di P. Ermanno Barucco ocd

admensam

Seguendo la “tradizione carmelitana”, nei refettori dei conventi e monasteri carmelitani si trovano spesso due “scritte” poste ai lati di una croce: la prima scritta, a sinistra, è «Ad mensam sicut ad crucem»; la seconda, a destra, è «Ad crucem sicut ad mensam». L’origine di questa tradizione è fatta risalire, così viene sovente detto ai “novizi carmelitani”, a san Giovanni della Croce.

L’interpretazione letterale-ascetica

L’interpretazione letterale ha alla base una motivazione ascetica, da vivere nel momento dei pasti nei refettori conventuali: «alla mensa come alla croce», cioè quando mangi vivi la dimensione della croce, mortificati, digiuna, portando, dietro a Cristo, la tua croce; «alla croce come alla mensa», cioè quando porti la croce – nella vita, nelle sofferenze, nel digiuno, nelle persecuzioni, nell’attività apostolica – vivi la dimensione gioiosa come quando vai a mangiare nel giorno di festa. La croce al centro delle due scritte – che come è tipico nella tradizione carmelitana è spoglia, cioè senza crocifisso sopra – indica allo stesso tempo sia la croce da portare dietro a Gesù, rinnegando se stessi, sia la croce trasfigurata dalla gioia festiva, perché il corpo di Cristo non è più crocifisso sulla croce, è risorto. Questa dimensione ascetica ci fa intravedere alcuni barlumi della “croce gloriosa”, non il “fulgente mistero della croce”.

L’interpretazione spirituale-mistica

L’interpretazione “spirituale” ha accenti più “mistici”, vorrebbe cioè aiutarci a vivere il “mistero pasquale” nel sacramento dell’eucarestia e a vivere così anche una mistica del “pane quotidiano” che il Signore ci dona. L’interpretazione spirituale si colloca nel Triduo pasquale: dalla messa in Coena Domini del giovedì sera, passando per la croce del venerdì, fino all’eucarestia nuova della Veglia pasquale. In effetti, «alla mensa come alla croce»: «Ad mensam» è intesa come l’eucarestia dell’ultima cena che “anticipa” il sacrificio della croce, «sicut ad crucem», croce verso la quale Gesù è diretto per morire e dare la sua vita per liberarci dal peccato. Inizia così l’attesa di una nuova mensa che “sgorga” dalla croce, croce che si trasfigura in vessillo della vittoria di Cristo che ha sparso il suo sangue. Infatti si vive il momento della croce di Gesù in quanto innalzamento del Figlio, e guardandolo si crede in lui per avere già la vita eterna, che ci è “anticipata” dall’eucarestia del giorno della Resurrezione: «alla croce come alla mensa». «Ad crucem», cioè alla morte di Cristo in croce, trasfigurata dalla luce che viene dal banchetto pasquale, «sicut ad mensam», come all’eucarestia pasquale e domenicale. È in questa dinamica pasquale del mistero di Cristo che si vive il digiuno e poi il banchetto festivo – e anche il chiedere il “pane quotidiano” e il ringraziare per esso – come partecipazione al destino dello Sposo che è stato tolto e poi ritorna, presente, alla nuova festa di nozze, “anticipo” del banchetto che ci sarà preparato in cielo.

Ricerca dell’origine di questa tradizione carmelitana: alcuni “testimoni” che la trasmettono

