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img04«Alcune volte, anzi quasi sempre... mi sentivo sollevata dopo aver fatto la comunione; talvolta anche con il solo avvicinarmi al Santissimo Sacramento, mi sentivo subito così bene nell’anima e nel corpo da esserne meravigliata» (Vita 30,14).

Teresa ci insegna come far crescere la nostra fede in Gesù presente nell’Eucarestia. Le sue grazie mistiche non si sostituiscono alla fede; questa ne è il perenne fondamento. Teresa apre il suo cuore con una squisita confidenza eucaristica

«Il Signore le aveva dato [Teresa parla di se stessa] una fede così viva che quando sentiva dagli altri che avrebbero desiderato vivere al tempo in cui nostro Signore era sulla terra, rideva tra se stessa, sembrandole che possedendo nel Santissimo Sacramento lo stesso Cristo che allora si vedeva, non vi fosse altro da desiderare.
So inoltre di questa persona [è ancora Teresa che parla] che per parecchi anni, benché non ancora molto perfetta, le sembrava di vedere con gli stessi occhi del corpo, al momento della comunione, nostro Signore che scendeva nella sua povera anima.
Allora ella procurava di ravvivare la fede, faceva il possibile per distaccarsi dalle cose esteriori e si ritirava col Signore nella sua anima, dove sapeva di averlo visto discendere.
Cercava di raccogliere i suoi sensi per far loro comprendere il gran bene che avevano: dico che cercava di raccoglierli per evitare che impedissero all’anima di comprenderlo.
Si considerava ai piedi del Signore e, quasi lo vedesse con gli occhi del corpo, piangeva come la Maddalena in casa del fariseo.
Anche allora che non aveva devozione sensibile, la fede non mancava di assicurarla che il Signore era veramente nella sua anima.
Fino a quando il calore naturale non ha consumato gli accidenti del pane, il buon Gesù è in noi: avviciniamoci a Lui! Se quando era nel mondo guariva gli infermi col semplice tocco delle vesti, come dubitare che, stando in noi personalmente, non abbia a far miracoli se abbiamo fede?» (Cammino di perfezione 34,6-8).

Dio dona ciò che ha di più prezioso: la vita di suo Figlio. Questa è la grazia più grande della vita cristiana, da cui ogni altra scaturisce. Una grazia che si rinnova nell’Eucarestia.

«Questo, dunque, sorelle, è quello che Dio fa perché l’anima si riconosca per sua. Le dà quello che ha, vale dire, ciò che ebbe suo Figlio in questa vita: non ci può fare una grazia maggiore. Chi più di suo Figlio desiderava uscire da questa vita? Lo ha detto Lui stesso nella cena: Ho desiderato con grande desiderio. Oh Signore! Dunque non pensavi alla morte che ti attendeva, crudele, dolorosa e terribile? No, perché il grande amore e desiderio che ho perché tutti gli uomini si salvassero, superavano di gran lunga quelle pene, senza poi dire che le ritenevo da nulla di fronte alle molte altre che ho patito, e che patisco tuttora da che sono nel mondo» (Castello interiore, quinte dimore 2,13).

Senza l’Eucarestia l’uomo non potrebbe fare la volontà di Dio. L’uomo è spinto ad offrirsi solo in virtù di un amore che continuamente riceve. L’Eucarestia è il dono che Gesù ha ottenuto dal Padre di rimanere con l’uomo perché questi possa partecipare alla comunione trinitaria.

«Dà a noi il nostro pane quotidiano. Il buon Gesù, vedendo che il suo aiuto ci era assai necessario, mostrò il grande amore che ci portava con inventare un ammirabile espediente, dicendo, in nome suo e in nome dei suoi fratelli: Dacci oggi, o Signore, il nostro pane quotidiano... Considerando ciò che aveva promesso in nome nostro, notò i grandi vantaggi che ci sarebbero venuti dall’osservare la sua parola.
Costatò, inoltre... le difficoltà che in far questo avremmo dovuto superare, perché troppo deboli, troppo attaccati alla terra, di poco amore e senza coraggio.
Egli ci avrebbe dovuto eccitare col metterci innanzi il suo amore per noi; ma siccome avrebbe dovuto far questo, non una volta, ma tutti i giorni, prese la risoluzione di rimanere sempre fra noi.
O Signore, qual è il padre che avendoci già dato suo figlio, e un tal figlio, possa permettere, dopo averlo veduto così indegnamente maltrattato, che rimanga ancora in mezzo a noi per soffrire ogni giorno nuovi generi di strapazzi?
Nessun altro, o Gesù, fuorché il vostro. E non sapevate Voi a chi vi rivolgevate con le vostre domande? O Dio mio! Che eccesso d’amore in quel Figlio! E che eccesso pure in quel Padre!
In questa preghiera Egli si fa un tutt’uno con noi, in quanto è partecipe della nostra stessa natura... per questo dice: Pane nostro.
Non fa alcuna differenza tra sé e noi, mentre noi, purtroppo, la facciamo tante volte, rifiutandoci di darci a Lui ogni giorno» (Cammino di perfezione 33,1-3.5).

