di F. Iacopo Iadarola ocd

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“Stasera finalmente scopriamo una cosa: l’amore non è un mistero”

Amo Benigni: proprio di recente ho avuto modo di apprezzare le sue sagge interviste circa la bellissima trasposizione di Pinocchio di Matteo Garrone, in cui genialmente ha citato il cardinal Giacomo Biffi per ricordare che dietro i capelli della fata Turchina si nasconde il blu delle nostre madonne italiane.

A questo riguardo, ho trovato il nostro premio Oscar molto più sublime nei panni dimessi di un Geppetto che non negli stessi panni del suo Pinocchio, in cui forse gigioneggiava un po’ più del dovuto. Così come trovo la vera grandezza di Benigni nei piccoli circuiti un po’ sconosciuti, quali i film di Jim Jarmusch o le celebrazioni valentiniane a Terni di qualche anno fa, in cui si è speso in una lettura impeccabile del Cantico dei cantici

Proprio perché memori di un’esecuzione così sapiente siamo rimasti tutti con un po’ di amaro in bocca per la sua rilettura del Cantico dei cantici di mercoledì sera che, quindi, non è stata affatto la prima in televisione come vantato dallo stesso Benigni: c’era già arrivata la tv dei vescovi trasmettendo la sua performance del 2006 (è reperibile qui sotto e la raccomando vivamente, bellissima!).

Ma veniamo ai punti salienti di questa sua nuova rilettura, da san Valentino a san Remo: Il Cantico è di un canto “erotico santissimo”, per questo è sempre stata una lettura scomoda e “i rabbini” e la Chiesa hanno tentato di smorzarne lo scandalo o fornendone un’interpretazione spirituale “per tenere nascosto il messaggio di amore fisico”, o attenuando la traduzione dei termini erotici più espliciti e misteriosi. Ma in realtà, secondo Benigni, il Cantico è “semplicissimo”, non c’è mistero, perché “stasera finalmente scopriamo una cosa: l’amore non è un mistero, ma l’amore è il luogo dove si dissolve il mistero, finalmente abbiamo capito! Questo è il Cantico dei cantici!”

Ora, a parte la citazione di Nicolás Gómez Dávila non dichiarata[1] e la lievemente risibile pretesa di risolvere il mistero dell’amore in prima serata a san Remo, in questa introduzione al Cantico è saltata subito all’orecchio qualcosa che non quadra. Se il Cantico in definitiva tratta solo di amore umano, se è solo erotismo e amore fisico, perché il buon Benigni ha dovuto parlare a suo riguardo e a più riprese di “miracolo”, di “meraviglia del cielo”, di “amore come frammento di infinito”, che rende la nostra vita “almeno per un momento immortale” (citando un altro verso, non dichiarato, della grandissima Wisława Szymborska[3])? Evidentemente, nonostante le petizioni di principio, non c’è soltanto “un messaggio di amore fisico” nel Cantico dei cantici, e lo stesso Benigni deve ammettere dopo pochi minuti, in maniera un po’ moralistica, che nelle nuove generazioni “c’è un gran parlare di sesso, di erotismo, di filmini erotici, ma si fa poco l’amore”: eccolo qua dunque il Mistero che, appena buttato fuori dalla porta, rientra trionfalmente dalla finestra. Ci si prefiggeva di svelare il “messaggio di amore fisico” nascosto da secoli di occultamento di “interpretazioni spirituali” e si scopre all’improvviso che, a monte, questo amore fisico era già qualcosa che rimandava di suo a un autotrascendimento spirituale, a un fare sesso che mira a fare l’amore, che deve ineluttabilmente impastarsi di miracoli, di immortalità e di infinito pena il suo ricadere e decadere in mera ginnastica. Senza questo corto circuito, nell’introduzione al Cantico dei cantici che aveva fatto a Terni nel 2006 molto più sapientemente Benigni aveva riconosciuto che il mistero dell’amore umano non si svela con così tanta facilità: forse perché si era fatto guidare non dalle boutade di Gómez Dávila, ma dalla grandezza di Dante di cui aveva citato la famosa terzina proprio riguardo alla giusta posizione ermeneutica da assumere nei confronti del Sancta sanctorum delle Scritture, il Cantico dei cantici:

O voi ch’avete li ’ntelletti sani,
mirate la dottrina che s’asconde
sotto ’l velame de li versi strani (Inferno IX, 61-63).

