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di F. Iacopo Iadarola ocd

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Quest’anno è venuto a trovarci dal paese del Sol Levante P. Cipriano Bontacchio (classe 1935!) in occasione del suo sessantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale (che, insieme a quello di P. Rodolfo Girardello, è stato commemorato lo scorso 24 maggio ad Adro, in occasione del termine della visita pastorale del P. Provinciale). Nativo di Pezzaze (BS) ed entrato giovanissimo nel Carmelo veneto, l’anno dopo la sua ordinazione (1959) lasciò l’Italia per unirsi all’eroica epopea dei nostri missionari veneti in Giappone, cominciata nel 1951.

Qui se ne può leggere una sintesi, curata sul n° 16-17 della nostra rivista «Quaderni Carmelitani». Ora ci basti ricordare la perseveranza e la capacità di sognare dei nostri padri, che lasciarono tutto per un futuro senza ombra di garanzia se non quella della croce, e di un amore folle per Cristo «fino alla fine» (Gv 13,1) ovvero «fino ai confini della terra» (At 1,8).

I nostri missionari in Giappone, per riallacciarci al recente messaggio del Papa per la giornata missionaria mondiale, sono stati un vero esempio di quegli «uomini e donne che, in virtù del loro Battesimo, rispondono generosamente alla chiamata ad uscire dalla propria casa, dalla propria famiglia, dalla propria patria, dalla propria lingua, dalla propria Chiesa locale. Essi sono inviati alle genti, nel mondo non ancora trasfigurato dai Sacramenti di Gesù Cristo e della sua santa Chiesa. Annunciando la Parola di Dio, testimoniando il Vangelo e celebrando la vita dello Spirito chiamano a conversione, battezzano e offrono la salvezza cristiana nel rispetto della libertà personale di ognuno, in dialogo con le culture e le religioni dei popoli a cui sono inviati. La missio ad gentes, sempre necessaria alla Chiesa, contribuisce così in maniera fondamentale al processo permanente di conversione di tutti i cristiani. La fede nella Pasqua di Gesù, l’invio ecclesiale battesimale, l’uscita geografica e culturale da sé e dalla propria casa, il bisogno di salvezza dal peccato e la liberazione dal male personale e sociale esigono la missione fino agli estremi confini della terra».

E i nostri missionari veneti toccarono veramente gli estremi confini dell’estremo oriente. Arrivati nel 1947 in Cina, destinazione originaria della loro missione, dopo solo pochi anni dovettero abbandonarla per l’inasprirsi della rivoluzione maoista. Così “ripiegarono” sul vicino Giappone, in cui presto ebbe successo l’implantatio Ordinis insieme ai confratelli della Provincia lombarda (ma en passant ricordiamo che la prima presenza carmelitana in questo paese fu quella delle carmelitane di Tokyo, negli anni ‘30, grazie al provvidenziale incontro su una nave di Paul Claudel, allora ambasciatore in Giappone, con due carmelitane in viaggio verso la Francia…tra l’altro, il grande poeta francese narra che è da loro due che imparò a fare orazione).

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Raggiunta nel 1978 l’autonomia giuridica dalle province madri, da allora quella del Giappone è una Delegazione generalizia sotto la giurisdizione del P. Generale. È una piccola realtà composta da una ventina di religiosi (dei quali P. Cipriano e P. Pietro Zanchetta sono gli ultimi italiani rimasti!) come è una piccola realtà il cristianesimo in Giappone: circa l’1% della popolazione. Ma si sa che nella storia della Rivelazione le più grandi sorprese vengono sempre dalle più piccole realtà; e chissà cosa la Chiesa deve ancora aspettarsi delle deliciae meae japonicae, come san Francesco Saverio chiamava le anime giapponesi, di cui era innamorato…

Cerchiamo ora di fare capolino in questo mondo misterioso grazie al nostro caro padre Cipriano, attualmente parroco della chiesa del Sacro Cuore a Kanazawa. Quando venne eretta la Delegazione generale del Giappone incardinarsi o meno in essa era una scelta libera per i missionari veneti: Padre Cipriano in qualità di delegato generale (l’equivalente del provinciale) si sentì in dovere di incardinarsi. Da allora è stato rieletto più volte come delegato e padre formatore. Una scelta di donazione totale, nel pieno spirito paolino di farsi greco coi greci e giapponese coi giapponesi (anche nella lingua, in cui oramai fra una parola e l’altra scappano frequenti interiezioni nipponiche! Che avremo cura di tradurre…)

Padre Cipriano, quali sono i motivi che l’hanno spinta ad andare in Giappone?

C’era grande fervore in quegli anni per le missioni in generale, gli appelli di Pio XII...addirittura si vociferava che il Carmelo dovesse aprire una missione in Patagonia e questo paese mi affascinava moltissimo, sognavo le sue pianure… Dopo la mia ordinazione sono stato un anno a Roma per compiere la mia formazione e al mio rientro incontrai P. Redento Zanon di ritorno dal Giappone. Ci fece vedere foto, testimonianze della missione giapponese appena nata. Ciò che mi conquistò fu la registrazione di alcuni canti e preghiere fatte da bambini giapponesi…allora decisi di partire! E da allora non mi sono mai pentito: sono contento di essere partito...e anche ora sono contento!

Ci parli del Carmelo giapponese. Come vivete l’apostolato, la vita fraterna, la preghiera? La situazione è molto diversa da quella dei frati europei?

La vita carmelitana ovunque è la stessa. Forse per la vita fraterna ci sono un po’ più di difficoltà. Abbiamo cinque case religiose (Tokyo, Nagoya, Uji, Kanazawa, Komatsu). I nostri frati giapponesi non sono nati e cresciuti in famiglie cristiane, non hanno respirato valori cristiani e spirito evangelico dai primi anni. Quindi risentono dell’individualismo tipico della loro società e lo portano, un po’, anche dentro i conventi; anche nel modo di esercitare il potere, difficilmente concepito come servizio. Ma mi dicono che anche qui in Europa non è che l’individualismo manchi…

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Nella vita di preghiera sicuramente è possibile constatare un influsso dei metodi orientali di meditazione, come lo zazen, nel modo di vivere la nostra orazione carmelitana.

Su questo ha scritto molto P. Agostino Okumura vero? Penso al suo bel libricino, tradotto in italiano: Il gusto della preghiera (Città Nuova 1984).

Sì, è vero, un grande padre. Sono sempre stato in ottimi rapporti con P. Okumura. Ci siamo alternati varie volte alla guida della delegazione e alla formazione. Tornando alla tua domanda, il nostro apostolato è caratterizzato da una forte presenza di opere educative...abbiamo sette asili! Per noi è un ottimo modo per avvicinare le persone ed entrare in contatto con la società giapponese, che in genere stima molto le scuole e le università cattoliche. Poi qualcuno dei genitori dei bambini che frequentano le nostre scuole si converte: non molti, ma ci sono! Inoltre è presente l’Ordine secolare, per il quale esercitiamo un apostolato più specificatamente carmelitano: sui nostri santi, sul nostro carisma. Infine, ci sono ben otto monasteri di monache carmelitane, che hanno svolto e svolgono un ottimo lavoro di diffusione della spiritualità carmelitana, in particolare con le traduzioni in giapponese dei testi dei nostri santi.

C’è aspettativa per la possibile visita di papa Francesco, ventilata in almeno un paio di occasioni? Più volte ha raccontato che da giovane voleva partire missionario per il Giappone…

La Chiesa ne parla, la società non tanto. Anche perché non si sa ancora. Ma credo che sia certa, forse il prossimo autunno. Per esempio ero andato dal vescovo di Nagoya (la mia diocesi) per scegliere insieme una data per le cresime a novembre, ma mi ha detto che in quel periodo non vuole prendere impegni proprio in vista della prospettata venuta del Papa. So anche che gli è stato chiesto di venire nella nostra zona di Kanazawa, per via del beato Justo Ukon Takayama che qui visse lunghi anni.

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Ci parli di questo beato, il primo giapponese ad esser stato beatificato singolarmente (gli altri son tutti in gruppi, come i celebri martiri di Nagasaki)

Sì è stato beatificato di recente, nel 2017. È molto viva la devozione per lui, da parte dei cristiani cattolici, protestanti e anche buddisti perché era uno dei daimyo (signori feudali) più rispettati del Giappone: ha compiuto grandi opere nell’interesse della collettività come, ad esempio, il restauro del nostro castello di Kanazawa. Ha vissuto qui per 27 anni, anche se era originario di vicino Osaka, cresciuto in una famiglia cristiana. Quando cominciò la persecuzione contro i cristiani, per non rinunciare alla fede perse il suo feudo e trovò riparo, insieme alla sua famiglia, presso il signore feudale di Kanazawa che lo aveva invitato. Qui svolse un’intensa opera di evangelizzazione, anche in maniere singolari: era un maestro della famosa cerimonia del the giapponese, e pare che vi abbia introdotto alcuni elementi, ancora oggi in uso in Giappone, traendo spunto dalla liturgia eucaristica cristiana (ad esempio la purificazione del calice). Usava i costumi giapponesi per avvicinare le persone a Cristo. Era un vero samurai, fra i più nobili e temuti, e tuttavia ebbe la sapienza di mettersi al servizio non di quello o quell’altro signore, ma di Cristo stesso: accettando di seguirlo fino in fondo. Quando poi le persecuzioni divennero ancora più violente, fu costretto a scegliere la via dell’esilio e morì di stenti causati dal viaggio nelle Filippine, dove anche è molto venerato. Fu un vero e proprio martire e come tale è stato beatificato.

Quali sono le prospettive per il cristianesimo in Giappone? Che ruolo può giocarvi la spiritualità carmelitana?

I cristiani sono ancora molto pochi, ma sono ottimista. C’è ancora bisogno dell’invio di altri missionari! L’animo giapponese è un terreno difficile da lavorare. Sono molto secolarizzati, presi dalle cose “che si vedono”. Altri, specie nelle zone rurali, sono molto legati al culto degli antenati: ad abbracciare la fede cristiana sembra loro di abbandonarli. Hanno un grande senso estetico, ma dal punto di visto speculativo sono un po’ semplicistici e questo spiega il loro sincretismo. Ad esempio, parlando delle cose spirituali dicono così: c’è una montagna e per arrivare alla cima ci sono tante vie: in fondo una vale l’altra, buddhismo, shintoismo, cristianesimo.

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Allora dovremmo far loro vedere il disegno che ha fatto san Giovanni della Croce della salita al Monte Carmelo! Ho letto poi che oltre ai cristiani giapponesi, ci sono moltissimi immigrati: dalle Filippine, dal Vietnam, dall’Indonesia, addirittura dal Brasile.

È vero; due nostri padri sono indonesiani. Nella parrocchia di Kanazawa, ad esempio, celebriamo una volta al mese una messa per la comunità filippina e una per quella vietnamita. Dal Brasile sono venuti tantissimi giapponesi che erano emigrati lì nel secolo scorso e ora sono ritornati in madrepatria, ma con la fede cristiana. Nella nostra comunità a Kanazawa, inoltre, ospitiamo vari gruppi, cristiani e non, che difendono i diritti degli immigrati.

Cosa direbbe a un giovane per invogliarlo a diventare missionario in Giappone?

I cristiani in Giappone sono pochi ma ancor meno le chiese: e così nella nostra parrocchia ogni messa domenicale è piena, con circa 400 presenze…il lavoro è molto. Quest’anno ho contato i battesimo nel registro parrocchiale, solo da gennaio ad aprile sono stati 19: 9 adulti e 10 bambini… È vero che la Chiesa in Giappone è lenta nella sua crescita ma questo non è motivo di scoraggiamento anzi è uno stimolo per cercare mezzi più efficaci per penetrare nella società giapponese. Una chiesa in uscita, come ci ricorda papa Francesco, richiede conversione missionaria costante per impiantare la Chiesa dove è ancora assente. La presenza del Carmelo maschile in Giappone è incominciata con la venuta dei missionari espulsi dalla Cina comunista nel lontano 1952. Di questi, cinque scelsero il Giappone, di cui tre della Provincia veneta e due della Provincia lombarda. In seguito si aggiunsero con il passare degli anni nuove reclute della Provincia veneta arrivando fino a quattordici. Ora tutti questi pionieri, eccettuati me e P. Pietro Zanchetta, hanno ricevuto la ricompensa celeste; e la loro opera iniziata con tanto entusiasmo attende giovani generosi pronti a rispondere al mandato di Cristo: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».