, 277)

 

JACQUES FESCH
60 anni dopo la morte di Teresa, un altro figlio salvato sul patibolo

JF 2

Nell’aprile del 1957 Jaques viene condannato a morte, proprio nel giorno in cui compie ventisette anni. Non se l’aspettava. sapeva di avere ucciso non volendo, e non riconosceva alla società il diritto di togliergli per questo la vita. soprattutto lo sconvolge il fatto che durante il processo lo abbiano accerchiato con odio, martellandogli sempre addosso: Assassino! assassino! assassino!, con una dichiarata voglia di ucciderlo ad ogni costo. Venne trasferito nella cella 18, una di quelle a pianterreno riservate ai condannati a morte. sperava ancora che «non sarebbero andati fino in fondo». Vive momenti tremendi per lottare contro l’odio che vorrebbe invadergli il cuore: sa di essere stato condannato, non per la colpa reale che ha commesso, ma per motivi politici. Tutto si rivolta nel suo intimo: «Ogni tanto ho l’impressione di essere invaso da una specie di rabbia fredda e di collera repressa che tento di respingere...». 

Père Thomas, l’amico frate, gli indica una strada impossibile: non solo l’accettazione, ma l’offerta. Risponde: «È una strada molto bella, ma troppo dura! Chi mai lo potrebbe?». Ma si incammina proprio per questa via umanamente impossibile. 

In carcere legge il Castello interiore di S. Teresa d’Avila e tenta di dare la scalata alle sette dimore. Per sei mesi cerca perfino di vivere una meditazione continua perché vuole esperimentare cos’è l’unione con Dio. Poi scopre che essa non è una conquista, ma un regalo. Ma Dio questo regalo, che lui ha creduto di potersi meritare, glielo fa comunque. È «una fase di felicità facile che termina una sera con una unione breve ma intensa con dio, che non dimenticherò mai». Poi ritorna in una certa aridità, con momenti oscuri, con nuove pigrizie e incertezze. Spiega a se stesso: «Avevo la fede senza le opere». Comunque ha scoperto una volta per tutte la preghiera, e ha scoperto il mistero del cuore umano, là dove ciascuno custodisce, anche senza saperlo, una celletta che è destinata soltanto all’incontro con Dio.

JF 1

Intanto giunge tra le sue mani La storia di un’anima, l’autobiografia di S. Teresa di Gesù Bambino. Quando legge che la piccola Santa ha strappato un condannato a morte alla sua incredulità e lo ha offerto come si offre un figlio a Gesù Crocifisso, si sente anch’egli compreso: «Il mio caso è troppo simile a questo perché lei non se ne occupi... Amo la sua piccola via e la sua fiducia in Dio, il suo zelo».

L’esecuzione venne fissata per il 1° ottobre del 1957, festa liturgica della piccola Santa di Lisieux. Il 30 settembre, 60° anniversario della morte di S. Teresa di Gesù Bambino, il diario segna: «Ultimo giorno di lotta. Domani a quest’ora sarò in cielo... Del tutto miserabile come sono, mi viene fatto il grande onore di potere imitare nostro Signore Gesù Cristo». 

Dopo che gli ebbero legato le mani disse al cappellano: «Il Crocifisso, Padre mio, il Crocifisso!», e quando il prete glielo posò sulle labbra lo baciò lungamente. Sul patibolo – dove quasi tutti i condannati salivano divincolandosi, urlando e spesso bestemmiando – salì con una dignità, una compostezza, e perfino una certa luminosità del volto, che i presenti, e perfino il boia, rimasero scossi. Ma Jacques, già nei primi giorni di quel tragico e glorioso mese aveva spiegato come avrebbe camminato incontro alla morte: «Io tendo una mano alla Vergine e l’altra alla piccola Teresa: in tal modo non corro alcun rischio, ed esse mi attireranno a sé per consegnarmi al piccolo Gesù per l’eternità».