di P. Stefano Conotter ocd

TEC

Laureata all’Università Statale di Milano con una tesi in filosofia contemporanea sulla Fides et Ratio di Giovanni Paolo II, dottorata in filosofia all’Université Libre de Bruxelles con una tesi su Cristianesimo e ragione in Joseph Ratzinger, Elena Torri ora tiene dei laboratori di filosofia in una scuola elementare di Bruxelles. Abbiamo deciso di intervistarla.

Hai studiato filosofia a Milano con maestri come don Angelini, poi hai fatto il dottorato con una tesi sul pensiero di Joseph Ratzinger. Immagino che sei rimasta sorpresa quando ti hanno chiesto se volevi insegnare filosofia a dei bambini della scuola elementare…

Si’ ero quasi sconvolta! Mi sembrava una cosa impossibile, al momento mi é sembrato che mi chiedessero di conciliare quelli che mi sembravano due universi completamente distinti. Non avevo idea da che parte cominciare, all’inizio pensavo che si trattasse di semplificare al massimo le nozioni, di ridurre in poche e semplici parole il pensiero complesso dei grandi filosofi, ma poi ho capito: non si tratta di insegnare la storia della filosofia ai bambini ma di guidarli nell’esercizio del riflettere. Le intuizioni dei grandi filosofi possono aiutare qua e là strada facendo, ma la trasmissione del sapere non é l’obiettivo del corso.

Normalmente si ritiene che l’uso della ragione si colloca verso i 7 anni e si pensa che la filosofia sia legata all’uso della ragione. Cosa significa quindi fare un corso di filosofia con bambini di 5 anni? Non si rischia di forzare lo sviluppo del bambino?

I bambini che partecipano ai miei laboratori hanno dai 9 ai 12 anni; mi é capitato di fare qualche lettura con risvolti filosofici con bambini di 6-7 anni, ma sotto quella soglia non mi avventurerei. So che ci sono persone che fanno filosofia con bambini anche più piccoli, alla scuola materna. Immagino che per quella fascia di età si tratti più che altro di suscitare la curiosità, di esercitare la meraviglia. Ma è effettivamente con bambini a partire dai 7 anni che a mio avviso si riesce a lavorare la meraviglia, a farla passare da muta sorpresa a motore di un’interrogazione. Ho proposto il mio laboratorio a bambini della quarta elementare perché dai 9-10 anni si riesce ad accompagnarli nella fase della problematizzazione e procedere alla concettualizzazione. Naturalmente si tratta di indicazioni generiche, perché ci sono bambini che in età molto precoce sono sensibili all’interrogazione filosofica e veloci a utilizzare le diverse abilità di pensiero, come altri ben più grandicelli che invece dimostrano un sostanziale disinteresse o una vera difficoltà a passare dagli esempi al concetto.

Leggendo l’autobiografia di Teresa di Gesù Bambino, ma anche la corrispondenza dei genitori, soprattutto di mamma Zelia, ci si accorge che già da bambina la Santa di Lisieux aveva delle profonde intuizioni, che stanno fra la percezione metafisica della realtà e l’esperienza mistica, come quando è colta dall’immensità dell’oceano. Come aiutare i bambini a coltivare queste intuizioni?

Elena TorriElena TorriIl mio lavoro si propone come primo obiettivo quello di aiutare i bambini a chiarire meglio il loro pensiero, che in questa fascia di età si presenta spesso nella forma di un “mi sembra che”, “sento che”, cioè di un’impressione. Prendere in carico questa impressione spesso decisamente confusa, e tuttavia presente, è avvertito dal bambino come un atto di legittimazione: la sua impressione è legittima, può esistere, può essere pronunciata anche se confusa, può essere donata agli altri. Spesso chiusi in una logica scolastica dell’alternativa tra risposta giusta e sbagliata, il fatto di poter pronunciare una semplice impressione, e di non sentirsi dire subito dall’insegnante che la risposta è giusta o sbagliata, li disorienta e stupisce piacevolmente. Attraverso questo atto il bambino viene invitato a fidarsi non solo di quello che sente (l’impressione che ha veramente, anche se indistinta e confusa), ma anche degli altri (posso pronunciarmi). Da qui comincia il lavoro vero e proprio, quando attraverso le domande il bambino viene spinto a cercare di chiarire meglio quel sentire, quell’impressione. E’ attraverso questo lavoro di chiarimento, nel quale viene coinvolto il gruppo, che il bambino impara a distinguere, ad articolare, a organizzare, ad argomentare. Questo percorso, che si svolge sempre in modo collettivo, può portare ad esiti molto diversi rispetto all’ “intuizione” iniziale: l’impressione può uscirne confermata e rafforzata, venire abbandonata, o semplicemente persistere nonostante tutto. Il percorso non è mai inutile perché qualunque sia l’esito, l’impressione è stata fatta uscire dall’isolamento e ha creato confronto: è stata pronunciata, consegnata, vagliata, provata, eventualmente modificata - e tutto questo non dal bambino in solitudine, ma nel contesto del gruppo in cui vige un clima di benevolenza. In questo senso si può dire che la filosofia aiuta i bambini a coltivare le intuizioni, cioè a non lasciarle in sospeso, ma ad avventurarcisi con fiducia, con gusto, e insieme agli altri. 

Qual’è la cosa che ti colpisce di più in questa esperienza di insegnamento?

La terribile onestà dei bambini.

Per prepararti a questa esperienza hai seguito anche delle formazioni specifiche. Qual è lo scopo e le modalità che questa formazione propone, e in che ambito è nata questa esperienza?

Le formazioni seguite mi hanno dotata degli strumenti didattici per mettere in piedi un laboratorio di filosofia, che si distingue radicalmente da un corso di filosofia. La differenza è che durante il corso l’insegnante parla e trasmette un sapere, mentre nel primo sono i bambini a parlare, e possono dire quello che vogliono, il tragitto si disegna al momento e non c’è un obiettivo prefissato. L’animatore di un laboratorio si distingue da un insegnante che dà lezione perché deve saper suscitare le domande, lanciare il confronto, moderarlo se è troppo infuocato, rianimarlo se langue, cogliere le potenziali piste strada facendo, strutturare, rilanciare, e infine arrivare a una conclusione (non sempre soddisfacente per tutti i partecipanti – l’happy end non è garantito!). Insomma, una specie di giocoliere. Sostanzialmente si impara attraverso la pratica, e tuttavia le formazioni sono necessarie per mettere in evidenza le competenze, le difficoltà, le modalità (ci sono veri e propri metodi messi a punto per animare le discussioni filosofiche), per esercitarsi nell’una o l’altra abilità, per avere un feed-back costruttivo da parte di persone competenti. Per me che uscivo dal dottorato, dal silenzio delle biblioteche e dalle discussioni tra dotti della stessa nicchia, poter seguire queste formazioni è stata una vera fortuna.