Ci piacerebbe suscitare una ricerca storica su questa tradizione carmelitana, per comprendere meglio l’origine di queste scritte nei refettori carmelitani. Quello che possiamo fare noi è fissare alcune tracce storiche che per il momento siamo riusciti a reperire anche attraverso internet. La prima l’abbiamo trovata nella Summa theologiae mysticae del Carmelitano Scalzo padre Filippo della Santissima Trinità (1603-1671), uno storico dell’Ordine che è provinciale di Francia nel 1656 quando l’opera è pubblicata a Lione. Il contenuto è questo: mentre si mangia e si nutre il corpo occorre anche nutrire l’anima con l’ascolto della parole di Dio o di autori cristiani, meditando e ruminando queste parole. Trattando poi della mortificazione del senso del “gusto” si esorta a non dilettarsi della bontà del cibo e del sapore, ma a renderlo insipido in vari modi. Pur ringraziando Dio per il cibo fornito dalla provvidenza, il testo esorta a recarsi a mangiare andando “alla mensa come alla croce” e “alla croce come alla mensa”, cioè studiando i modi per mortificare il gusto, poiché sarebbe pericolosissimo non mortificarlo. Le stesse parole di questo libro sono state poi riprese dal Directorium mysticum del Carmelitano Scalzo portoghese padre Antonio delle Spirito Santo, pubblicato nel 1677 ancora a Lione. In entrambi i proemi di queste due opere si dice che si vuole esporre la dottrina mistica sulla base dei Padri della Chiesa e dei grandi Dottori spirituali, facendo riferimento in particolare a santa Teresa d’Avila. Poi sono citati anche alcuni autori spirituali carmelitani scalzi della prima generazione dell’Ordine: Giovanni della Croce, Giovanni di Gesù Maria, Tommaso di Gesù. Infatti Filippo della Santissima Trinità (1603-1671) scrive anche la biografia di Domenico di Gesù Maria (1559-1630), quest’ultimo spiritualmente vicino a Giovanni di Gesù Maria (1564-1615), che era stato vicino a san Giovanni della Croce (1542-1591). Bisognerebbe capire se è questa la linea della “tradizione carmelitana” che potrebbe collegare le frasi del refettorio con san Giovanni della Croce. Il tutto è incerto, ma non impossibile. Bisognerebbe forse consultare anche le prime fonti giuridiche dell’Ordine cercando le disposizioni architettoniche riguardanti i refettori. Per questo serve una ricerca storica più approfondita… (e magari qualcuno l’ha già svolta e noi non lo sappiamo).

Un legame con san Bernardo…

heiligenkreuzCiò che ci ha incuriosito nella ricerca in internet di queste due frasi è di aver trovato la prima, «ad mensam sicut ad crucem», attestata da un affresco (datato 1687-1688) presente in un refettorio di un’abbazia cistercense, quella di Heiligenkreuz (santa croce) in Austria. Cercando in questa direzione, abbiamo rinvenuto in alcune opere devozionali del XVII-XIX secolo l’attribuzione a san Bernardo della prima o di entrambe le formule carmelitane, o della frase «ad mensam tan[m]quam ad patibulum [ad torturam]». Ma nelle opere di san Bernardo non sono presenti. Abbiamo però trovato la frase «sicut ad crucem, sic accedas ad cibum» in un opuscolo attribuito a san Bernardo: Formula honestae vitae (PL 184, 1170A), molto conosciuto come Speculum de honestate vitae, pubblicato a stampa già intorno al 1473 e attestato da diversi manoscritti anteriori. Oggi è considerato come un’opera dello Pseudo-Bernardo e attribuita a volte ad un certo Bernardo Silvestre, contemporaneo di san Bernardo (XII secolo). La nostra ricerca nelle opere di san Bernardo ha però portato un altro frutto: «Ad tormenta sicut ad ornamenta, ad poenas sicut ad delicias ibant», rintracciato in uno dei Sermones de diversis (Sermo XVI, 6: PL 183, 582B). Qui si tratta più dell’esortazione al martirio ed è da notare che pur essendoci la stessa struttura grammaticale tipica delle due frasi carmelitane non abbiamo la specularità di queste ultime. E per tornare all’affresco dell’abbazia austriaca, non si spiega perché si usi la forma “carmelitana” e non quella dello Pseudo-Bernardo. Gli influssi possono quindi essere stati reciproci: prima (probabilmente) le formule d’origine bernardina producono le due formule carmelitane, poi avviene il ritorno (probabilmente) della prima formula carmelitana in un’abbazia “bernardina” perché attribuita al Santo. Ci si potrebbe infine chiedere se lo Pseudo-Bernardo abbia letto questa frase di sant’Agostino: «Hoc me docuisti Domine, quemadmodum medicamenta, sic alimenta sumpturus accedam», «Tu mi hai insegnato ad accostarmi agli alimenti per prenderli come medicamenti» (Confessioni X,31,41). Si trattasse pure di un possibile influsso, si avvertono comunque sfumature diverse.

Queste riflessioni attendono di essere completate con l’apporto di altri contributi…