Parimenti, come ogni poeta erotico sa bene, la quintessenza dell’erotismo, e la sottile differenza fra questo e la pornografia, passa precisamente per questo velame che deve rimanere pena uno “spiattellamento” del mistero che abolisce ogni umano eccitamento ed erade ogni forma di arte. Dico questo senza alcuna mira etica, apologetica o confessionale, ma da amante della poesia sic et simpliciter. Prendere quella che correttamente Benigni addita come una fra le vette dei testi poetici dell’umanità, e presumere di “svelarne” ogni mistero, fornendo un testo “primitivo” senza attenuazioni terminologiche ma in realtà scivolando in scelte di traduzione che sono non soltanto di squallido gusto ma esegeticamente ridicole[4], è qualcosa che non rende onore alla bellezza delle lettere e del genio umano, e basta – mentre non interessa minimamente in questa sede difendere, come altri stanno tentando di fare, il cristianesimo dagli “attacchi” di san Remo.

Povera Saffo, povera Sulamita…

Gustave Moreau Song of Songs Cantique des Cantiques Google Art Project 001

Non solo. Un’altra scantonatura benigniana su cui si sta discutendo molto in queste ore è quella, definita giustamente come un tributo al “politicamente corretto”, di dipingere l’amore fra il lui e la lei poetato dal Cantico come “rappresentativo” – ma non si doveva attenere al nudo testo, senza interpretazioni allegoriche? – dell’amore di tutte le coppie del mondo, “di una donna per la propria donna, di un uomo per il proprio uomo, di ogni persona che ama, perché ama per amare”. Anche qui, non mi interessa minimamente aggiungermi in questa sede alla fila, che s’ingrossa ad ogni momento, di coloro che si stracciano le vesti vedendovi l’ennesimo attacco al cristianesimo da parte dell’ideologia gender (che pur c’è, e anche papa Francesco ce lo ricorda ogni tre per due). Parlo e scrivo indignato, ancor prima che come cristiano, come filologo e come biblista: nel Cantico dei cantici non c’è la benché minima ombra o appiglio esegetico che possa permettere una sua rilettura omosessuale, e francamente un po’ rincresce che questo venga fatto bere a quindici milioni di italiani (e che questo possa anche eventualmente essere esteso, a buon diritto su questi presupposti, ad ogni “coppia che ama”, comprese quelle di di un pedofilo col suo bambino “consenziente” o di uno stupratore con la sua vittima che dice di amare e che può lecitamente sposare, come nel tragico caso di questi giorni della povera quattordicenne Huma Younas). Siamo nel campo della pura allegoresi, ben più immaginifica e spericolata di quella in cui si sarebbero lanciati i Padri della Chiesa con le loro riletture spirituali, e che si sposa alla più disonesta naïveté esegetica: rilettura che paradossalmente trova degni paragoni soltanto in quegli studiosi tedeschi puritani del XIX secolo che si rifiutavano cocciutamente e contro ogni evidenza testuale di leggere le liriche di Saffo per quello che erano, ovvero come liriche a sfondo omoerotico (mentre propinavano traduzioni presentate come "autentiche" e "normalizzate" in senso eterosessuale evidentemente per aumentare lo share nei salotti letterari del tempo). Qui sta avvenendo l’inverso col testo potentemente eterosessuale del Cantico e ciò è una mancanza di rispetto anzitutto alla dignità e alla verità della letteratura – agli amori effusi fra la Sulamita e il suo spasimante, ancor prima che al cristianesimo. Il quale, semmai, ha sempre difeso il dato nudo e crudo del Cantico – una storia d’amore fra un uomo e una donna – e non si è mai azzardato ad autorizzare una lettura spirituale che non partisse da questa inviolabile carne testuale. Anzi, nella fattispecie del cattolicesimo, la Chiesa ha sempre difeso con le unghie il Cantico dei cantici contro ogni tentazione moralizzante di espungerlo dal canone delle Scritture (tentazione in cui è invece drammaticamente caduto il luteranesimo), senza alcuna paura del suo eros e anzi con la più plateale celebrazione di quest’ultimo nelle arti (basti pensare a un Rubens o al Bernini, che ha saputo folgorare anche Jovanotti) e, soprattutto, nella mistica, con il suo linguaggio smaccatamente erotico.

