di P. Antonio Maria Sicari ocd

CHI È MARIA PER IL CARMELITANO?

L'intera storia spirituale del Carmelo ruota attorno ad alcune icone nelle quali i carmelitani riconoscono, ancor oggi, la personificazio­ne della loro identità spirituale.

 L'Annunciata. Sappiamo che al mistero dell'Annunciazione vennero dedicate di preferenza le più antiche chiese dell'Ordine, ma occorre precisarne il significato dal punto di vista teologico. L'icona dell'Annunciazione coglie Maria nel momento in cui la Vergine purissima diventa Madre. La purità - un termine ricorrente nelle meditazioni mariane degli autori carmelitani - non riguarda tanto la purezza del corpo, nella sua integrità biologica, quanto l'orientamento totale dell'essere che si volge verso il Dio-Trinità senza frapporre nessun osta­colo, nessuna distrazione, nessuna macchia interiore o esteriore. E' la totale trasparenza che permise a Maria di ascoltare l'Annuncio dell'Angelo con tutta se stessa e di credere anche col suo corpo. Ed è ciò che permette ancora alla "creatura-carmelitana" di «meditare giorno e notte la Parola del Signore» fino a lasciarla inabitare in sé come in un tempio purissimo. La maternità divina è il dono sublime con cui Dio risponde a tale purezza di Maria, colmata di ogni grazia. 

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L'Immacolata. Nella lunga storia che portò la Chiesa ad approfondire e compren­dere questo privilegio mariano, i carmelitani si distinsero non solo nella devo­zione a questo mistero (tanto che i Papi usavano celebrarne la festa nelle loro chiese), ma anche nella dottrina, sottolineando soprattutto un argomento teolo­gico di particolare bellezza: Maria doveva essere preservata dal peccato origina­le, e lo fu, a causa della identità della carne che lei avrebbe condiviso con il Figlio di Dio. Così la loro devozione all'Immacolata Concezione li portò a pensare la pienezza dell'avvenimento cristiano. Pensare non solo una creatura che genera Cristo, ma una creatura/atta per generarlo. Pensare non solo una creatura sal­vata dalla passione e dalla morte di Cristo, ma una creatura già anticipatamente redenta prima ancora di essere fatta! Ciò voleva dire considerare l'avvenimento cristiano risalendo alla sua sorgente trinitaria, là dove Dio si preparava «una vergine di perfetta bellezza, prescelta da tutta l'eternità come Madre del Signore Gesù». Voleva dire risalire, con la contemplazione, là dove anche ogni altra crea­tura - assieme a Maria - è predestinata a Cristo: già eternamente avvolta dalla Sua misericordia, già eternamente salvata dal Suo sangue. 

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La Madre. A questo titolo mariano i primi carmelitani diedero particolari con­notazioni di privilegio (sentendosi quasi "generati" da lei, anche come carmeli­tani): privilegio inteso non in forma di vano orgoglio, ma in forma di «rapporto ereditato per antichissima familiarità». Inoltre essi videro in Maria anche la «MATER OMNIUM» («MADRE DI TUTTI»). Attraverso la devozione dello Sca­polare l'abito dell'Ordine venne maternamente offerto a tutti i fedeli in segno di protezione e predilezione. Si ebbe così una lettura «misericordiosa e universale» del rapporto privilegiato che i carmelitani intrattenevano con la Vergine Santa. 

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L'Ordine del Carmelo nei suoi 800 anni di storia ha abbellito la Chiesa di numerose esistenze innamorate di Cristo Gesù. Ripercorriamo brevemente la sua storia più che secolare.

 

 

di P. Rodolfo Girardello

I Carmelitani Scalzi appartengono ai frati riformati di un glorioso ordine nato in Terra Santa sul Monte Carmelo verso il 1190. In quel periodo nella patria di Gesù arrivano dall’Europa i crociati e anche i mercanti. Alcuni di essi, delusi dagli avvenimenti militari, si ritirano sul monte biblico, il Carmelo appunto, assai noto per l’epopea di Sant’Elia profeta; vi si insediano e decidono di vivere da eremiti. Ricevono, nel 1208 circa, da Sant’Alberto di Gerusalemme, rappresentante del Papa, una regola lineare e pratica.

