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Alta, i capelli biondi sulle spalle, lo sguardo pieno di luce, un volto dolcissimo, reso ancor più bello dal sorriso. Questa era Maria Teresa Gonzales-Quevedo. Qualcuno disse pure che sembrava una diva del cinema, tanto erano la sua avvenenza e il suo indefinibile fascino. Teresa era nata a Madrid il 14 aprile 1930, Sabato Santo.

Il padre, Callisto, era un noto medico della capitale. Crebbe in una grande casa al centro di Madrid, nel cuore elegante della capitale, la piazza d'Oriente, di fronte al Palazzo Reale. Le piaceva molto giocare alla pelota, un po’ meno studiare. Era una ragazza vivace, simpatica, ricercata da tutti. Una madrilena autentica, con uno straordinario senso dell’umorismo, ma anche con una certa inquietudine in fondo all’anima che, a poco a poco, l’avrebbe condotta lontano, molto al di là di quanto lei stessa potesse prevedere, fino alla donazione totale al Signore. 

Di questa strana inquietudine ne abbiamo traccia in un appunto da lei scritto quando aveva solo dieci anni, sia pure storpiando un po’ la grammatica: “O deciso di essere santa”. In tale impegnativo progetto di vita la Vergine Maria le apparve come la via migliore, quasi una scorciatoia, che l’avrebbe condotta fino alle vette della santità. Teresita lo comprende molto presto e, già nel 1944, si consacra alla Madonna nella “Congregazione Mariana”. Sulla medaglia-distintivo della Congregazione fa incidere il suo impegno: “Madre mia, chi guarda me, veda Te”. 

Qualche tempo dopo, durante una celebrazione mariana del mese di maggio, Teresita formula un preghiera particolare, esprimendo qualcosa che sente profondamente dentro, anche se ancora in modo non molto chiaro: “Madre mia, dammi la vocazione religiosa!”. Ma ecco che subito dopo si sentì turbata, comprendendo la portata della sua preghiera. “Mentre uscivo - confiderà poi ad una amica - mi venne una paura terribile al pensare: E se la Madonna me la dà veramente?!...”. 

A 17 anni, ammirata e corteggiata da molti, lascia tutto per entrare nel convento delle Carmelitane della Carità. Durante il noviziato legge la “Storia di un'anima” di S. Teresa di Lisieux, e annota nel suo diario: “La piccola via di Santa Teresina mi piace molto, però per me, questa via deve passare attraverso la Santa Vergine. L'amore alla Vergine, proprio perchè porta a Gesù, è l'unica realtà che riempie la vita. Io non capisco come ci siano persone alle quali la Madonna sia indifferente!”. 
Man mano che il tempo passa, anche se non ha ancora vent’anni, cresce in lei il desiderio di vedere Maria e di stare con lei per l’eternità. All’inizio dell'Anno Santo 1950, questo suo desiderio diventa convinzione: “Siccome quest'anno ci sarà una festa molto grande (la proclamazione del dogma dell’Assunta), la Madonna non mi può lasciare qui: quel giorno, lo passerò con la Madre celeste”. 

Il 18 gennaio 1950, suor Teresita avverte un forte dolore alla testa. La Madre Maestra, in un primo momento ottimista, crede poi più prudente chiamare il padre, anche per la sua professione di medico, ma senza temere ancora nulla di grave. Il dottor Quevedo, al contrario, si rese subito conto della gravità del caso. La diagnosi non lasciava speranze: meningite tubercolare. La notte del Sabato Santo, 8 aprile 1950, Teresa esclama a gran voce: “Madre mia, vieni a prendermi e portami con Te, in Paradiso!”. Furono le sue ultime parole, prima di entrare nella gioia eterna. 

Il 9 giugno 1983, Giovanni Paolo II ha riconosciuto l’eroicità delle sue virtù, dichiarandola “Venerabile”, nell’attesa di vederla presto elevata, a Dio piacendo, alla gloria degli altari.

(fonte: Maria Di Lorenzo, www.santiebeati.it)