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Parola alle donne: non sono cose per uomini

Il Cantico dei cantici attesta questo Amore ed è incastonato nel cuore della Bibbia precisamente per questo motivo, in maniera inequivocabile: non c’è modo migliore per parlare dell’amore fisico che parlare di “una fiamma divina” (Ct 8,6) e non c’è modo migliore per parlare dell’amore di Dio che parlare di un uomo e di una donna che si cercano, si trovano, si perdono, si ritrovano e si riperdono per poi finalmente follemente unirsi, sempre in bilico sull’abisso di un amore che procrea, perché ad immagine di un Amore che crea…

Qualcosa di ciò forse si può comprendere, ma il resto è bene che rimanga mistica e mistero indicibile, come ogni storia d’amore che si rispetti, chiusa in un diario, come i giovani di oggi fustigati dal Benigni capiscono fin troppo bene. E al riguardo lascio la parola a santa Teresa d’Avila, perché nessuno meglio della nostra santa madre carmelitana – sicuramente più dei dotti e maschi commentatori sciorinati dal Benigni – con parole di donna innamorata persa del Cantico dei cantici, può non-parlarci di questo mistero che di gran lunga predilige lo charme allo share:

“Mi baci il Signore col bacio di
sua bocca, perché le tue mammelle
sono migliori del vino ecc.

Ecco quello che in questo testo ho attentamente considerato. Qui, a quanto pare, l'anima parla con una persona e domanda la pace a un'altra. Dice infatti: «Mi baci col bacio di sua bocca»; poi, volgendosi a uno con il quale sembra intrattenersi, soggiunge subito: «Le tue mammelle sono migliori, ecc.». Non capisco come ciò sia, e godo immensamente di non capirlo. Veramente, figliole mie, qui l'anima deve ammirare più le cose che non si comprendono che quelle che i nostri piccoli intelletti possono comprendere, perché queste non ispirano tanta ammirazione e rispetto per Dio quanto quelle. Ecco una raccomandazione che mi preme di farvi. Quando leggete un libro, ascoltate una predica o pensate ai misteri di nostra santa fede, se v'incontrate in qualche cosa che non sapete comprendere, non affannatevi, né sforzate l'intelletto: non sono cose per donne. Anzi, molte neppure per uomini. […] Quando Sua Maestà vorrà farcele capire, le comprenderemo senza troppo affannarci. Ma per il resto, umiliamoci, rallegrandoci, ripeto, d'aver un Dio così grande, le cui parole ci sono incomprensibili: anche se dette nella nostra lingua. Vi parrà che certe cose di questi Cantici si potevano dire in altro modo. Tanta è la nostra grossolanità che di ciò non mi stupisco. Ho sentito di alcuni che evitavano perfino di udirle! Oh, Dio! Quanto è grande la nostra miseria! Ci avviene come a certe bestie velenose che cambiano in veleno tutto quello che mangiano. Mentre il Signore ci concede tante grazie nel farci intendere quel che avviene in un'anima che Egli ama; mentre c'incoraggia a intrattenerci e a deliziarci con Lui, noi ne prendiamo paura e interpretiamo le sue parole secondo la debolezza del nostro amore…” (Pensieri sull’amore di Dio I,1-3).

Note:

[1] “Perché amare? è l'unica domanda impossibile: L'amore non è mistero, ma luogo in cui il mistero si dissolve” (da In margine a un testo implicito). Chissà che Gómez Dávila non sia stato nominato perché celebre per altri suoi aforismi decadenti, di cui ne scelgo solo un paio: “Ogni donna ha bisogno di essere violata un pochino”; “Le aristocrazie sono i parti naturali della storia; le democrazie, gli aborti”.

[3] Dalla poesia Sulla morte senza esagerare.

[4] Per non annoiare il lettore, riporto solo un paio di saggi paradigmatici del presunto testo “primitivo” addotto dal Benigni: 1) La traduzione di Ct 5,13 con “I suoi testicoli sono rose stillanti mirra”. Il testo ebraico originario, fedelmente seguito dalle moderne traduzioni (ecclesiastiche e non), parla semplicemente di “labbra” o “guance” (śptwt) con evidente riferimento alla dolcezza dei baci dell’amato. I “testicoli” salterebbero fuori da una arbitraria ipotesi di lettura del termine ebraico śptwt con šptym, “sporgenze”, concetto a sua volta sessualmente traslato in “testicoli”. 2) La traduzione di Ct 5,4 con “Spinge il suo sesso dentro di me”. Il testo ebraico originario al posto di “sesso” ha il termine yad che semplicemente significa “mano” (da cui la normale traduzione: “L'amato mio ha introdotto la mano nella fessura della porta”). È vero che in rarissimi casi yad potrebbe assumere una sfumatura erotica (come in Isaia 57,8, in cui è possibile tuttavia ravvisare un’altra radice, ydd) ma quand’anche fosse così, in un contesto in cui si parla di bussare, di chiavistelli, porte e fessure quale quello di Ct 5,1-6, sarebbe chiarissima la volontà poetica di giocare su raffinati doppi sensi, volontà che verrebbe brutalmente eliminata dalla scelta di parafrasare yad con “sesso”.