Debbono abbandonare la Terra Santa quando i Saraceni, verso il 1250, riconquistano tutta la zona. Ritornano in Europa e in breve tempo, passando per Rodi, Sicilia e Italia, si espandono nel continente da cui erano partiti. La loro diffusione, sebbene un po’ contrastata perché risultano sconosciuti, è assai veloce. Comparati ai nuovi Ordini religiosi, come i francescani e domenicani, si stabiliscono tanto in luoghi appartati quanto nelle città, magari nei rioni più popolari.

L’Ordine carmelitano, conosciuto nella Chiesa anche per la sua particolare devozione alla Vergine Santa (devozione dello Scapolare), è molto amato dalla gente. Con il tempo sorgono anche conventi di suore e gruppi di laici del cosiddetto Terz’Ordine. Ma a partire dalla metà del Quattrocento subisce anch’esso, come altri Ordini, un declino, dovuto specialmente al risvegliarsi del neo-paganesimo e alle spinte protestanti dell’epoca.

Ma ecco sorgere nella Spagna cattolica del Cinquecento due figure eccezionali: Santa Teresa d’Avila (1515-1582) e San Giovanni della Croce (1542-1591) che intraprendono una decisa riforma, recuperando sia lo spirito di preghiera che la fedeltà alla Chiesa. È la cosiddetta Riforma teresiana o Riforma dei Carmelitani Scalzi.

thumb ponte degli scalziI religiosi della Provincia Veneta si collegano a questa storia di riformati. La Provincia Veneta è al principio una emanazione della Provincia lombarda, già nata nel 1617. Alcuni padri lombardi predicano a Venezia, sono molto apprezzati e ottengono quasi insperatamente di fondare una casa nella città lagunare. Iniziano nel 1633 con un convento a San Gregorio, verso la Basilica della Salute. Passano poi nel 1650 nel convento e nella chiesa attuale in Cannaregio. Seguono presto altri conventi, tutti nella seconda metà del Seicento, dentro il territorio della gloriosa Repubblica Veneta: Brescia, Verona, Padova, Vicenza, Treviso.

Quando nel 1677 si raggiunge il numero di religiosi sufficienti, i superiori generali di Roma istituiscono formalmente la Provincia Veneta intitolandola a San Giovanni della Croce. Legati ai conventi nascono anche due monasteri di suore: a Conegliano (Treviso) nel 1682 e a Murano (Venezia) nel 1737. La Provincia cresce fiorente e si impegna anche in forme di missione, inviando per esempio dei frati come cappellani in Morea (Peloponneso, penisola della Grecia). Questa esperienza finirà nel 1718 quando i turchi espugneranno tutte le piazzeforti veneziane.
I religiosi veneti sono stimati ovunque. Ma proprio in Venezia il senato nel 1767 si ostina a chiudere i conventi di tanti Ordini, concedendo però eccezionalmente ai Carmelitani di sopravvivere sebbene in numero ridotto (stabilisce delle quote di religiosi per ogni convento).

Nel 1798 la Repubblica Serenissima è cancellata da Napoleone dalla carta politica con il trattato di Campoformio. Nel 1815 viene ceduta all’Austria e conosce le soppressioni che l’Impero austriaco stabilisce per i conventi “non socialmente utili”. La Provincia religiosa sparisce e i frati per oltre quarant’anni si rifugiano nelle famiglie o si adattano a fare da vicari parrocchiali in qualche loro chiesa rimasta aperta, mantenendo un minimo di contatto tra loro.

Nel 1861 si ricostituisce la Provincia perché si possono riaprire tre conventi (Venezia, Verona, Treviso) con circa 80 religiosi. Ma poco dopo, nel 1866, con il Veneto conquistato dall’Italia del Risorgimento, arriva un'ulteriore soppressione e i religiosi sono costretti a riparare o in Austria o in Medio Oriente o sul Monte Carmelo stesso.

Nel 1896, allentandosi la morsa anticlericale e antireligiosa della rinata Italia, si riaprono tre conventi (Venezia, Brescia, Treviso) con circa sessanta religiosi e i superiori generali rifondano la Provincia Veneta, che da allora prende a camminare più o meno felicemente nei tempi moderni.

