di F. Iacopo Iadarola ocd

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Dal 22 al 28 luglio le comunità dello studentato e del postulandato di Brescia con alcuni aspiranti, accompagnate dai padri formatori Gianni Bracchi e Fabio Silvestri e altri padri invitati, fra cui Angelo Lanfranchi (archivista e segretario generale dell’Ordine), ha percorso la Francia da parte a parte sulle tracce dei nostri santi carmelitani d’Oltralpe. Un ripercorrere geografico ed agiografico del nostro carisma nelle sue variopinte espressioni: dal Carmelo di Flavignerot alle Indie del beato Denis alla stanza da letto di Alençon…ma procediamo con ordine.

22 luglio: festa di santa Maria Maddalena. La liturgia – lex orandi, lex credendi diceva il francese san Prospero d’Aquitania! – per tutto il pellegrinaggio ci accompagnerà con provvidenziali carezze: niente di meglio che il ricordo della Maddalena dunque, veneratissima in Francia, patrona dei contemplativi e apostola degli apostoli, per introdurci nel variegato giardino del Carmelo gallico. Cominciamo con le «reliquie viventi» delle monache di Flavignerot, il Carmelo in cui si trasferì la comunità di Digione, fedele custode del messaggio e delle spoglie di S. Elisabetta della Trinità. Vi arriviamo per i vespri e con le monache ci troviamo a cantare l’inno di Efesini 1, precisamente l’inno da cui Elisabetta trasse il suo programma di vita: In laudem gloriae.

23 luglio: festa di santa Brigida, patrona d’Europa. Nell’affondo contemplativo di Elisabetta, in questo «appuntamento con le anime» nell’intimo dove abitano i Tre, riconosciamo l’attualità del suo messaggio per l’uomo di oggi – specialmente europeo – alle prese col micidiale rischio di perdere il mistero e la dignità che lo abita, come abita le relazioni che intessono la sua vita e lo fanno a immagine del Dio unitrino. Per comprendere ciò ci aiutano le monache e P. Gianni, con un’allegra ricreazione e l’esposizione dei tesori di Elisabetta, fra cui le sue reliquie e il manoscritto originale dell’Elevazione alla Santissima Trinità.

24 luglio: memoria delle beate martiri di Guadalajara. Partiti da Flavignerot giungiamo ad Avon, nei pressi di Fontainebleau. Qui è la sede del postulandato/noviziato della Provincia carmelitana di Parigi, nei locali dell’ex-Petit Collège intitolato a S. Teresa di Gesù Bambino e diretto da P. Jacques di Gesù (Lucien Bunel, 1900-1945), splendida figura di carmelitano pienamente impastato nel mondo come lievito evangelico (ne scrivemmo già qui). «Mon idéal: donner ma vie pour tous ceux qui souffrent…»: l’intensa vita di preghiera carmelitana non distolse P. Jacques dallo spendersi totalmente a favore dei fratelli, vicini e lontani, come i tre rifugiati ebrei che accolse nella sua scuola, sapendo benissimo che ciò avrebbe comportato la persecuzione della Gestapo e il rischio della vita: come sarebbe effettivamente successo, con le requisizione della scuola, la cattura dei tre ragazzi e l’internamento di P. Jacques (membro attivo e coordinatore del Fronte nazionale della resistenza antinazista) nei vari campi di concentramento che sarebbero diventate le tappe del suo martirio. Morì poco dopo, infatti, per la tubercolosi ivi contratta fra stenti ed angherie santamente sopportate, testimoniando la dignità della coscienza di fronte alla barbarie nazista (beninteso, i “rossi” con le carmelitane di Guadalajara non furon da meno). È in corso la sua causa di beatificazione, e ci ha lasciato profondi scritti sull’educazione ancora tutti da tradurre in italiano. Anche dal suo messaggio riceviamo un santo scossone per il nostro oggi: proprio il giorno in cui siamo accolti ad Avon, circa 100 migranti perdono la vita al largo della Libia.

