di P. Ermanno Barucco ocd

Bartolomé Esteban Murillo - La sacra famiglia - 1650 - Prado - Madrid

"Dall’Egitto ho chiamato mio figlio" (Os 11,1)

Nel racconto del vangelo di Matteo a proposito della fuga in Egitto gioca un ruolo chiave la citazione di Osea: «perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio” (Os 11,1)» (Mt 2,15). È Dio Padre che parla attraverso la Scrittura mentre Giuseppe fugge in Egitto con il bambino Gesù e sua madre Maria e vi rimarrà fino alla morte di Erode che voleva uccidere il bambino. In effetti è Dio Padre che dichiara così la sua paternità sul bambino, una manifestazione simile a quelle che avremo successivamente nei vangeli: «Questi è il figlio mio, l’amato, in lui ho posto il mio compiacimento» (Mt 3,37; cf. 17,5).

Mi sono chiesto a volte se lo stesso san Giuseppe avesse ricordato questa citazione di Osea mentre in fuga verso Egitto prendeva tra le braccia Gesù. E se ne avesse assaporato il “compimento” nel disegno di Dio sulla sua vita. Forse ha potuto pure ricordare tutto il testo del capitolo 11 del profeta Osea – testo famosissimo in cui Dio manifesta quanto ha avuto cura di Israele come padre – perché lui, Giuseppe, era chiamato a prendersi cura di Gesù come un padre, in nome del Padre. Quante opere artistiche ci hanno rappresentato questa paternità!

San Giuseppe medita e prega la profezia di Osea (Os 11,1-11)

In seguito a quanto detto, mi piacerebbe far “ridire” la profezia di Osea (Os 11,1-11) a san Giuseppe, che secondo me ha potuto riviverla, meditarla e pregarla così:

Simone Cantarini Il Pesarese - Fuga in Egitto - 1647 - Collezione privata - Bologna«Quando Gesù era bambino, io l’ho amato, rimembrando le parole di Dio pronunciate per mezzo del profeta: “io l’ho amato, e dall'Egitto ho chiamato mio figlio”. Più lo chiamavo “figlio mio”, più si avvicinava a me dicendomi “abbà, padre” e più sentivo in me l’amore e la voce del Padre. A Gesù ho insegnato a camminare tenendolo per mano (io ho insegnato a camminare alla Via!), e Gesù comprendeva che avevo cura di lui in nome del Padre suo. Io l’attiravo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per lui “come un padre” che solleva il proprio bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. Ritornati dal paese d’Egitto, cresceva in età, sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini, mentre pensavo a Dio che col suo angelo ci aveva protetti dal re Erode che con la spada aveva fatto strage nella città di Betlemme sterminando i bambini innocenti. Quando vedo Gesù predicare in Galilea penso a quanto il nostro popolo è duro a convertirsi a Dio: chiamati a guardare in alto (e lo facevo spesso quando avevo il bambino tra le braccia), pochi sanno sollevare lo sguardo verso il Padre nostro che è nei cieli, come Gesù lo chiama. Ma come potrebbe il Padre abbandonare suo Figlio, e i suoi figli nel Figlio suo, come potrebbe consegnarli ad altri che alla sua misericordia divina? Sento in me i sentimenti di Dio e di Gesù mentre annuncia la parola e si fa prossimo dei malati e soprattutto dei peccatori: “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira”. Egli, il mio Gesù, è il Santo in mezzo a noi, è Dio e anche uomo, ma è Dio misericordioso che non si adira distruggendo tutto come gli altri uomini. Molti invece lo seguono, diventando misericordiosi come il Padre, ed egli attirerà molti a sé quando sarà innalzato da terra, e allora accorreranno, i figli al Padre, da Israele, accorreranno come uccelli dalle genti, e come colombe dai popoli, e abiteranno tutti nella casa del Padre suo e Padre nostro».