Nel ventennio iniziale (1896-1916) essa si consolida abbastanza, nonostante l’uragano della Prima Guerra Mondiale che proprio nel Veneto ha l’epicentro. Nel ventennio (1916-1936) conosce una sensibile crescita, arrivando a sette conventi (i nuovi sono Verona, Pieve di Cadore, Trieste, Mantova). Nel ventennio 1936-1956), durante la stessa Seconda Guerra Mondiale si aggiungono due conventi in Alta Italia (Bolzano, 1940; Trento, 1941), e subito dopo si aprono coraggiosamente quattro conventi in Sicilia dipendenti dalla Provincia madre (Palermo, Ragusa, Carlentini, Catania; in seguito ne nasceranno altri). I monasteri di suore di clausura della Provincia salgono a undici, compresi quelli di Sicilia.

thumb catechista giapponeseNel contempo partono per la Cina otto missionari (1947-1951) che poi, abbandonata la Cina conquistata da Mao-tse-tung, passano in Giappone (1951) e vi impiantano varie case. La Provincia è fiorente e cresce ancora fino a un massimo di 250 religiosi negli anni Sessanta. Nel 1969 apre una missione anche in Madagascar, destinata a svilupparsi molto bene.

Ma negli anni Settanta, nel clima della contestazione generale, anche la Provincia conosce una crisi pesante soprattutto in fatto di vocazioni. E’ avvenuto un cambio davvero epocale. Ma non è soltanto crisi: infatti il lavoro continua con ritmi molto alti e si avvia un rinnovamento sia nella formazione dei giovani che nell’inserimento nelle varie realtà della Chiesa, in particolare nei movimenti approvati dai Papi.

Nel 1993 la Provincia accetta di prendersi cura della casa di Bruxelles in Belgio, al centro della nuova Europa. Nel 2000 rinnova il suo slancio missionario aprendo una casa a Snagov- Bucarest, Romania.

Reliquia-Velo-TombettaUna delle case più dinamiche della Provincia resta quella di Verona-Tombetta, con il suo splendido santuario dedicato a S. Teresa di Gesù Bambino visitato da moltissimi pellegrini. Importanti sono anche le parrocchie a partire da quella, eccezionale per ubicazione, di S. Teresa in Roma. E significativi sono i santuari mariani di Adro (Brescia), con accanto una scuola con circa 1200 alunni, e di Trento, dove c’è anche il noviziato e il postulandato. La teologia invece è nello stupendo convento di Brescia. Per la promozione vocazionale si ha l’accogliente convento di Treviso.

I religiosi della Provincia sono stati spesso presi in considerazione nelle diocesi in cui operavano oppure dal Centro dell’Ordine (Casa generalizia e facoltà del Teresianum di Roma). Due di loro sono stati elevati alla dignità episcopale: il Card. Adeodato Giovanni Piazza (1884-1957) e Mons. Vincenzo Tarcisio Benedetti (1899-1972).

padresergioLa Provincia si onora di avere dato alla Chiesa degli uomini dotti, ma ancor più degli uomini e delle donne (monache) di vita esemplare e santa; e un vero martire, P. Sergio Sorgon (1938-1985), ucciso barbaramente in Madagascar.

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La famiglia carmelitana si compone si frati, monache e laici. Il carmelo teresiano si è diffuso in tutto il mondo. Le monache continuano ad essere comunità di vita contemplativa presenti in numerose e diverse situazioni e culture. I frati praticano la vita contemplativa insieme ad attività missionarie e apostoliche, specialmente quelle che riguardano la vita spirituale. I membri dell’ordine secolare vivono il carisma teresiano nelle circostanze della vita quotidiana. Infine, numerosi gruppi e associazioni di fedeli laici vivono il carisma teresiano nelle sfide nel presente. 

Il carmelo teresiano è stato fecondo di santi e scrittori spirituali che hanno creativamente cercato di rispondere ai bisogni del proprio tempo. I più famosi sono Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Teresa di Lisieux, Elisabetta della Trinità e Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein).

