4. L’avvento quotidiano

di P. Marco Paolinelli ocd

‘Il mondo è in fiamme’

Quando ho ricevuto la ‘piccola richiesta’ del Provinciale, di scrivere questo contributo di Avvento per il sito della nostra Provincia, era il 29 novembre, memoria dei beati Dionisio e Redento. L’ho considerata una coincidenza significativa, perché sono in Madagascar, all’estremo occidente di quell’Oceano Indiano chiuso a oriente dall’isola in cui i due nostri confratelli hanno dato la vita per il Signore. Ho risposto dunque che avrei scritto qualcosa, e quello a cui ho subito pensato sono stati i motivi che, secondo il suo racconto, indussero S. Teresa a fondare il primo monastero della Riforma.

Li conosciamo bene: un amore bruciante per il Signore (‘le sembra che lo vogliano crocifiggere un’altra volta, non lasciandogli luogo ove posare la testa’) e una sollecitudine ansiosa per lui (il suo desiderio è di ‘aiutare il suo dolce Signore procurandogli veri amici’) e per la Chiesa Suo corpo (compito delle monache sarà quello di ‘pregare per i difensori della Chiesa, per i predicatori e per i dotti che la sostengono’) (Cammino, 1,2). Tutto questo, perché lo sguardo di Teresa, aperto a cogliere la situazione e i bisogni della Chiesa tutta intera, e del mondo tutto intero (le ‘anime’), le fa soffrire come proprie le sofferenze e le ferite della Chiesa e del mondo, delle ‘anime’.

Si guarda attorno, e vede che ‘tutto il mondo è in fiamme’. Edith Stein riprendeva questo grido di Teresa in una meditazione del 14 settembre 1939, festa dell’Esaltazione della Croce, a pochi giorni dall’inizio della seconda guerra mondiale, le cui fiamme illuminavano sinistramente il rinnovo dei voti delle monache. Ma anche in questi nostri giorni il mondo è in fiamme: le fiamme della dimenticanza di Dio o di una sua visione sfigurata, le fiamme della violenza della guerra e della persecuzione, le fiamme di un egoismo a diffusione planetaria che è pronto a calpestare e violare la vita e la dignità della persona umana, le fiamme dell’ingiustizia e della corruzione, le fiamme (penso innanzitutto alla realtà che mi circonda ma il fenomeno non è certo locale) di squilibri sociali ed economici che condannano milioni di persone alla fame e alla forzata rinuncia ad una vita più pienamente umana.

Tempo dopo l’inizio dell’esperienza di S. Giuseppe di Avila, Teresa ha occasione di sentire fra Alfonso Maldonado di ritorno dalle Indie; sente di essere unita a fra Alfonso dal fatto di avere ‘i suoi stessi desideri per la salute delle anime, ma lei provava grande invidia, perché lui li poteva mettere in pratica’ (Fondazioni, 1,7). L’incontro con fra Alfonso e le notizie sulla carente evangelizzazione delle nuove terre la lasciano ancora una volta afflitta all’estremo, ancora una volta ridotta da sentirsi ‘spezzare il cuore’. È questa sua apertura e sensibilità universale (cattolica) che S. Teresa ha lasciato in eredità alle sue figlie e figli; una sensibilità che ha le dimensioni della Chiesa tutta intera, e del mondo tutto intero; perché il mondo sono le ‘anime’, sono tutti gli uomini, ogni ‘anima’ è chiamata a diventare un membro del corpo di Cristo, e tutto il mondo ad essere ricapitolato il Lui.

Questa ampiezza della sensibilità di Teresa fa pensare alle continue esortazioni di Papa Francesco ad ‘uscire’, a portarsi nelle ‘periferie’, così come ha fatto Gesù Cristo, che ‘è andato verso tutte le periferie [...] è andato verso tutti, proprio tutti’ (intervista Svegliate il mondo!). Scriveva Edith Stein rivolgendosi alle sue consorelle claustrali, nella meditazione già citata: « Senti il gemito dei feriti sui campi di battaglia a Oriente e a Occidente? Non sei un medico né un’infermiera e non sai medicare i feriti. Sei rinchiusa nella tua cella e non puoi arrivare fino a loro. Senti il grido d’angoscia dei morenti? Vorresti essere prete e assisterli. Ti commuove il pianto delle vedove e degli orfani? Vorresti essere un angelo consolatore e aiutarli. Guarda al Crocifisso. Gli sei unita sponsalmente nella fedele osservanza dei tuoi santi voti, allora il Suo prezioso sangue diventa tuo. Unita a lui, sei presente ovunque come lo è Lui. Non solo qui o là potrai aiutare, come il medico, le infermiere, il prete. Grazie alla potenza della Croce puoi essere presente su tutti i fronti, in tutti i luoghi del dolore, ovunque ti porta la tua compassionevole carità, quella carità che sgorga dal cuore divino e che sparge il suo preziosissimo sangue ovunque – per lenire, per salvare, per redimere». Questo scriveva Edith Stein rivolgendosi alle claustrali; chi claustrale non è, è inviato a tutte le periferie, su tutti i fronti, in tutti i luoghi del dolore.

‘Quando ti abbiamo visto...?’

E l’Avvento? Mi pare ci sia uno stretto legame tra l’Avvento e la consegna ad avere uno sguardo e un cuore aperto su tutto, sul mondo intero, capace di tutto com-patire e far proprio, uno stretto legame tra l’Avvento e l’invito pressante ad uscire, ad andare ‒ o meglio, forse, ad accogliere. Perché è familiare a tutti, credo, la riflessione che tra la prima venuta di Cristo, nell’umiltà di Betlemme, e la sua ultima venuta, nella gloria dell’ultimo giorno, c’è una sua venuta intermedia, o piuttosto ci sono tante e tante sue venute intermedie. Sono quelle di cui parla il Signore nella pagina del giudizio di Matteo che la liturgia ci ha offerto solo poche domeniche fa. Quelli che sederanno alla destra del Signore saranno meravigliati, quando si sentiranno dire di averlo sfamato, dissetato, vestito, visitato, e altrettanto meravigliati saranno quelli alla sua sinistra, quando saranno rimproverati di non averlo fatto. Ma il Signore spiegherà agli uni come agli altri di essersi effettivamente presentato a loro affamato assetato nudo malato o in prigione ‒ non nella forma dell’Uomo di Nazareth, né in quella del Giudice in gloria, ma nella forma del fratello, e in particolare del fratello più misero e bisognoso. Ogni nostra giornata è piena di questi incontri col Signore che chiede il nostro aiuto; lo chiede per aiutarci, per salvarci, per farci vivere la sua vita, la vita di un Dio che viene nella periferia del nostro mondo per elevarlo a sé. Il periodo dell’Avvento deve educarci a vivere la nostra vita tutta intera come un Avvento continuo, come un andare incontro al Signore che viene nella forma del fratello. Ma è Lui che viene, e viene perché, secondo il versetto dei Proverbi citato da Teresa, deliciae meae est esse cum hominibus, è una delizia per il Signore porre la sua dimora tra le dimore degli uomini (Prov., 8, 31), e trasmettere agli uomini la grandezza e la gioia della sua vita.

I suoi discepoli sono chiamati a seguirlo; Edith Stein cita il motto di Elisabetta di Ungheria: ‘portare gioia nelle case dei poveri’. Portare la gioia, portare la Gioia che viene.