Il 28 aprile è la data in cui, nel calendario carmelitano, viene ricordata la beata Maria Felicia di Gesù Sacramentato ("Chiquitunga"), monaca paraguaiana. Ripercorriamo la sua vita con un articolo del nostro Postulatore Generale (ricordiamo inoltre che sono stati recentemente pubblicati i suoi Pensieri per le Edizioni OCD).

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di P. Romano Gambalunga ocd

Maria Felicia Guggiari Echeverría, chiamata affettuosamente dal padre “Chiquitunga” a motivo del suo fisico minuto, nacque in Paraguay il 12 gennaio 1925 a Villarica dello Spirito Santo, prima di sette figli, da Don Ramón Guggiari e Donna Arminda María Echeverría. Fu battezzata l’8 febbraio del 1928 nella sua città natale. A partire dall’infanzia mostrò di essere dotata di splendide qualità umane e spirituali come l’allegria, la socievolezza, l’essere servizievole, la semplicità e la modestia, che si manifestavano in azioni semplici ma eloquenti.

Ad esempio sua mamma ricorda questo aneddoto: «Un giorno molto freddo Chiquitunga tornò da scuola tremante, perché aveva regalato il suo golfino a una bambina povera. Sua sorella l’accusò davanti a me e suo padre, però ella rispose: “Lo vedi, paparino, che non sento freddo?”, ripeteva passando le sue piccole mani sul braccio nudo e tremante».

A cinque anni entrò nel Collegio «Maria ausiliatrice» di Villarica, dove apprese senza più dimenticarsene ad amare la madre di Gesù e affidarsi a lei ogni giorno. La Vergine Maria occupò nella sua vita un luogo molto importante; la chiamava «mia Mammina, la Piena di grazia» e diceva: «Voglio soltanto appartenerti, Mammina, perché tu, prendendomi per le mani come una bambinetta, mi porti da Lui, l’unico, l’amore esclusivo del mio cuore».

A causa delle turbolente vicende politiche dell’epoca, il padre dovette andare in esilio. Fu così che Chiquitunga, concluso il quinto grado della scuola primaria, sospese per due anni gli studi per aiutare la mamma nei lavori domestici. Anche anni dopo, cercò sempre di aiutare la famiglia consegnando in casa i soldi che guadagnava con il suo lavoro.

Il giorno più importante della sua vita fu quello della prima comunione, che ricevette l’8 dicembre 1937 nella Cattedrale di Villarica. Anni dopo ricorderà così quel momento benedetto: «Non si cancellerà mai dalla mia mente il ricordo del giorno più felice della mia vita, il giorno della prima unione con il mio Dio e il punto da cui parte la mia risoluzione di essere ogni giorno più buona e migliore».

A 16 anni si iscrive all’Azione Cattolica dove è nominata responsabile della sezione delle bambine, chiamate “Piccole”. Questo movimento fu importante nella sua formazione, perché vi incontrò il grande ideale che orientò tutta la sua vita: far conoscere Gesù e far amare la Chiesa. Il 26 ottobre 1942, dopo quasi due anni di militanza, fece la sua Consacrazione all’Apostolato, che ella considerava la grazia più grande e sublime che Dio le aveva fatto, dopo il Battesimo e l’Eucaristia. Oltre alle iniziative istituzionali di apostolato dell’Azione Cattolica, aveva il cuore sempre aperto a tutti i bisognosi nel corpo e nello spirito, soprattutto i più poveri fra gli anziani, gli ammalati, gli abbandonati, gli incarcerati: «Mi vidi più di una volta andare tranquilla… di focolare in focolare prodigando anche solo un sorriso come frutto spontaneo della grazia palpitante nelle nostre anime, accese di Amore, Amore divino. Essere apostoli, Signore, che bel sogno!».

