di Michele Ciapetti

 

mauriacFrançois MauriacQuando nel 1936 François Mauriac comincia a scrivere la sua Vie de Jésus, il genere è già ampiamente diffuso nella cultura europea, e per certi versi va incontro a una formalizzazione sempre crescente.

L'opera di Mauriac tende a distanziarsi dai modelli noti: dall'ingenua cristologia emotiva di Renan, dal clamore scientifico di Schweitzer, Strauss o Bultmann dalla «narrazione della crisi esistenziale» alla Papini.

Il tentativo di Mauriac è quello «di non strappare Cristo all'ombra che limita il nostro quotidiano»: guardando alla sua inevitabile presenza senza compiacersi di suscitare il fuoco di domande ulteriori a quella prototipica: «voi, chi credete che io sia?».

Nella Vie de Jésus i nomi di san Giovanni della Croce e di santa Teresa di Gesù tornano quattro volte.

Nel capito XI — attorno al dialogo di Gesù con i discepoli di Giovanni il Battista — Mauriac scrive:

 

Il Figlio dell'uomo si irrita del pregiudizio dei discepoli di Giovanni riguardante il digiuno: si può entrare nel Regno ridendo o lacrimando. Ma gli Ebrei non vogliono né lacrime né riso. Ancora oggidì il Cantico del Sole di Francesco d'Assisi non disarma coloro tra noi che san Giovanni della Croce respinge.

 

È un passo interessante, pur se contenuto. Mauriac tratteggia attraverso la figura dei due santi un'opposizione, come di due sentieri diversi ma ugualmente diretti al Regno. Abiterà in Dio chi mangia o chi digiuna? Chi ride o chi piange? Chi si stringe nell'ascesi o chi si abbandona all'estasi?

San Francesco propone l'affratellamento gioioso dello spirito e delle creature, in un ordine poetico che sembra salire sempre più in alto, lungo i trentatré versi del Cantico, fino a toccare Dio, posto al centro di questo turbinio di realtà materiali.

San Giovanni della Croce in un apparente contrario indica la presenza divina nel distacco da ogni esteriorità e l'annientamento delle percezioni distinte. I colori e il movimento si perdono nella profondissima notte dello spirito.

Due esperienze certamente non riducibili l'una all'altra, ma riunite dal medesimo fine e dalla saggezza della Chiesa che le ammette e le incoraggia entrambe, disegnando così l'interezza dell'esperienza umana come porta di accesso al mistero divino. Aperta è la via del pianto come quella del riso: morte e vita hanno entrambe conosciuto il Signore e ne conservano l'impronta.

È lo stesso Mauriac a dare poi il segno di questa unità. Nel cap. XIII, Teresa e Francesco sono citati insieme:


[Gesù] manda i discepoli a due a due, e impone loro la povertà assoluta. La sola regola giudicata irragionevole dalle generazioni che seguiranno, e non potuta fondare nella purità né da Francesco d'Assisi né da Teresa, è la regola dello stesso Cristo.

Teresa e Francesco sono qui posti come l'esempio più alto dell'abbandono di ogni cosa per Cristo. Nello sprezzare il possesso del mondo per condurre nella sua radicalità la sequela Christi Teresa e Francesco si ritrovano a salire insieme la stessa irraggiungibile vetta.

«La sola regola giudicata irragionevole dalle generazioni che seguiranno...» dice Mauriac, sottolineando la necessità di attendere il compimento delle nostre ricerche da un Altro.

I nomi di santa Teresa e di san Giovanni della Croce ritornano ancora ai due elenchi di santi presenti nell'opera. Al capitolo XXV san Giovanni è citato con Paolo, Agostino, Bonaventura, Tommaso e ancora Francesco tra gli uomini «colmi dei doni dello Spirito».

Teresa appare invece nel capitolo sulla Resurrezione, il ventisettesimo, tra coloro che hanno ricevuto la visita di Gesù dopo l'Ascensione, insieme a Paolo, Francesco d'Assisi, Caterina da Siena, Margherita Maria Alacoque e il Curato d'Ars.

Il Carmelo è quindi indicato nell'opera come luogo privilegiato dove intraprendere la ricerca di Dio, attraverso le figure dei due fondatori, che restano i nomi più citati tra quelli non contemporanei a Gesù. Sono indicate insieme l'altissima aderenza al mandato di Cristo —viene rimarcata in particolare la scelta di una vita lontana dal possesso— e una originalità intrinseca al carisma carmelitano, che non permette a Mauriac di rintracciare esperienze analoghe o somiglianti, trattenendolo più di una volta sui nomi di Giovanni e Teresa.