Finchè dura quest’oggi.

«Egli infatti rimane tra noi per aiutarci, incoraggiarci e sostenerci affinché, come abbiamo detto, vogliamo che si compia in noi la volontà di suo Padre.
Dicendo oggi, sembra che domandi questo pane soltanto per un giorno, cioè per la durata di questo mondo, che può dirsi appunto di un giorno.
Il Padre ce lo dette [il Figlio] e lo mandò nel mondo per sua propria volontà; ed ora per sua propria volontà il Figlio non vuole abbandonare il mondo, felice di rimanere con noi a maggior gaudio dei suoi amici e a confusione dei suoi avversari. Questo, secondo me, è il motivo per cui ha ripetuto oggi; questa la ragione per cui il Padre ci elargì quel Pane divinissimo, e ci dette in alimento perpetuo la manna di questa sacratissima Umanità. Noi ora la possiamo trovare quando vogliamo, per cui se moriamo di fame è unicamente per colpa nostra. L’anima troverà sempre nel SS. Sacramento, sotto qualsiasi aspetto lo consideri, grandi consolazioni e delizie, e dopo aver cominciato a gustare il Salvatore, non vi saranno prove, persecuzioni e travagli che non sopporterà facilmente» (Cammino di perfezione 34,1-2).

Il Pane Eucaristico ricevuto: il momento della comunione eucaristica. Alcune pagine di Teresa, che hanno origine dalla sua vita e hanno bisogno di essere messe in pratica. Ecco cosa fare quando riceviamo l’Eucarestia.

«Quanto a voi, fategli buona compagnia e non vogliate perdere una così bella occasione per trattare dei vostri interessi, come quella che vi si offre dopo la S. Comunione. Se l’obbedienza vi occupa in altre cose, procurate di rimanerGli unite con l’anima. Ma se voi portate il pensiero ad altre cose, non fate conto di Lui e neppur pensate che vi sta nell’anima, come volete che vi si dia a conoscere? Quel tempo è assai prezioso perché allora il Maestro ci istruisce: facciamo d’ascoltare, baciamogli i piedi, riconoscenti per tanta sua degnazione, e supplichiamolo di star sempre con noi.
Appena comunicate, chiudete gli occhi del corpo e aprite quelli dell’anima per fissarli in fondo al vostro cuore, dove il Signore è disceso. Vi dico, vi torno a dire e ve lo vorrei ripetere all’infinito, che se vi abituate a questa pratica ogni qualvolta vi accostate alla Comunione, il Signore non si nasconderà mai così totalmente da non manifestarsi con qualcuno di quei molti espedienti che ho detto, in proporzione del vostro desiderio: lo potreste desiderare con tanto ardore da indurlo a manifestarsi del tutto.
Ma se noi non facciamo conto di Lui, e lo abbandoniamo appena ricevuto... che volete che faccia? Deve costringerci a guardarlo per potersi manifestare?
Non è già per una grande misericordia se ci assicura che Egli è nel SS. Sacramento e vuole che ci crediamo? Ma quanto a mostrarsi svelatamente, a comunicare le sue grandezze e a diffondere i suoi tesori, è desso un favore che non vuol concedere se non a coloro che ne vede molto desiderosi» (Cammino di perfezione 34,10.12-13).

