di P. Aldino Cazzago ocd

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Vent’anni fa, il 6 gennaio 2001, al termine del Grande Giubileo del Duemila, Giovanni Paolo II firmava la lettera apostolica Novo millennio ineunte. In quel testo il pontefice tracciava un primo bilancio delle grandi celebrazioni giubilari che avevano coinvolto milioni di cattolici in tutto il mondo e specialmente nella città di Roma e gettava un primo sguardo sul futuro della Chiesa.

Seppur in diversa misura, nei documenti del magistero pontificio si riflette anche il contesto storico, sociale ed ecclesiale in cui è stato scritto. Per fare solo due esempi basta pensare alla questione sociale al centro della Rerum novarum di Leone XII e ai nuovi scenari sociali sorti dopo la caduta del Muro di Berlino oggetto della Centesimus annus dello stesso Giovanni Paolo II.

Il nuovo millennio

Con le dovute differenze, analogo discorso può essere fatto anche per la Novo millennio ineunte, ponendo però attenzione alla scelta operata dal pontefice. Si tratta di una scelta che illustra bene il punto di osservazione in cui egli si è collocato quando ha posto mano alla sua riflessione sulla futura vita della Chiesa. Tale punto di vista ha nel termine «millennio» il suo punto di forza e il suo angolo, per nulla angusto, di visuale. Una seppur indiretta conferma di ciò sta in una semplice constatazione: lungo i 59 paragrafi della Novo millennio ineunte il termine «millennio» compare per ben 30 volte, mentre il termine «secolo», spesso riferito a quello appena iniziato, solo 13.

Sapendo che la vita di un uomo è generalmente più breve di quella di un secolo - «settanta [anni], ottanta per i più robusti» dice il Salmo 90 - pretendere di gettare uno sguardo su un intero millennio potrebbe essere giudicato un azzardo. Chi ama il mare non si fa impaurire dalla sua vastità. Scrive il pontefice: «Andiamo avanti con speranza! Un nuovo millennio si apre davanti alla Chiesa come oceano vasto in cui avventurarsi, contando sull’aiuto di Cristo» (n. 58). Il problema non è sapere quanto sia vasto l’oceano, ma da chi farsi accompagnare durante la lunga traversata. «Il Figlio di Dio, che si è incarnato duemila anni or sono per amore dell’uomo - sono ancora le sue parole - compie anche oggi la sua opera: dobbiamo avere occhi penetranti per vederla, e soprattutto un cuore grande per diventarne noi stessi strumenti» (n. 58).

Proprio perché non ancora accaduto, il futuro conserva tutta la sua inconoscibilità, e per non fare di Giovanni Paolo II un indovino è sufficiente leggere quanto egli scrive al paragrafo n. 35: «Non sappiamo quali eventi ci riserverà il millennio che sta iniziando, ma abbiamo la certezza che esso resterà saldamente nelle mani di Cristo, il “Re dei re e Signore dei signori” (Ap 19,16)».

I capitoli terzo e quarto della lettera, che si intitolano rispettivamente Ripartire da Cristo e Testimoni dell’Amore, si presentano al lettore come due grandi mosaici, le cui tessere costituiscono altrettanti temi o «priorità pastorali» (n. 29) nei quali la Chiesa e i cristiani sono e saranno chiamati ad essere una rinnovata e creativa testimonianza dell’amore di Dio per gli uomini.

Chi segue con attenzione il pontificato di papa Francesco coglierà facilmente come alcuni dei temi e delle «priorità» per il nuovo millennio, individuate da Giovanni Paolo II, stiano trovando risposta in alcuni dei suoi testi e delle sue iniziative. Qui ci limitiamo a ricordarne tre.

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La santità

La prima delle «priorità pastorali» della Chiesa che Giovanni Paolo II individua per il nuovo millennio è quella della chiamata alla santità di tutto il popolo di Dio. Ecco le sue parole: «E in primo luogo non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità» (n. 30). Nel paragrafo successivo egli così prosegue: «In realtà, porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la convinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l'inserimento in Cristo e l'inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalistica e di una religiosità superficiale» (n. 31).

Con l’esortazione apostolica Gaudete et exsultate del 2018 papa Francesco ha fatto interamente sua questa «priorità pastorale» indicata da Giovanni Paolo II. Fin dal primo paragrafo egli così si esprime: «Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente».

L’esortazione Gaudete et exsultate si presenta come una autentica guida per una paziente e personale costruzione di una vita di santità. Letta con attenzione si rivela di una straordinaria ricchezza di riflessioni e di indicazioni pratiche per la vita quotidiana anche delle comunità cristiane.

Alla santità non si giunge mediante un cammino uguale per tutti perché molte sono le vie che si possono percorrere per farne esperienza ed è per questo che Giovanni Paolo II ha parlato di una «vera e propria pedagogia della santità» (n. 32). In questa «pedagogia» riveste una parte fondamentale l’«arte della preghiera» (n. 32).

In perfetta sintonia con il pensiero di Giovanni Paolo II papa Francesco scrive che «malgrado sembri ovvio, ricordiamo che la santità è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione». Poi così prosegue: «Il santo è una persona dallo spirito orante, che ha bisogno di comunicare con Dio. […]. Non credo nella santità senza preghiera, anche se non si tratta necessariamente di lunghi momenti o di sentimenti intensi» (n. 147).

L’«ascolto della Parola di Dio»

Una seconda «priorità pastorale» indicata da Giovanni Paolo II e che papa Francesco ha fatto propria con una specifica decisione riguarda la Parola di Dio nella vita del cristiano. Il primo scrive così a questo proposito: «Non c'è dubbio che questo primato della santità e della preghiera non è concepibile che a partire da un rinnovato ascolto della parola di Dio. […] In particolare è necessario che l’ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell’antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l'esistenza» (n. 39).