Breve introduzione al carisma carmelitano di P. Antonio M. Sicari ocd:

Il carisma carmelitano può essere iconograficamente descritto «nell'imma­gine di Maria Santissima, in cui il Bambino si rannicchia nel grembo» (così si esprime S. Teresa d'Avila) ed è evocato dalle seguenti parole-chiave descrittive dell'ideale e del tipo umano che tale carisma tende a configurare:

Bellezza: questa parola - molto amata da S. Giovanni della Croce - affascina chi si accosta al Carmelo. La Bellezza è una via privilegiata al Mistero, perché essa chiede silenzio e attenta contemplazione; perché essa insegna la gratuità e chiede l'adesione incondizionata; perché essa è un possesso che rende certi, ma anche un'attesa che ci lascia umili. In particolare, il Carmelo sembra chia­mato - dato che ciò accade a tutti i nostri Santi e Maestri - a immergersi nella «dolorosa bellezza» della Croce, quella da cui molti distolgono lo sguardo, dive­nendo - proprio per questo - artefici e distributori di sofferenze disumane. Nel contemplare il fascino della Croce, il carmelitano non è attratto morbosamente dalla sofferenza in se stessa, ma dal mistero della gloria che s'irraggia quando, ad essere crocifisso, è l'Amore.

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Gelosia: è la parola caratteristica dell'amore: parola triste e lacerante negli amori umani, ma parola giusta e forte quando si tratta dell'amore di Dio («Ge­loso è il suo Nome!», dice la Scrittura), un Dio che tutto esige perché tutto dona. E' dunque una Gelosia che nasce dall'intimità e che è comprensibile solo a chi in tale intimità si lascia attrarre. E' una Gelosia che ci ricorda l'Incarnazione del Figlio di Dio, venuto a raggiungerci nella nostra stessa carne, al fine di confor­marci a Sé interamente, e impadronirsi dolcemente di tutto. E' una Gelosia che impedisce di sottrarre qualcosa - qualsiasi cosa! - al suo Amore.

Fuoco: questa parola segna il carisma carmelitano da quando Elia è stato de­finito «il profeta che si levò come il fuoco, e la sua parola bruciava come fiamma». La parola «fuoco» indica dunque il disegno trasformante di Dio sulla sua crea­tura. Non ci si accosta al mistero di Dio per esserne soltanto lambiti o riscaldati, ma per esserne consumati, totalmente assimilati e resi incandescenti. Insomma, non ci si accosta a Dio con l'intenzione di restare tiepidi. Pertanto, assimilare il carisma carmelitano vuol dire anche coltivare in sé un certo ardore nella ma­niera di affrontare la vita, non soltanto quella spirituale, ma anche quella che si consuma giorno per giorno.

Tutto e nulla: è il binomio scelto da S. Giovanni della Croce per ricordarci che il Carmelo è una Santa Montagna sulle cui vette Dio vuole rivelarsi: non ci si può impegnare nella salita senza liberarsi e quasi svuotarsi di tutti i pesi e i legami che ci trascinerebbero in basso. Per donare davvero a Dio tutto lo spazio del cuore occorre che null'altro possa occuparlo: è questo il cammino della Croce che Gesù ci ha offerto di percorrere assieme a Lui.

Profezia: significa capacità di innestarsi nel presente in maniera così intensa e decisiva che il futuro già si anticipi, carico di frutti. Profezia è un modo di percepi­re e di vivere il tempo, consapevoli che esso ha una «pienezza» (Gesù Cristo stes­so) alla quale tutte le epoche attingono, e che deve essere afferrata da ciascuno qui e ora. Chi vuole assimilare un carisma di tipo profetico non può vivere un presente scialbo e banale, quasi vuoto. Soprattutto non può rinchiudersi in un gretto indivi­dualismo. Il profeta vive il presente, ma vuole un paradiso. E lo vuole per tutti gli uomini. Il profeta non sa essere accidioso o pusillanime, ma lavora alacremente là dove Dio lo mette, come se tutta la speranza del mondo dipendesse dal suo cuore e dalla sua opera, anche se attende tutto dal suo Signore.

