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di P. Tarcisio Favaro ocd

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Vicino al nostro villagetto di Ciocanari si stendono nella campagna, leggermente ondulata, delle casette, alcune povere povere, altre un po' più pretenziose. Noi le conosciamo perché o i bambini vengono al doposcuola o noi andiamo a portare medicine e altro. C'è una casetta, umile, fatta di rami, paglia e fango, piccola (12mq) che ti parrebbe un deposito. Dentro ci sono cinque bambini (la più grande ha otto anni), papà e mamma. Hanno problemi i grandi e i bambini dietro a loro. La grandicella, allora di sei anni, veniva al villaggio perché voleva compagnia, la compagnia di quei volti buoni che ogni tanto apparivano alla sua casa portando qualcosa di buono.

Non sapeva parlare, come anche i suoi fratellini. Anche la mamma aveva cominciato tardi a parlare. Molte volte la accoglievamo, la si lavava e cambiava e stava con noi. Ma quanto dovevamo accoglierla? E cosa diceva la mamma? Ma ci ha scambiato per i suoi, che viene sempre qua? Proviamo a dirle di no, a non aprire. Lei allora  si fermava al cancello e restava, restava fnchénon aprivi. Come fai a non aprire? Con noi era felice. Per arrivare percorreva una stradina in mezzo ai campi piena di cani vagabunzi dicono qui, randagi diciamo noi, senza nessuna paura.

Dobbiamo parlare con i suoi, dobbiamo pur vedere se son d’accordo. Loro rispondono che scappa e viene… 

Ci vuole una specie di accordo. Al comune con l’assistente sociale e i genitori si scrive una carta di consenso. La scrive Luisa perché loro non sanno leggere e scrivere e così la bambina può venire al villaggio tutti i giorni. E comincia a parlare: pa (=ciao), Lu..i..za; Pe…pe; Dan…ela; Ma…ia; Fabiooo …. . Nell’affetto impara parola per parola. E l’alfabeto? E a scrivere? Prima – ogni lettera una conquista – il suo nome. Lei sola comincia a parlare, gli altri hanno un linguaggio che solo loro capiscono.

E allora i più piccoli non potranno parlare? Parlare a modo nostro, diciamo così, normale? Uno è iperattivo, un altro – un gemello - ha difficoltà a vedere da un occhio, l’ultimo non ha un anno e i più grandicelli gli rubano il biberon quando lo vedono bere e lui ha fame. Allora l’intervento: gli occhialetti per il gemello (ma per lui e gli altri sono un gioco); per il più vivace l’ospitalità da noi assieme alla sorella (così riesce a equilibrarsi positivamente). Una volta alla settimana tutti al nostro villaggio: bucato per tutti, vesti nuove, pranzo, piccoli giochi insieme e... un po’ di coccole.

Gran lavoro dall’assistente sociale, recupero di documenti di identità inesistenti o perduti, visite mediche, schede mediche. Ma si va verso l’inverno. Come fare con quella casa di una sola camera, una vecchia soba (stufa a legna) e spifferi ognidove? Bisogna fare qualcosa. Una casetta nuova, piccola e sobria? Non si può, il terreno non è loro. Di andare in altra parte non ne vogliono sapere. Allora cerchiamo di sistemare un po’ quella  vecchia. Intanto, per l’inverno. Un po' più grande. Costruiamo un portichetto sul davanti. Ma è aperto e l’aria e il vento... Allora lo chiudiamo bene, buttiamo giù la facciata, rafforziamo tutto, mettiamo le finestre, per terra il linoleum, via i vecchi letti, metti un tavolino, qualche piccolo armadio, quattro sedie, fuori il camino per la stufa…. . Un po’ di ghiaia davanti. Ecco che la casetta è…. nuova. Hanno messo anche dei fiorellini colorati incollati al vetro e uno dei bambinetti se n’è staccato uno e l’ha mangiato credendo fosse una caramella.

La bambina che parla è venuta da me e come avesse da dirmi una cosa segreta o della quale si dovesse vergognare, mi ha sussurrato: multu…mesc! ed è fuggita via. Multumesc vuol dire grazie!

Lei l’ha detto, ma la felicità che brillava e brilla negli occhi di questi bambini, il loro sorriso limpido e felice felice dice più della parola che non sanno pronunciare. Non sanno ancora, ma lo sapranno di sicuro.

Ma anche per noi, c’è forse un ringraziamento migliore? Il sorriso di questi bambini, i loro occhi spalancati ti riportano alla grazia dell’inizio.

La più grandicella dopo pranzo vuole andare un momento in cappella. Ha preso questa abitudine. Dice che va da Dio. C’e una grande immagine di Gesù. Lei sta là un suo tempo e poi esce.

Una volta dice a Luisa: ma Dio non parla, non dice niente? E Luisa: no, Lui parla, ma parla dentro il tuo cuore. Anche tu non parlavi con la bocca, ma il tuo cuore diceva e capiva.