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di P. Tarcisio Favaro ocd

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La domenica era una cosa bella andare a messa. Bella relativamente alla vivacità dell’esperienza della fede e anche all’età spirituale dei fedeli. Si pregava, si ascoltava, si cantava, ci si vedeva, si programmava il pomeriggio...

Poi la brusca e innaspettata frenata del virus. A casa. Ci si organizza e anche la messa viene a casa. Mi domando tuttavia se i nostri preti sono venuti a casa, con la tv e la radio, o con questi stessi mezzi ci hanno riportato in chiesa. Non che sia male, chè anzi apettiamo di ritornarci normalmente in chiesa. Tuttavia questo tempo di ritiro aveva una specificità: eravamo a casa e la messa veniva da noi.

Immagino: il papà e la mamma, responsabili del ruolo, radunano i figli; se piccoli, la cosa è facile per la novità; se grandicelli la faccenda si fa più complicata. Ma le speranze della mamma e un’occhiata decisa del padre vincono l’incertezza. Vestiti da festa o ancora in pigiama?

Ritrovarci di punto in bianco da semplici fedeli a responsabili della preghiera domenicale nella nostra famiglia ci ha trovati attenti, ma anche un po’ impreparati: come fare? Quello che lo schermo ci offriva era già una guida: ma da noi, cosa si richiedeva? Solo rispondere come già si sapeva? Poi, durante la settimana, dire il rosario? Tutto questo è certo, ci vorebbe dire il prete, ma che la messa venga a voi, proprio questo ha un significato particolare. Voi siete a casa e io sono in chiesa. Se continuasse ancora il prete, direbbe: ora la chiesa è la vostra casa, con i suoi volti, le sue pareti e la saletta dove vi trovate (sì, ma quei quadri…e nemmeno un crocifisso?). E qual è l’altare attorno a cui ora vi radunate? Non è forse la vostra tavola? Il pane che io consacro è frutto della terra e del vostro lavoro. E il vino, ugualmente (e ora c’è proprio questo pane e vino sul tavolo perché sono le undici ed è pronto per il pranzo). Alla consacrazione forse (non si sa, … è un po’ imbarazzante a casa) vi mettete in ginocchio: è la trasformazione della materia, della nostra materia, di noi, di tutto in Corpo e Sangue di Gesù. Annunciamo la tua morte Signore, proclamiano la tua resurrezione. E’ il perdono di Dio che si diffonde su tutti, dai vivi ai morti e che noi ci scambiamo con un segno di pace ( a casa si può, mica siamo contagiati). Ma se abbiamo litigato, forse pregando: perdona a noi come…noi perdoniamo, ci arrendiamo e ci diamo la mano, o scambiamo un sorriso umile e affettuoso e anche complice. Vedo che sono passato dal voi al noi, ma va bene, vale per tutti.

Ma la comunione non c’è! direte voi.

Certo che non c’è e ce ne dispiace (lasciami dire: ma si sarebbe potuto qualche volta, andando con l’autocertificazione dove si doveva, passare dal parroco e dirgli: vorrei l’Eucarestia! e forse l’avremmo piacevolmente disturbato). Tuttavia non dimenticare che comunque sei in comunione, con Lui, con i tuoi, col mondo per cui preghi: non siamo noi forse membra di quel Corpo di cui Egli è il capo? Al prete che ti presentava l’ostia dicendo: Corpo di Cristo, non rispondevi forse: Amen!? Ora non gli rispondi, perche l’ostia non te la può dare; ma ti ricordi di quel Amen. Significa: così è! Ma anche: così sia! Così sia dunque di me, come ha fatto Lui. Fatto cibo, pane: un amore che si dà, che si espone, che si distribuisce, che si fa mangiare. Lui di sicuro: così sia anche di me!

Pensa poi di quanti gesti è fatta la messa: di Parola che si proclama, di Vangelo che si ascolta, pronti e in piedi, di cultura, cioè coltivazione di persone, di offerta e di offerte, di poveri e di solidarietà, di incontro con amici, di tempo da usare come è più umano fare, di vestito da festa e non indistintamente feriale.

Una vita eucaristica.

Se non è così, la messa è ritornata in chiesa, anche se tu vi hai partecipato da casa e tu profumi ancora di candele e di incenso, assieme al tuo prete che non ti ha aiutato. Questo tempo strano del virus voleva offrirti, fra tante cose amare, anche una possibilità.