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Intimità e Missionarietà: sono le ultime parole, strettamente congiunte, e che si generano a vicenda. Nell'intimità l'uomo capisce che Cristo «è per lui Tutto e tutte le cose» e che «il suo cuore non si soddisfa con meno di Dio» (S. Giovanni della Croce). Ma così l'anima innamorata si trova ad assumere la forma dello Spo­so che, per nostro amore, si lasciò «vendere come schiavo di tutto il mondo» (S. Teresa d'Avila). Essa si protende allora verso i suoi fratelli bisognosi di salvezza. L'intimità con Dio che non genera missionarietà è narcisismo e vezzeggiamento spirituale; la missionarietà che non nasce dall'intimità e non la approfondisce è sterile dispersione. Intimità e missionarietà assieme sono fonte di immensa fe­condità spirituale.

thumb S.Teresa di Gesù - Fra Giovanni della Miseria 1577 Siviglia Monastero della carmelitaneNell'agosto del 1562 Santa Teresa fondò ad Avila, in Spagna, una nuova comunità carmelitana secondo un nuovo stile. Doveva diventare il primo convento di un nuovo Ordine: i Carmelitani Scalzi. Il termine 'scalzi' deriva dalla pratica di indossare sandali.
Teresa ci dice che fonda la sua comunità in modo che le donne possano contribuire alla vita della Chiesa, che, all'epoca, era lacerata dalla Riforma. Le suore erano offrivano la loro vita di preghiera contemplativa e di amicizia con Cristo per l'unità e la santità della Chiesa.
Teresa era consapevole delle contraddizioni della società del suo tempo, che era ossessionata dall'onore e dalla divisione tra gli stati sociali. Voleva un mondo in cui la gente fosse umilmente e autenticamente se stessa, e dove tutti erano uguali. Quando Teresa inizia la sua nuova storia come fondatrice, abbandona il suo nome aristocratico e diventa semplicemente Teresa di Gesù. Per sapere chi è, a lei basta essere identificata dal suo rapporto con Gesù. Teresa vive in un tempo segnato anche da limitazioni nei confronti della donna e dal rifiuto di accettare i suoi doni nei ruoli pubblici.
Così fonda una piccola e poco numerosa comunità di persone tutte eguali per dignità; le loro mansioni sono semplici e vi è tempo solo per la preghiera e la vita contemplativa. La comunità deve essere ben custodita, in modo che le sorelle vengano distratte da cose di poco conto, e in modo da rimanere libere da interferenze esterne verso la loro vita spirituale. Le sorelle sono chiamate ad essere amiche tra di loro e con Cristo, e sono tanto più sante quanto più sono gioiose e socievoli. Infine, lo stile della comunità deve essere semplice e essenziale, e insieme veramente sereno, cordiale e umano.

Gli scritti di Teresa

Teresa era una donna deliziosa, affascinante e spiritosa. Alla lettura dei suoi scritti la sua personalità si riaccende fino a sembrare che ella ci parli oggi. È diventata una scrittrice quando le è stato chiesto di rendere conto di se stessa e ha scritto il Libro della Vita. Ha continuato a scrivere per guidare le sue sorelle carmelitane. Come molti altri libri spirituali in volgare del tempo, le sue opere sono state sottoposte al giudizio dell’Inquisizione. Il suo capolavoro è il Castello Interiore. Questo classico della spiritualità cristiana racconta della bellezza che dimora al centro di ogni persona dove Cristo già abita.

Vinea Carmeli 1S. Teresa raffigurata come Vinea Carmeli, Vigna del Carmelo, XVIII secolo

Nuove fondazioni

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Quando Teresa sente parlare di milioni di persone dell’America Latina che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo, il suo cuore si apre a tutto il mondo. 

Vuole dare un contributo alla diffusione della fede cristiana, fondando più comunità. Nel 1567 riceve il permesso di fondare nuovi conventi di monache e nuove comunità di frati. Vuole che i frati, vivendo la medesima vita contemplativa, siano sostenuti dalla preghiera delle sorelle, e si adoperino per il lavoro apostolico e missionario.
Nel 1567 conosce un giovane appena ordinato frate, Giovanni della Croce. È deluso e vuole lasciare i Carmelitani. Teresa lo coinvolge per il suo progetto. Dal novembre 1568 inizia una nuova fondazione; porta con sé Giovanni della Croce al convento di Valladolid, in modo che possa imparare dalle suore il nuovo modello di vita carmelitano fatto di preghiera, penitenza e ricreazione. I frati della riforma iniziano a Duruelo. Vivono un'intensa vita fatta di preghiera e gioia, condividono la povertà e l'isolamento della zona e si assumono la responsabilità della cura pastorale delle persone fino a quel momento trascurate.