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25 luglio: festa di S. Giacomo apostolo. Dopo chilometri e chilometri di dorati campi di grano e vivaci girasoli degni di un Van Gogh, arriviamo a Lisieux; ad attenderci c’è il priore del convento di Lisieux, P. Didier-Marie Golay. Ci guida per il meraviglioso museo recentemente ristrutturato e dedicato alla nostra santa presso il suo Carmelo. Fra una reliquia e l’altra, che ammiriamo come pellegrini in Terra Santa, sfata alcuni cliché sulla vita di Teresina: che non è la santina delle rose (a meno che non intendiamo le rose rosse del sangue di Cristo), o che il nome religioso con cui si firmava non era «di Gesù Bambino e del Volto Santo», ma «di Gesù Bambino del Volto Santo»: non due ma un unico mistero unitariamente contemplato, per capire come la via della santa infanzia spirituale di cui fu maestra non fosse zuccherini e fiorellini, ma sequela audace di «sposa di Sangue», come Teresa amava definirsi. Nel suo Credo scritto col sangue e nella sua definizione di amore, fra le ultime parole da lei scritte ed esposte nel museo, ritroviamo l’eco di P. Jacques: «Aimer, c'est tout donner et se donner soi-même» (Perché t’amo, Maria!, XXII)…

Nel pomeriggio ci rechiamo al santuario di Notre-Dame de Grâce di Honfleur, ridente porto sulle coste della Normandia. Seguiamo Teresa stessa che vi si era recata, quattordicenne, per impetrare la grazia di entrare presto nel Carmelo (un’altra non piacevolissima coincidenza: ci dicono che in questi posti non si registrava un caldo così soffocante dal 1873…). Non solo: ad Honfleur, nell’intimo del santuario che sembra la stiva di una nave (e la statua della Madonna ha in grembo un vascello, insieme a Gesù Bambino), P. Angelo rievoca per noi la navigata storia del beato Dionisio della Natività (Pierre Berthelot, 1600-1638), missionario e protomartire del nostro Ordine (insieme a F. Redento della Croce). Originario di questo porticciolo normanno, dopo una gioventù avventuriera e corsara diviene cosmografo della marina portoghese; ma si converte ed entra nel Carmelo, e poco dopo ottiene la corona del martirio a Sumatra. Monito vivente, ci ricorda P. Gianni, che i santi li fa e li prepara Dio, coi modi e coi tempi imprevedibili di un artista flamboyant.

Di ritorno, sosta ai Buissonnets, la casa dove è cresciuta Teresina dai quattro anni in su. Salire coi propri piedi per la celebre scala della «grazia di Natale» è un’esperienza incomparabile per tutti (o meglio, la si potrà comparare soltanto ad Alençon con l’altra scala di Teresina, «della fiducia»: quella che lei discese da bambina invocando il nome della mamma ad ogni gradino, percorrendo i primi passi della piccola via…).

26 luglio: memoria dei santi Gioacchino ed Anna. I santi genitori di Maria sono la prima coppia della giornata che ricordiamo, la seconda è quella dei santi coniugi Martin, che andiamo a visitare nella loro casa di Alençon, 100 km a sud di Lisieux. Il luogo natale di Teresina, santuario «urbanamente diffuso» i cui locali sono: il ponte ove s’incrociarono Luigi e Zelia per la prima volta, la bottega di orologiaio, la chiesa in cui si sposarono a mezzanotte, la viuzza dove mendicava il povero di cui ebbero cura… Ma soprattutto – cuore di questo santuario sui generis – la loro camera da letto, ora ampliata e divenuta chiesa. E il letto è ancora lì, a due metri dall’altare, modernissima esposizione dell’antico adagio dei Padri per cui la croce di Cristo è talamo nuziale. Come modernissima e attualissima è la storia della terza coppia di coniugi che incontriamo in questa giornata: Paolo e Cristina, lui veterinario di successo e lei magistrato (abbiamo pubblicato un loro articolo qui). Si innamorano e si sposano dopo sei mesi e, in una conversione in tandem, decidono pazzamente di mollare tutto e stabilirsi ad Alençon; per dire con tutta la loro vita la sconvolgente avventura della santità cristiana, da cui nessuno è escluso e di cui le sante coppie cristiane, sempre più numerose, dovranno scrivere i prossimi capitoli. Ci dà lo stesso incitamento Leonia, qui ad Alençon molto venerata: la sorella sfortunata e caratteriale di Teresa (si fece visitandina anziché carmelitana come le altre), sulla cui santificazione nessuno avrebbe puntato un soldo e di cui è invece attualmente in corso la causa di beatificazione: anche qui, ci ricorda P. Gianni, l’Artista è stato imprevedibile, e c’è quindi speranza per tutti…