Quando la famiglia, nel febbraio 1950, si trasferì nella capitale, Maria Felicia proseguì gli studi per ottenere la facoltà di insegnare, cercò un lavoro con cui aiutare la numerosa famiglia e si reintegrò nelle file dell’Azione Cattolica, dove la sua fama di apostola per eccellenza l’aveva preceduta. Lì incontrò un giovane dirigente dell’Azione Cattolica – Ángel Sauá Llanes – con il quale visse una profonda amicizia condividendo il medesimo ardore missionario. Lo sbocco naturale di questa relazione sarebbe stato il matrimonio, che i genitori di Chiquitunga speravano, ma Ángel decise di entrare in seminario. Maria Felicia accettò con slancio la vocazione dell’amico che amava appassionatamente, promettendo di offrire la sua vita perché divenisse un sacerdote santo, come quelli che avevano incontrato sul loro cammino e che tanto li avevano aiutati a sperimentare la misericordia del Padre e a percorrere con fiducia e generosità la strada che egli indicava. Visse un periodo di lotta interiore e purificazione, che la confermò nell’amore esclusivo per Gesù e per il suo corpo ecclesiale, comprendendo lucidamente il significato di ciò che stava vivendo: «Avevo concepito molte volte quello che ora, Signore, è meravigliosa realtà: quanto sarebbe bello vivere un amore, rinunciare a questo amore e insieme immolarlo al Signore per l’ideale». Questo la condurrà a interrogare con forza il Maestro amato: «Tu che conosci le mie ansie di apostolato, di zelo per la salvezza delle anime, aiutami: che sappia dove vuoi la consacrazione integrale di tutto il mio essere…!». Da un lato stava il desiderio di lodare e servire Gesù quale Sposo nella clausura di un monastero, dall’altro la necessità interiore di raggiungere ogni ambiente per portare il Vangelo.

La risposta non tarderà ad arrivare. Il 20 agosto del 1952 ebbe un incontro provvidenziale con Madre Teresa Margherita, la Priora del Monastero delle Carmelitane Scalze, che era ricoverata nell’Ospedale Spagnolo della città: la conversazione con lei fu illuminante e dipanò i dubbi vocazionali che l’avevano accompagnata negli ultimi mesi. Orientò i suoi passi verso la vita contemplativa, decidendo di entrare nel monastero delle Carmelitane Scalze di Assunzione il 2 febbraio del 1955, festa della Presentazione del Signore al Tempio, contro la volontà del padre, che non capiva la sua scelta. Iniziò la sua vita carmelitana con grande fervore: «Sono esattamente 18 giorni di costante e ininterrotta gioia in questo Santo Carmelo, nel quale Dio Nostro Signore, con infinita misericordia, mi ha chiamato, e tremo in verità a dire questa parola sapendo quanto sono misera e peccatrice». Madre Teresa Margherita in poche parole riassunse lo spirito con cui da subito Maria Felicia viveva la vita monastica: «Grande spirito di sacrificio, carità e generosità, tutto avvolto in una grande mansuetudine e comunicativa allegria, sempre vivace e scherzosa». Prima di vestire l’abito, non mancò la prova: con il bisogno che c’è di evangelizzare il mondo, sarà veramente volontà di Dio che mi rinchiuda per tutta la vita in monastero? Risolto il dubbio con l’aiuto del confessore e della Madre Priora, iniziò con grande slancio il noviziato, facendo la professione semplice il 15 agosto 1956. Giorno dopo giorno si realizzava così in maniera totalizzante il suo famoso motto «Tutto ti offro Signore», da lei sintetizzato a mo’ di formula chimica nella sigla “T2OS”.

Nel gennaio del 1959 fu affetta da una grave epatite infettiva, che la costrinse a un ricovero d’urgenza. Dal sanatorio dov’era ricoverata scriveva: «Sto già aspettando Gesù. Vorrei riempirmi solamente del suo amore e non vivere se non per Lui. Spero soltanto di compiere la sua volontà. Non voglio altro». Il male cessò apparentemente all’inizio della Quaresima, permettendole di rientrare nell’amata comunità religiosa per prepararsi a celebrare la Pasqua. Fu un’illusione, perché il lunedì della settimana santa, visitata dal medico a causa di un malessere, le fu diagnosticata. Ricoverata nuovamente, visse i suoi ultimi giorni in ospedale, totalmente consegnata alla volontà di Dio. La mattina del 28 aprile 1959, prima di rendere il suo spirito al Signore, chiese che le fosse letto il poema di Teresa d’Avila “Muoio perché non muoio”, che canta le pene dell’anima talmente piena di amore ardente per Cristo da morire dalla voglia di essere con Lui. Lo ascoltò con il volto molto allegro, ripetendo il ritornello «… che muoio perché non muoio». Al padre che si era avvicinato al Signore comprendendo la scelta della figlia, disse: «Paparino amato, sono la persona più felice del mondo. Se sapessi cos’è la religione cattolica!». Si addormentò nelle braccia del Padre celeste dopo aver pronunciato le parole: «Gesù ti amo! Che dolce incontro! Vergine Maria!».

Le esequie furono una manifestazione spontanea e in buona parte insperata, della fama di santità e dell’affetto che il popolo nutriva nei suoi confronti. La convinzione della gente, cresciuta esponenzialmente durante questi decenni, era che “è morta una santa”.