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di P. Fabio Roana ocd

cropped-cropped-m16 prom-23-6-07 am36 10p15m st102x2 s53"I pilastri della creazione": fotografia scattata nel 1995 dal telescopio Hubble. Si tratta di colonne di gas interstellare e polveri visibili nella Nebulosa Aquila

È recente la notizia che un famoso astrofisico, Stephen Hawking, dopo aver affrontato per decenni il disfacimento del suo corpo causato da una malattia degenerativa, dando grandi frutti di conoscenza scientifica, è morto. I notiziari dicono che ha cercato di unire le leggi dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande in una teoria unificata dell’universo, una sorta di “formula di Dio”, come direbbe qualcuno, anche se in realtà, in quanto ateo, sembra che lo scienziato inglese non contemplasse la necessità del trascendente.

Noi da parte nostra crediamo che questa formula, a un livello spirituale, ce l’abbia già donata l’Autore biblico, insieme a pagine splendide sul mistero dell’universo e sulla Sapienza di Dio (ma anche sulla stoltezza degli uomini), laddove ci ha mostrato che «Dio è Amore» (1Gv 4,8.16). Insomma la nostra formula è questa: Dio = Amore. Essa spiega l’origine e il fine dell’universo, di ciò che, come dice la parola stessa, è volto all’Uno, Uni-verso. Ed essa non unisce forse l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande? Proviamo a capire come insieme a uno scienziato dello spirito riconosciuto dalla Comunità ecclesiale: Giovanni della Croce.

Scorrendo la Salita del Monte Carmelo fermiamo l’attenzione su un passaggio che spiega la necessità della «notte oscura del senso», o «mortificazione degli appetiti e negazione dei gusti in tutte le cose», «per arrivare alla divina unione di Dio» (1S 4,1). Il motivo di tale necessità è che «per la stessa ragione per cui l’anima ama qualcosa, si rende incapace della pura unione di Dio e della sua trasformazione», in quanto «l’amore crea somiglianza tra chi ama ed è amato», anzi «non solo uguaglia, ma sottomette l’amante a quel che ama»; perciò «l’anima che pone la sua affezione nelle creature […] né qua [in questa vita] potrà possedere [Dio] per trasformazione pura d’amore, né là [nell’altra vita] per chiara visione» (1S 4,3), unendosi «con l’infinito essere di Dio» (1S 4,4). Naturalmente Giovanni della Croce non sta negando l’amore evangelico per il prossimo o la bontà del creato, ma sta parlando della radicale differenza tra ciò che è finito e ciò che è infinito, a cui la creatura umana è chiamata. Siccome l’amore fa diventare uguali chi ama e l’amato, l’amore verso Dio, purificato da ciò che lo limita, divinizza l’uomo. Ecco così che la creatura finita può accedere all’uguaglianza d’amore e all’unione con il Dio infinito. Questo è il fondamento di tutto il cammino che il Santo descrive nella sua opera, fino a farci gustare, per quanto è possibile in questa vita, o pregustare, in vista dell’aldilà, la perfetta realizzazione della formula Dio = Amore.

Offriamo come «traccia» di ciò che ci aspetta una pagina della Fiamma d’amor viva, laddove Giovanni della Croce descrive l’effetto “fantascientifico” che un’anima innamorata potrebbe sperimentare se trapassata nel cuore da «una freccia o dardo accesissimo di fuoco d’amore» di Dio per opera di «un serafino»:

E di questo intimo punto della ferita, che sembra stare nel mezzo del cuore dello spirito, che è dove si sente il piacere fine, chi potrà parlare come conviene? Perché l’anima sente lì come un granello di senape tanto minuscolo, vivissimo e accesissimo, che di sé invia nella circonferenza intorno vivo e acceso fuoco d’amore. Questo fuoco, nascendo dalla sostanza e dalla virtù di quel punto vivo dov’è la sostanza e la virtù dell’erba [sul ferro della freccia], sente che si diffonde sottilmente per tutte le vene spirituali e sostanziali dell’anima secondo la sua potenza e la sua forza, e in ciò lei sente riprendersi e crescere tanto l’ardore, e in questo ardore affinarsi tanto l’amore, che sembrano esserci in lei mari di fuoco amoroso che giunge in cima e in fondo alle macchine, con l’amore che riempie tutto. In ciò all’anima sembra che tutto l’universo sia un mare d’amore in cui lei è immersa, non riuscendo a vedere termine o fine dove arrivi questo amore, sentendo in sé, come abbiamo detto, il vivo punto e il centro dell’amore (FB 2,10 – cfr. 1,12: Il centro dell’anima è Dio).

L’infinitamente piccolo è reso, nell’Amore, infinitamente grande, perché Dio vuole far grande l’anima e la sua misura è l’infinito…