All’ascolto della Parola di Dio è strettamente connesso il tema della evangelizzazione. Il paragrafo n. 41 della Novo millennio ineunte si apre con queste parole: «Nutrirci della Parola, per essere “servi della Parola” nell'impegno dell'evangelizzazione: questa è sicuramente una priorità per la Chiesa all'inizio del nuovo millennio».

Le parole appena riportate hanno trovato una originale e significativa realizzazione nella decisione di papa Francesco di istituire la Domenica della Parola di Dio (cfr. lettera apostolica Aperuit illis del 30 settembre 2019). Scrive papa Francesco: «Il giorno dedicato alla Bibbia vuole essere non “una volta all’anno”, ma una volta per tutto l’anno, perché abbiamo urgente necessità di diventare familiari e intimi della Sacra Scrittura e del Risorto, che non cessa di spezzare la Parola e il Pane nella comunità dei credenti» (n. 8).

La fantasia della carità, la fantasia della misericordia

La terza «priorità pastorale» di cui, secondo Giovanni Paolo II, la Chiesa è chiamata a farsi carico è quella della carità intesa anzitutto come condivisione dell’amore di Dio per ogni uomo. Scrive il pontefice: «È un ambito, questo, [quello della carità] che qualifica in modo ugualmente decisivo la vita cristiana, lo stile ecclesiale e la programmazione pastorale. Il secolo e il millennio che si avviano dovranno ancora vedere, ed anzi è auspicabile che lo vedano con forza maggiore, a quale grado di dedizione sappia arrivare la carità verso i più poveri. Se siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi» (n. 49). L’azione caritativa non è di certo l’ultima e la meno importante tra le attività della Chiesa perché essa qualifica il suo modo di essere e determina la sua «programmazione ecclesiale».

Se «con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» (Gaudium et spes, n. 22), ciò che è in gioco nella carità non è un generico e pur sincero sentimento di bontà e di altruismo ma il fondamento stesso della fede cristiana. Dopo aver richiamato il brano del capitolo 25 del Vangelo di Matteo dove Gesù si è identificato con i malati, i carcerati, gli affamati, Giovanni Paolo II afferma che «stando alle inequivocabili parole del Vangelo [quelle di Mt 25], nella persona dei poveri c’è una sua presenza speciale, che impone alla Chiesa un’opzione preferenziale per loro» (n. 49).

Nuove forme di povertà vanno oggi aggiungendosi a quelle più vecchie e tradizionali e come nei millenni trascorsi la Chiesa ha saputo rispondere a queste ultime, così è necessario che con «ancora maggiore inventiva» (n. 50) essa sappia far fronte anche a quelle più recenti. Le seguenti parole del papa sono un invito a un nuovo coinvolgimento di tutti i cristiani: «È l’ora di una nuova “fantasia della carità”, che si dispieghi non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia sentito non come obolo umiliante, ma come fraterna condivisione» (n. 50).

Ora, qualsiasi osservatore del pontificato di papa Francesco può facilmente constatare come il tema della carità verso gli ultimi e la preoccupazione verso la «cultura dello scarto delle persone» (Ai Gesuiti, 26 ottobre 2016) siano una costante delle sue parole (cfr. Evangelii gaudium, nn. 186-216) e dei suoi gesti fin dall’inizio del suo pontificato. La decisione che, però, ha plasticamente dato forma alla «fantasia della carità» che Giovanni Paolo II evocava nel 2001 è stata senza dubbio quella con la quale il 20 novembre 2016, al termine del Giubileo della Misericordia, ha istituito la Giornata mondiale dei poveri da celebrarsi nella domenica precedente la solennità di Gesù Cristo Re dell’universo. Questa giornata nasce dalla «fantasia della misericordia per dare vita a tante e nuove opere, frutto della grazia» (n. 18) come egli ha ricordato nella lettera Misericordia et misera con la quale la istituiva.

Le finalità della giornata papa Francesco le ha spiegate con queste parole: «Sarà una Giornata che aiuterà le comunità e ciascun battezzato a riflettere su come la povertà stia al cuore del Vangelo e sul fatto che, fino a quando Lazzaro giace alla porta della nostra casa (cfr. Lc 16,19-21), non potrà esserci giustizia né pace sociale. Questa Giornata costituirà anche una genuina forma di nuova evangelizzazione (cfr. Mt 11,5), con la quale rinnovare il volto della Chiesa nella sua perenne azione di conversione pastorale per essere testimone della misericordia» (n. 21).

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Conclusione

A due decenni di distanza da quel 6 gennaio 2001, alcune delle «priorità pastorali» individuate da Giovanni Paolo II per il futuro della vita della Chiesa hanno trovato una significativa attuazione e verifica nel ministero di papa Francesco. Individuate al termine del Grande Giubileo dell’Anno duemila, queste «priorità» accompagnano e accompagneranno la Chiesa nel tempo del suo lungo pellegrinaggio che nel paragrafo iniziale della Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II spiegava così: «Duc in altum! Questa parola risuona oggi per noi, e ci invita a fare memoria grata del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al futuro: “Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre!”» (Eb 13,8).

Passato, presente e futuro sono le tre dimensioni del tempo a cui anche papa Francesco ha invitato a guardare. Pur indirizzate ai religiosi (Lettera in occasione dell’Anno della Vita Consacrata, 21 novembre 2014), le sue parole si addicono dunque anche a tutta la Chiesa: «guardare il passato con gratitudine» (I, n. 1), «vivere il presente con passione» (I, n. 2) e «abbracciare il futuro con speranza» (I, n. 3).