Una spiritualità per tutti

Spiritualità teresiana non è destinata solo a suore e frati. Attraverso le sue conversazioni ha Teresa ha guidato molti sacerdoti e religiosi e laici a Dio. Suo fratello Lorenzo, dopo il suo ritorno dall'America Latina, vive una vita carmelitana in casa propria e sotto la guida della santa. Giovanni della Croce è diventato un noto direttore spirituale, in grado di condurre molti uomini e donne nella vita spirituale.

Dal 1230 la situazione in Terra Santa si fece più precaria. Alcuni degli eremiti cercarono rifugio in Europa. Iniziarono le fondazioni di nuove case e cominciarono ad adattare la loro vita al nuovo contesto.

Nel 1247, Papa Innocenzo IV approvò la Regola di vita Carmelitana scritta da Alberto di Gerusalemme modificandola e adattandola in base alle nuove situazioni. Questa è rimasta fino ad oggi la Regola che tutti i Carmelitani devono osservare. Il nuovo gruppo venne riconosciuto come Ordine Religioso e si mise al servizio della Chiesa come ordine di frati mendicanti. La Regola è breve e ispirata alle Sacre Scritture. Invita ad una vita di fedeltà a Gesù Cristo, meditando la "legge del Signore giorno e notte", rivestendo "l'armatura spirituale", vivendo in comunione fraterna e uniti nella celebrazione quotidiana dell'Eucaristia. Si descrive di una vita di lavoro silenzioso e di penitenza, radicata nella fede, nella speranza e nell'amore, in cui la volontà di Dio si discerne attraverso il dialogo e l'obbedienza al Priore "in persona Christi".

thumb 10carme4Pietro Lorenzetti, Il Papa approva la Regola dei Carmelitani

Dopo essere stati riconosciuti come frati mendicanti, la maggior parte dei Carmelitani furono ordinati per svolgere il ministero sacerdotale. Le loro case, con grandi chiese aperte al pubblico, vennero generalmente fondate nelle città. Dal momento che erano denominati "i Fratelli della Beata Vergine del Monte Carmelo", divennero noti come membri dell'Ordine di Maria, indossavano un mantello bianco in suo onore ed erano noti anche come i frati bianchi. Nel 1452 l'Ordine si diffuse ancor di più grazie alla riforma introdotta dal Padre Generale, il beato Giovanni Soreth, che ottenne dal Papa il benestare per l'istituzione di conventi di suore Carmelitane e l’affiliazione di laici come membri del Terzo Ordine. Così, dopo 250 anni, l'Ordine Carmelitano cominciò ad avere come membri anche il ramo femminile.

I primi Carmelitani erano dei pellegrini o dei crociati. Giunsero sul Monte Carmelo in Terra Santa per vivere un'intensa vita di preghiera. Si insediarono accanto a una sorgente, chiamata "fonte di Elia". Erano semplici fedeli, nè sacerdoti nè monaci, e vivevano una vita fatta di preghiera, penitenza e povertà evangelica. Cercavano una via per seguire Cristo con semplicità e in santità. Iniziarono a vivere una forma di vita che continua a essere praticata fino ad oggi.

thumb 10carme2Pietro Lorenzetti, I primi Monaci Carmelitani presso la fonte di Elia

Tra il 1206 e il 1214, Sant'Alberto Patriarca di Gerusalemme diede agli eremiti del Monte Carmelo una regola che descriveva il loro ideale di vita comunitaria ed eremitica, secondo lo spirito delle prime comunità cristiane di Gerusalemme; egli chiese loro di eleggere uno dei fratelli come priore e di costruire una cappella dedicata alla Vergine Maria così che ogni giorno potesse essere celebrata l'Eucaristia.

thumb 10carme3Pietro Lorenzetti, Sant'Alberto consegna la Regola ai Monaci Carmelitani