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di F. Iacopo Iadarola ocd

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Esattamante cinquant'anni fa S. Paolo VI, a conclusione dell'anno della fede indetto per celebrare il XIX centenario del martirio degli apostoli Pietro e Paolo, nella bellissima udienza generale del 30 ottobre 1968 invitava il Popolo di Dio – come risposta alle "moderne crisi di fede" – non tanto a escogitare rimedi psicologici ed esegetici quanto a ricordare semplicemente che la fede è una grazia. "«Non tutti, dice S. Paolo, ascoltano il Vangelo» (Rom. 10, 16). E allora, che sarà di noi? Saremo noi fra i fortunati che avranno il dono della fede? Sì, rispondiamo; ma è dono che bisogna avere prezioso, bisogna custodirlo, bisogna goderlo, bisogna viverlo. E per intanto bisogna implorarlo con la preghiera, come l’uomo del Vangelo: «Sì, credo, o Signore, ma Tu aiuta la mia incredulità» (Marc. 9, 24). Vogliamo, Figli carissimi, pregare, ad esempio, così:

PREGHIERA DEL PAPA PER CONSEGUIRE LA FEDE

Signore, io credo; io voglio credere in Te.

O Signore, fa’ che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane;

O Signore, fa’ che la mia fede sia libera; cioè abbia il concorso personale della mia adesione, accetti le rinunce ed i doveri ch’essa comporta e che esprima l’apice decisivo della mia personalità: credo in Te, O Signore;

O Signore, fa’ che la mia fede sia certa; certa d’una esteriore congruenza di prove e d’un’interiore testimonianza dello Spirito Santo, certa d’una sua luce rassicurante, d’una sua conclusione pacificante, d’una sua assimilazione riposante;

O Signore, fa’ che la mia fede sia forte, non tema le contrarietà dei problemi, onde è piena l’esperienza della nostra vita avida di luce, non tema le avversità di chi la discute; la impugna, la rifiuta, la nega; ma si rinsaldi nell’intima prova della Tua verità, resista alla fatica della critica, si corrobori nella affermazione continua sormontante le difficoltà dialettiche e spirituali, in cui si svolge la nostra temporale esistenza;

O Signore, fa’ che la mia fede sia gioiosa e dia pace e letizia al mio spirito, e lo abiliti all’orazione, con Dio e alla conversazione con gli uomini, così che irradi nel colloquio sacro e profano l’interiore beatitudine del suo fortunato possesso;

O Signore, fa’ che la mia fede sia operosa e dia alla carità le ragioni della sua espansione morale, così che sia vera amicizia con Te e sia di Te nelle opere, nelle sofferenze, nell’attesa della rivelazione finale, una continua ricerca, una continua testimonianza, un alimento continuo di speranza;

O Signore, fa’ che la mia fede sia umile e non presuma fondarsi sull’esperienza del mio pensiero e del mio sentimento; ma si arrenda alla testimonianza dello Spirito Santo, e non abbia altra migliore garanzia che nella docilità alla Tradizione e all’autorità del magistero della santa Chiesa. Amen".

Ossequio e desiderio

Questa preghiera ci sembra quanto mai attuale, e quest'approccio mistico e orante al problema (approccio pienamente ereditato dal Santo Padre Francesco in questo mese di preghiera per la Chiesa minacciata dal Divisore) ci pare quanto mai il più opportuno per non cadere nella tentazione di risolvere le odierne crisi della Chiesa (ma niente di nuovo sotto il sole!) con la filosofia, con la sociologia, con strategie ecclesiastiche di "destra" o di "sinistra" o con altri "rimedi fallaci", come li chiama Paolo VI. Un altro passo della sua udienza di cinquant'anni fa è ben calzante per l'oggi: "E vi è poi chi cerca di adattare le dottrine della fede alla mentalità moderna, facendo spesso di questa mentalità, profana o spiritualista che sia, il metodo ed il metro del pensiero religioso: lo sforzo, ben degno per sé di lode e di comprensione, operato da questo sistema, di esprimere le verità della fede in termini accessibili al linguaggio e alla mentalità del nostro tempo, ha talora ceduto al desiderio d’un più facile successo, tacendo, temperando o alterando certi «dogmi difficili». Pericoloso, anche se doveroso, tentativo; e meritevole di favorevole accoglienza soltanto allorquando alla più accessibile presentazione della dottrina esso le conserva la sua sincera integrità; «Sia il vostro discorso, dice il Signore, si, si, no, no» (Matth. 5, 37; Jac. 5, 12), escludendo ogni ambiguità artificiosa".

Parole che non van certo applicate all'Amoris laetitia, come vorrebbero alcuni incapaci di distinguere i «dogmi difficili» di cui parla Paolo VI dalla disciplina ecclesiale il cui sano sviluppo è stato invocato da Papa Francesco e dai padri sinodali. Piuttosto dobbiamo pensare, per fare un esempio di eccessivo progressismo, ad alcuni tentativi recentemente avanzati da parte di alcuni filosofi o teologi cattolici di "andare oltre la mentalità sacrificale" arrivando a proporre di rimuovere o riformulare in altri termini "più accettabili all'uomo moderno" lo sterminato patrimonio liturgico, mistico, teologico legato al sacrificio espiatorio di Cristo - ritenendo superato anche l'Atto di offerta all'Amore Misericordioso di S. Teresa di Lisieux perché contiene la parola "vittima". E' in casi come questi che ci si può rendere conto di quanto il rischio denunciato da Paolo VI meriti ancora attenzione – e seria.

O, per fare un esempio di eccessivo conservatorismo, basti bensare allo "stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica" (Benedetto XVI); pregiudizio che si sostituisce al "religioso ossequio dell'intelletto e della volontà che deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo" (Codice di Diritto Canonico, can. 752: ma questo vale anche per certi progressisti!); pregiudizio che in taluni arriva al punto di chiedere l'impeachment del Vicario di Cristo mostrando un preoccupante allineamento con una mondanissima e modernissima mentalità da funzionari d'azienda.

Con cuore carmelitano, ci sentiamo di rispondere con la stessa Teresina, rilevando la felice coincidenza della preghiera di S. Paolo VI con un celebre brano tratto da Storia di un'anima, in cui Teresina descrive la tremenda kenosi della fede che visse negli ultimi mesi della sua vita, quando il buon Dio permise che le tenebre invadessero la sua anima e vivesse sulla sua pelle tutti i dubbi e le incredulità della sua epoca, il secolo d'oro dell'ateismo. Teresina fu pervasa da tali dubbi sull'esistenza del cielo al punto di non volerne nemmeno parlare, per timore di bestemmiare. Eppure gioiva di questa prova, immensamente, perché sapeva che era una partecipazione al dolore disperato di questo mondo, per cambiarlo dal di dentro. Vittima con Cristo del male dell'uomo, assunto su di sé per ribaltarlo in amore: sapeva che non c'era e non c'è altra via per la redenzione e per la corredenzione cui ogni battezzato e chiamato. Ecco come ella reagì:

"Ah! che Gesù mi perdoni se gli ho dato dispiacere, ma Lui sa bene che pur non avendo il godimento della Fede, mi sforzo almeno di compierne le opere. Credo di aver fatto più atti di fede da un anno che non durante tutta la mia vita. Ad ogni nuova occasione di lotta, quando i miei nemici vengono a sfidarmi, mi comporto da coraggiosa, sapendo che è viltà battersi in duello, volto le spalle ai miei avversari senza degnarli di uno sguardo, ma corro verso il mio Gesù, Gli dico che sono pronta a versare fino all'ultima goccia del mio sangue per testimoniare che esiste un Cielo.

Madre amata, forse le sembra che io esageri la mia prova: in effetti se giudica dai sentimenti che esprimo nelle poesiole che ho composto quest'anno, devo sembrarle un'anima piena di consolazioni e per la quale il velo della fede si è quasi squarciato, eppure... non è più un velo per me, è un muro che si alza fino ai cieli e copre il firmamento stellato... Quando canto la felicità del Cielo, il possesso eterno di Dio, non provo alcuna gioia, perché canto semplicemente ciò che voglio credere" (Manoscritto C, 7r°-v°).

Ricordiamo ora il "religioso ossequio della volontà" del can. 752, e la preghiera succitata di S. Paolo VI:

"Signore, io credo; io voglio credere in Te".

Le stesse parole, e lo stesso corsivo con cui un Sommo Pontefice e il Piccolo Fiore hanno sottolineato il medesimo verbo volere, verbo declinato non come sforzo umano ma come grazia da implorare (Fil 2,13). I mistici ci insegnano che è il verbo del desiderio e dell'amore. I pastori ci insegnano che è il verbo dell'obbedienza e dell'ossequio. È il medesimo verbo: comprenderlo (Sap 6,12-19), viverlo è forse il segreto per essere oggi davvero credenti e credibili.

 

(per altri intimi legami fra il magistero di S. Teresina e quello di S. Paolo VI consulta questo articolo di P. Aldino Cazzago)