Marta domanda l’unione del piccolo amore personale con l’amore del Signore. Questa unione si è realizzata in Cristo Gesù, quando ha assunto la natura umana il Verbo di Dio; è un’unione che si celebra nell’Eucarestia, e si rinnova in ogni gesto di amore fatto per Gesù, in nome suo. Questo amore di Dio manifestato in Cristo è il dono per ogni persona, ciascun uomo riceve questa grande manifestazione di amore. Un’altra manifestazione di amore da parte del nostro Dio è la possibilità di servirlo nel prossimo. Si può far esperienza dell’amore del Signore nell’adorazione e nel servizio, ma senza escludere nessuno dei due.

«Signor mio, come osa domandarti grazie chi ti ha servito così male e non ha saputo custodire i tuoi doni? Come fidarsi di un’anima che tante volte ti ha tradito? Che farò io dunque, Consolazione dei desolati e salvezza di chi ti chiama in suo aiuto? Dovrò forse nascondere le mie necessità, aspettando che tu me ne dia il rimedio?
Certamente no; perché tu, mio Signore e delizia mia, sapendo quanti sarebbero stati i nostri bisogni e il sollievo che abbiamo nel raccontarteli, ci dici di domandare e che non lascerai di esaudirci.

Mi ricordo alcune volte del lamento di quella santa donna, Marta, che non solo si lamentava di sua sorella, anzi certamente il suo dispiacere più grande era nel sembrarle che tu, Signor mio, non ti curassi delle sue fatiche, e poco t’importasse che lei ti stesse vicino.

Forse le sembrò che fosse meno benvoluta di sua sorella, e questo dovette angustiarla di più che non la fatica di servire a Colui che tanto amava, perché l’amore cambia in riposo anche la fatica. E ciò sembra dal fatto che non disse nulla a sua sorella, ma con tutta la sua lamentela si rivolse a te, o Signore; l’amore le dette l’ardire di domandarti perché non ti curavi anche di lei. E pure nella risposta sembra esserci e provenire la domanda di ciò che dico; che solo l’amore dà valore a tutto, e che l’unica cosa necessaria è che l’amore sia così forte che niente valga a soffocarlo.
Ma in che modo il nostro amore potrà esser conforme a quello che merita l’Amato, se tu, mio Dio, non lo unisci con l’amore che hai per me? Mi lamenterò anch’io con questa santa donna? Ah, non ho alcun motivo di farlo, perché ho sempre visto nel mio Dio grandi testimonianze di amore, superiori di molto a quanto ho saputo chiedere e desiderare. Se non mi lamento del molto che la tua benignità mi ha sopportato, non ho motivo di farlo. Dunque, cosa può domandarti una creatura così miserabile come me? Che tu mi dia, Dio mio, dico con S. Agostino, qualcosa per pagare il molto che ti devo; ricordati che sono tua creatura e dammi di conoscere chi è il mio Creatore perché lo ami» (Esclamazione 5).

La presente relazione è uno dei vertici delle grazie ricevute da santa Teresa. La sua particolarità è di illuminare l’Eucarestia che ogni cristiano riceve. Ascoltare questa testimonianza è un invito ad essere attenti ai grandi segreti, misteri, della nostra fede.

«Un giorno, appena comunicata, mi fu dato di comprendere che il corpo sacratissimo di Gesù Cristo viene ricevuto all’interno dell’anima dallo stesso suo Padre. Compresi chiaramente che le tre Divine Persone sono dentro la nostra anima e che il Padre gradisce molto l’offerta che gli facciamo di suo Figlio, perché gli si offre la possibilità di trovare in Lui tutte le sue delizie e le sue compiacenze anche sulla terra. Nell’anima abbiamo soltanto la divinità, ma non l’umanità perciò l’offerta gli è così cara e preziosa che ci ricompensa con immensi favori. Compresi pure che il Padre lo riceve in sacrificio anche se il sacerdote è in peccato, salvo che all’infelice non sono concessi i favori come alle anime in grazia. E ciò non perché manchi al sacramento la virtù di influire (dato che essa dipese dalla compiacenza con cui il Padre accetta il sacrificio) ma per difetto di chi lo riceve, a quel modo che non è per difetto del sole se i suoi raggi non riverberano quando cadono sulla pece allo stesso modo di quando battono sul cristallo. Se ora mi potessi spiegare, mi fare comprendere meglio. Sono cose che importa molto conoscere. Grandi misteri accadono nel nostro interno al momento della comunione» (Relazione 57, Siviglia 1575).