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Di ritorno, visita alla mastodontica basilica di Lisieux (“smontata” dalla citazione posta sulla facciata: «Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato») nella cui immensa abside bizantineggiante campeggia un Cristo glorioso, con ai lati la santa Vergine e santa Teresina. Ricordiamo allora le parole di quest’ultima a commento del vangelo ascoltato proprio il giorno precedente per la festa di san Giacomo: «La mia piccola Teresa era stata colpita dal passo del Vangelo in cui Gesù rifiuta ai figli di Zebedeo di essere, in cielo, alla sua destra e alla sua sinistra e diceva: “Mi immagino che il buon Dio abbia riservato questi posti a dei bambini piccoli...” (Ultime parole di Teresa a Celina, luglio 1897). A seguire piacevolissima cena normanna condivisa coi confratelli lexoviensi, fra canti e calici di sidro (che, scopriamo, era la bevanda locale servita anche a Teresina nel Carmelo di Lisieux)!

27 luglio: memoria del beato Tito Brandsma. Questo frate giornalista e martire del nazismo ci illumina un’ulteriore sfaccettatura della gemma del carisma carmelitano. Sfaccettatura che fa stupendamente pendant con l’esempio di pura contemplazione offertoci dalle consorelle del Carmelo di Notre-Dame de Surieu, sperduto nelle dolci campagne dell’Isère: oasi di silenzio medievale che ci accoglie per l’ultima notte prima del tratto finale del nostro pellegrinaggio (grati che il beato Jean Soreth, carmelitano normanno ricordato proprio il 28 luglio, abbia voluto aggregare all’Ordine delle sorelle che ne sarebbero divenute il cuore orante…).

Pellegrinaggio del quale riportiamo infine, insieme, tre tappe emblematiche che hanno inframmezzato (grazie alle magistrali esposizioni di P. Angelo, con un non meno magistrale intervento di Mattia, giovane architetto venuto con noi!) un santo e l’altro, un’espressione e l’altra del nostro carisma carmelitano: le cattedrali di Vézelay, Chartres e Lisieux (dove Teresina pregò per Pranzini e ricevette la sua ispirazione missionaria, mentre il suo santo padre offrì l’altare maggiore e, come vittima, se stesso…cf. Ms A 71v°). Tutte e tre queste maestose cattedrali hanno un particolare in comune: l’infinita attenzione per l’insieme e per il dettaglio che, come ci ricorda P. Fabio, è immagine dell’infinita attenzione con cui il buon Dio si prende cura sin nelle più minute pieghe della santificazione di ogni anima che sappia consegnarsi nelle sue mani. Anche P. Gianni, citando Paul Claudel, ci ricorda «questa cosa tutta mia dove Dio abita», che è la cattedrale della nostra anima (anch’essa opera collettiva che, come han sottolineato P. Damiano e P. Marco nella ricca condivisione finale, ha bisogno di una compagnia di fratelli per esser custodita e preservata!). O ancora: abbiamo visto le facciate delle tre cattedrali accomunate dalla presenza di due torri campanarie completamente, radicalmente diverse e pur giustapposte in una misteriosa, esuberante bellezza: la bellezza della realtà viva, di un carisma vivo, di fronte alle aride schematizzazioni dell’ideologia. Proprio come i caotici capitelli di Vézelay o le incantevoli vetrate di Chartres, riflesso della «multicolore sapienza di Dio» (Ef 3,10) che ci ricorda, con monumentale chiarezza, il segreto da cui siamo partiti e la luce di cui siamo venuti a bagnarci nello spettro cromatico e carismatico del nostro Carmelo. E di cui non troviamo definizione migliore che le parole di Francesco: «Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (Evangelii Gaudium n° 236).

Qui sotto le fotografie scattate dal nostro fra Gianluigi: