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Per commemorare l'inizio della Riforma maschile del Carmelo, 28 novembre 1568, riportiamo l'articolo del nostro P. Fabio Roana scritto in occasione del 450° anniversario.

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«Aspetta un poco, figlia, e vedrai grandi cose» (F 1,8).
«Sapevo bene che questa era una grazia molto più grande di quella che mi faceva nel fondare case di monache» (F 14,12).
«Sento alle volte dire degli inizi degli ordini che, essendo le fondamenta, il Signore faceva maggiori grazie a quei nostri santi del passato. Ed è così. Ma dobbiamo osservare sempre che sono fondamenta di coloro che stanno per venire. Perché se quanti viviamo ora non fossimo caduti rispetto a quelli del passato, e quanti venissero dopo di noi facessero altrettanto, l’edificio resterebbe sempre saldo» (F 4,6).
«Ora cominciamo e procurino di andare cominciando sempre di bene in meglio» (F 29,32).
«Poche anime arrivano a tanto così, ma alcune ci sono arrivate, soprattutto quelle di coloro la cui virtù e il cui spirito si dovevano diffondere nella successione dei loro figli, dando Dio ricchezza e valore ai capi nelle primizie dello spirito, secondo la maggiore o minore successione che dovevano avere la loro dottrina e il loro spirito» (FB 2,12).

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Un piccolo nuovo inizio

È una data che passa spesso inosservata. Qualcuno nota che Teresa di Gesù, pur raccontando la fondazione del primo «monastero di scalzi» (cfr. F 2; 3,16-17 e 13-14), neanche nomina Duruelo, quel «piccolo posto» («lugarcillo») dove alcuni frati pionieri hanno inaugurato la riforma del ramo maschile dell’Ordine carmelitano, considerandolo lei stessa qualcosa di provvisorio in cui «stare qualche tempo» giusto per «cominciare», con poche risorse e senza che i superiori di Castiglia che dovevano dare il loro consenso ci facessero troppo caso. Antonio de Heredia, e Giovanni di San Mattia (poi della Croce) con lui, del resto, sarebbe andato anche in un «porcile» (F 13,4), e su quel loro inizio umile e generoso entrambi si ripromettono di serbare il silenzio, anche se poi non lo rispetteranno completamente[1].

Eppure Teresa durante la sua visita di qualche mese dopo rimane edificata dallo «spirito» che trova in quella «casetta» («casita»; la Santa ci mette in guardia dall’avere «case grandi e sontuose», F 14,4), venendo a conoscenza del «modo in cui vivevano, con la mortificazione, la preghiera [oración] e il buon esempio che davano», e del «gran bene che facevano in quei villaggi», piena di «gioia interiore, sembrando[le] di vedere cominciato un inizio promettente per il nostro Ordine, a servizio di nostro Signore»; piena di «grandissima consolazione», nonostante qualche apprensione per un certo «rigore» penitenziale (F 14,11-12). E anche nei suoi frati vede un gioioso entusiasmo: in quel «piccolo posto», povero e solitario, «sembrava loro di stare in grandi diletti» (F 14,3); «Con la contentezza [che avevano], tutto si rendeva per loro poca cosa», poca fatica (F 14,8).

Il 28 novembre ricordiamo il piccolo nuovo inizio della nostra storia carmelitana, dunque. La prima domenica di avvento di 450 anni fa, «in quel portichetto di Betlemme» (F 14,6), in quel presepietto di Duruelo, «il Provinciale celebra la messa inaugurale e, in sua presenza, tre carmelitani dell’osservanza assumono la Regola primitiva corretta e approvata da Innocenzo IV. Sono i primi tre “carmelitani contemplativo apostolici”, secondo la patente concessa da Rubeo [Giovanni Battista Rossi, il priore generale dell’Ordine] il 10 agosto del 1567. Adottano, a imitazione delle scalze, nuovi cognomi: Antonio di Gesù, Giovanni della Croce e Giuseppe di Cristo»[2]. Verranno chiamati contemplativi (come vuole qui il generale), primitivi (naturalmente perché si rifanno alla Regola primitiva, non mitigata, dei carmelitani), scalzi (alla maniera dei francescani scalzi di Pietro d’Alcántara, assunta da Teresa di Gesù e poi impostasi – vedi V 30,2 e 32,10), ma anche, in tempi più recenti, teresiani…

Il giovane Giovanni della Croce, unico fra i tre, ha da poco compiuto il suo personale “noviziato teresiano” a Valladolid (tra il 10 agosto e il mese di settembre; da notare che nello stesso tempo egli già «fa da confessore e direttore spirituale della comunità» delle monache fondata proprio allora[3]) per apprendere dalla Madre e dalle figlie «tutta la nostra maniera di procedere, perché intendesse bene tutte le cose, tanto di mortificazione come dello stile di fraternità e ricreazione che abbiamo insieme, che tutto è con tale moderazione che serve solo a capire le mancanze delle sorelle e a prendere un po’ di sollievo per sopportare il rigore della Regola» (F 13,5; cfr. 10,4; su «orazione, raccoglimento, asprezza ecc.» Teresa evidentemente si rende conto di non aver bisogno di calcare la mano)[4]. E dalla Santa Giovanni è stato riconosciuto ben presto come «saggio e adatto al nostro genere di vita, e così credo che lo abbia chiamato Nostro Signore per questo», tanto da far pensare che «abbiamo un buon inizio»[5]. È lui inoltre che si è occupato della sistemazione del conventino-masseria di Duruelo in attesa dell’arrivo degli altri, non perdendo tempo a scalzarsi e a vestire il nuovo abito, di sacco, grezzo ed essenziale.

È ovvio allora che «quel santino [santico] di fra Giovanni»[6] venga considerato il primo carmelitano scalzo? In realtà bisognerà attendere il secolo successivo perché si formi questa coscienza nel nuovo Ordine e poi si consolidi sulla base di fattori più profondi rispetto alla priorità cronologica, che, nei primi tempi della riforma carmelitana, sembra attribuirsi piuttosto ad Antonio di Gesù, primo ad essere contattato da Teresa e primo superiore a Duruelo (si veda la stessa fondatrice in F 3,16; 17,14 e nella lettera a Filippo II del 4 dicembre 1577). Dalla parte della paternità sanjuanista degli scalzi (c’è da dire che il Santo, pur camminando a piedi nudi, non usa mai questo modo di riferirsi ai «primitivi del Monte Carmelo», cfr. S Prologo 9) staranno invece fattori quali «la recezione intima del carisma che riceve dalla Madre, la testimonianza esemplare della sua vita, e la forza peculiare e unica del suo magistero spirituale, elementi riconosciuti tutti in vita dalla stessa Madre fondatrice»[7].

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Una festa teresiana

Ed è proprio alla «nostra Madre» (CB 13,6), a Teresa di Gesù, che dobbiamo andare per comprendere il come e il perché della fondazione di questa nuova esperienza carmelitana maschile. Già a conclusione del Libro della vita (1565) ci lascia alcuni segni della sua apertura di orizzonti quando ci parla della missione speciale degli ordini religiosi (V 40,15) e della propria ansia di servire il Signore (V 40,20.23). Il primo a lanciare la proposta di qualche fondazione maschile al priore generale, al tempo della sua visita in Castiglia nel 1566, è il vescovo di Avila, Álvaro de Mendoza, ma «anche altre persone glielo chiesero». Giovanni Battista Rossi incoraggia Teresa a fondare nuovi monasteri femminili secondo lo spirito di quello di San Giuseppe di Avila ma per quanto riguarda dei «monasteri di frati scalzi della prima Regola», pur essendo personalmente favorevole, teme la reazione all’interno dell’Ordine (F 2,4). Lei, tuttavia, «considerando quant’era necessario che, se si facevano monasteri di monache, ci fossero frati della stessa Regola», riesce infine a convincerlo, con l’aiuto della Vergine, a darle licenza per la fondazione di due monasteri maschili (F 2,5). Ecco la prima motivazione: semplicemente gli scalzi avrebbero dovuto affiancare le scalze (anche nella forma del servizio spirituale e del governo), nella prospettiva di una loro imminente espansione, condividendone lo spirito; monache e frati sarebbero stati espressioni necessarie, in intima relazione tra loro, del medesimo carisma.

Teresa ci dice che per convincere il generale gli offre come meglio può «le ragioni per cui sarebbe gran servizio di Dio» questo allargamento all’elemento maschile. Avrà fatto leva sul desiderio condiviso di perfezione religiosa e anche sulla preoccupante scarsità di uomini che sperimenta allora la Provincia dei carmelitani di Castiglia (cfr. F 2,5). Non lo sappiamo esattamente, ma la licenza del 10 agosto del 1567 (vista la situazione “politica”, restrittiva rispetto a quella data per la fondazione di monasteri femminili, sia in quanto a condizione giuridica che a numero di case) ci può suggerire che cosa Giovanni Battista Rossi ha in mente, in seguito al dialogo con la Santa: egli pensa a «Carmelitani contemplativi», i quali «si impegnino a dir messe, pregare e cantare gli uffici divini, a dedicarsi in ore convenienti alle preghiere [oraciones], alle meditazioni e ad altri esercizi spirituali», «e anche che aiutino i prossimi che vengono offerti loro»[8]. L’aiuto al prossimo come azione apostolica lo si ritrova in una patente successiva, del 23 febbraio 1573: «che lavorino con diligenza e grande dedizione nella vigna del Signore, essendo di profitto per sé e per gli altri»[9].

La fondamentale sintonia tra il generale e la fondatrice si percepisce anche da come le Costituzioni date da lui ai «religiosi dell’Ordine di nostra Signora del Monte Carmelo della Prima Regola senza rilassamento» siano una “traduzione al maschile” di quelle preparate da lei per le monache, tanto da far quasi pensare che si tratti in realtà proprio del testo che Teresa avrebbe presentato a Giovanni Battista Rossi nell’aprile del 1567, al tempo delle prime proposte, evidentemente non troppo improvvisate[10]. Il generale, in una lettera ad Agnese di Gesù, priora di Medina, dell’8 gennaio 1569, ci conferma inoltre che i nuovi frati devono occuparsi anche del servizio spirituale delle sorelle: «Desidero sapere che siano conclusi i due monasteri di carmelitani contemplativi per servire le loro case e quelle delle nostre monache nello spirito»[11].

L’idea di coniugare lo spirito di orazione e l’azione apostolica si riflette nell’impressione favorevole che la Santa riceve dalla sua visita alla piccola comunità di Duruelo e trova radice nei suoi «desideri del bene delle anime» che le fanno persino invidiare coloro che possono «metterli in opera» (F 1,7; si noti che la fondatrice sta qui parlando dell’incontro, avvenuto nell’estate del 1566, con Alonso de Maldonado, testimone del dramma degli indios d’America, e che tra 1566 e 1567 lei scrive il Cammino di perfezione, nel cui capitolo iniziale mostra come la fondazione del monastero di San Giuseppe di Avila trovi radice nel suo zelo di fronte al fenomeno protestante in Europa). Anche le sue preoccupazioni riguardo agli eccessi nelle pratiche penitenziali hanno questo risvolto apostolico: «Era mia intenzione desiderare che entrassero buoni talenti, che per un'eccessiva asprezza si potevano spaventare»[12]. Infatti si rallegra che si sia fatta la casa a Duruelo vedendo che i suoi frati «andavano a predicare in molti luoghi che si trovano lì vicino senza nessuna dottrina» (F 14,8), memore forse ancora delle anime che nelle Indie «si perdono per mancanza di dottrina» (F 1,7). Teresa vuole uomini per la vita di orazione («eremiti contemplativi»[13]…) e insieme per la missione che ha in cuore.

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L’inizio costa a Teresa «tanto di desiderio e preghiera» (F 14,12) ma anche di opera, dato che è lei che, come una madre, si occupa di tutto: ne ha l’intuizione, persuade il generale dell’Ordine e Giovanni della Croce, procurando i permessi necessari (presso due provinciali di Castiglia) e i primi frati (Antonio e Giovanni, su cui fa un primo discernimento), provvede al luogo (la casa di Duruelo, che ispeziona e controlla), fa confezionare i nuovi abiti alle sorelle di Medina secondo le sue idee[14]… Perciò Girolamo Gracián scriverà tranquillamente: «Alla madre Teresa di Gesù – a ragione chiamata fondatrice di frati e monache –, avendo fondato alcuni monasteri di sue monache, è sembrato che non sarebbero andate avanti se non ci fossero stati frati Scalzi del medesimo Ordine che le governassero. E così ha ottenuto dal generale fra Giovanni Battista da Ravenna patente per fondare due conventi di frati e ha persuaso due padri calzati dei più santi e spirituali che c’erano, chiamati fra Antonio di Gesù Heredia, che è entrato nella Religione molto giovane e tutta la vita ha conservato la sincerità e la bontà religiosa, e fra Giovanni della Croce, la cui perfezione e il cui spirito sono stati tanto grandi, come si vede da un Breve del papa Clemente VIII per la traslazione del suo corpo da Granada [cioè Úbeda] a Segovia – che significa quasi beatificazione –, affinché si scalzassero»[15]. È quella del 28 novembre una vera festa teresiana.

La Santa scrive i suoi lieti ricordi sul primo monastero di scalzi nel 1573-1574 (F 1-19), consapevole che la storia della riforma che ha avviato tra i frati nel frattempo non è stata così facile, al punto di farle confessare: «a volte mi sarei pentita del fatto che si era iniziata se non avessi avuto fiducia nella misericordia di Dio» (F 23,12). Però qui non parliamo dei travagli interni degli scalzi, che in varia forma perdureranno a lungo, né della dolorosa rottura con Giovanni Battista Rossi (1574-1575). Oggi rimaniamo al tempo felice in cui lo stesso priore generale ha ammesso volentieri che Teresa «fa più profitto all’Ordine che tutti i frati carmelitani di Spagna; Dio le dia lunghi anni di vita»[16]. In questo 450° anniversario dell’inaugurazione della prima casa di scalzi, torniamo con devozione alle nostre origini per attingere alla fonte lo spirito teresiano-sanjuanista e la fresca gioia di cielo dell’inizio, facendo nostre esperienze come quelle di Giuliano d’Avila, il cappellano di San Giuseppe, e del chierico Gonzalo de Aranda la volta in cui sono andati «da Avila a piedi in pellegrinaggio [a Duruelo]; e ci siamo rimasti non so quanti giorni, che sembrava che stessimo nel paradiso; e così credo che sembrasse a tutti coloro che ci andavano»[17].

Sigle:

Opere di Teresa di Gesù

Libro della Vita

CV Cammino di perfezione (codice di Valladolid)

Fondazioni

 

Opere di Giovanni della Croce

Salita del Monte Carmelo

CB Cantico spirituale (seconda redazione)

FB Fiamma d’amor viva (seconda redazione)

 

Note:

[1] Crisogono di Gesù, Vita di S. Giovanni della Croce, Postulazione Generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 19842, 427; José Vicente Rodríguez, Juan de la Cruz. La biografía, San Pablo, Madrid 20163, 202-203.

[2] Domingo A. Fdez. De Mendiola, El Carmelo Teresiano en la Historia. Una nueva forma de vida contemplativa y apostólica, I, Teresianum, Roma 2008, 301.

[3] José Vicente Rodríguez, Juan de la Cruz. La biografía, cit., 174.

[4] La citazione fra parentesi è di Jerónimo Gracián de la Madre de Dios, Peregrinación de Anastasio, Teresianum, Roma 2001, 213. Ricordiamo come mortificazione e stile di fraternità siano strettamente connessi nell’ideale teresiano; lo si evince da passi come CV 7,7 o dalle parole di una figlia di Teresa come Maria di San Giuseppe (Salazar): «Piaccia a Dio, sorella mia – disse Grazia –, che serva a dar ricreazione a questi angeli, perché non c’è cosa che mi piaccia di più di vederle rallegrarsi le une con le altre, e la mia anima ne gode perché è lì che si vede l’amore, la fraternità, la grande contentezza che hanno e la mortificazione di ciascuna, non mostrando nessun genere di afflizione, anche se ridono delle sue sciocchezze; questo è il fine che nostra Madre Angela [cioè Teresa] ha avuto nel volere che, dopo pranzo e dopo merenda, si unissero con i loro lavori per rallegrarsi nel Signore, con molti altri, visto che si sa che è necessario dare sollievo allo spirito dal digiuno, dall’orazione e dal silenzio continuo» (María de San José, Libro de recreaciones, I, in Escritos espirituales, Postulación General O.C.D., Roma 1979, 56).

[5] Teresa di Gesù, lettera a don Francesco de Salcedo del settembre 1568.

[6] Teresa di Gesù, lettera a Girolamo Gracián del 15 aprile 1578.

[7] Domingo A. Fdez. De Mendiola, El Carmelo Teresiano en la Historia, I, cit., 300.

[8] Monumenta Historica Carmeli Teresiani, I, doc. 21, 67-71, in Domingo A. Fdez. De Mendiola, El Carmelo Teresiano en la Historia, I, cit., 278.

[9] Domingo A. Fdez. De Mendiola, El Carmelo Teresiano en la Historia, I, cit., 278-280.

[10] José Vicente Rodríguez, Juan de la Cruz. La biografía, cit., 160.190-191.

[11]Monumenta Historica Carmeli Teresiani, I, doc. 32, 107, nota 4, in Domingo A. Fdez. De Mendiola, El Carmelo Teresiano en la Historia, I, cit., 305, nota 76.

[12] Teresa di Gesù, lettera a padre Ambrogio Mariano del 12 dicembre 1576.

[13] Teresa di Gesù, lettera a padre Ambrogio Mariano del 21 ottobre 1576.

[14] Cfr. José Vicente Rodríguez, Juan de la Cruz. La biografía, cit., 171-172.

[15] Jerónimo Gracián de la Madre de Dios, Peregrinación de Anastasio, cit., 213.

[16] Monumenta Historica Carmeli Teresiani, II, doc. 23bis, 317-318, in Domingo A. Fdez. De Mendiola, El Carmelo Teresiano en la Historia., I, cit., 285, nota 43.

[17] Testimonianza di Giuliano d’Avila nei Procesos de Beatificación de Santa Teresa (Biblioteca Mística Carmelitana 18, 229), in Domingo A. Fdez. De Mendiola, El Carmelo Teresiano en la Historia, I, cit., 306.