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1. Ogni anima come Maria

di P. Giuseppe Furioni ocd

Quando si pensa al Natale nel Carmelo, ritornano alla mente i versi poetici di S. Teresa d’Avila e della Beata Elisabetta della Trinità, la danza di Giovanni della Croce con la statua del Bambino Gesù tra le mani o quella sua Romanza nella quale le lacrime umane del Figlio di Dio incarnato si confondono con la gioia celeste infusa nel cuore degli uomini; e ancora le pie ricreazioni di Teresa di G.B., la struggente meditazione sul mistero della Natività di Edith Stein. Nonché le mille altre rappresentazioni che si sono svolte e che si svolgono nei monasteri e nei conventi di tutto il mondo.
E per quanto riguarda l’Avvento?

Per certi versi l’Avvento nel Carmelo non ha nulla di diverso da quello che vive tutta la Chiesa attraverso la sua liturgia, e mirabilmente sintetizzato da S. Bernardo: «Conosciamo una triplice venuta del Signore... Nella prima venuta egli venne nella debolezza della carne, in questa intermedia viene nella potenza dello Spirito, nell’ultima verrà nella maestà della gloria».

Nella debolezza della carne...
Allora si fa memoria dell’incarnazione del Verbo e della trepida attesa di Maria nella casa di Nazaret. E con Teresa di Gesù Bambino si vorrebbe essere sacerdoti per poter raccontare la verità della Vergine Madre – «mortale e dolente come me ti vedo» – in modo concreto e realistico senza indulgere ad addolcimenti devozionistici. E contemplare nel mistero dell’Annunciazione la mitezza e l’umiltà della Vergine immacolata e percepirsi figlia teneramente amata: «Madre amata, io nella mia piccolezza / come te possiedo in me l’Onnipotente. / Ma perché son debole io non mi turbo: / i tesori della madre vanno ai figli / e io son figlia tua, diletta Madre. / Mie sono le tue virtù, mio è il tuo Amore! / E quando in cuore mi scende l’ostia bianca, / di riposar in te crede Gesù Agnello!» (Perché t’amo, Maria 5).
Oppure con Giovanni della Croce, nel gelido carcere di Toledo, quasi ricostruire la trepida attesa del popolo eletto descritta nelle Romanze 5 e 6, anzi risalire al cuore stesso di Dio che attende di poter donare finalmente il proprio Figlio ad una sposa che lo ami. E nell’appassionato dialogo tra il Padre e il Figlio eterno riconoscere quasi anticipato quello non meno commovente tra l’angelo Gabriele e la Vergine Maria.

Nella potenza dello Spirito...
Ma è la venuta intermedia, quella che riguarda la storia di ogni anima, quella decisiva: non per una ragione intimistica, ma perché nella vicenda personale si gioca il destino di tutto il «popolo» che è stato a lei affidato.
Nell’anima visitata dal Verbo riaccade quello che è avvenuto in Maria: il cuore che offre ospitalità a Cristo non è meno stupendo del grembo inabitato della Vergine, ricorda S. Teresa d’Avila nel suo Cammino di Perfezione.
Per il Carmelo dunque l’Avvento è una condizione stabile dell’esistenza, non solo un momento cronologicamente determinato. Si tratta di preparare l’incarnazione di Gesù in ogni anima. In una lettera ad André Chevignard, la beata Elisabetta della Trinità precisa che l’Avvento è «il tempo delle anime interiori, di quelle che vivono sempre e in ogni cosa “nascoste con Cristo in Dio”, al centro di se stesse» (Lettera 250), per custodire la possibilità dell’incontro tra Dio e ogni uomo. «Amo pensare che la vita del sacerdote (e quella della carmelitana) è un avvento che prepara l’Incarnazione nelle anime» (ibidem).
Con la consapevolezza che quest’azione preparatoria trova posto nel cuore stesso della vita della Chiesa, in quell’amore tradotto in azione che è il sacrificio – è sempre Sr. Elisabetta a parlare –, in quella orazione ecclesiale che chiede per tutti la venuta del Signore, ed è certamente efficace perché è come «una fiamma d’amore che si espande a tutte le membra del Corpo di Cristo che è la Chiesa» (ibidem).

Nella maestà della gloria
E in questa prospettiva materna-ecclesiale il Carmelo comprende il ritorno del Signore «nella maestà della gloria». Nella storia della Chiesa questa dimensione, un tempo molto viva, è stato un po’ dimenticata, o meglio si è trasformata in una questione personale, quando al momento della propria morte ciascuno incontrerà il suo Signore ed essere da lui giudicato. 
Risulta perciò particolarmente stimolante il contributo offerto da S. Teresa Benedetta della Croce in un suo breve scritto, Dialoghi notturni, in cui immagina che Ester, l’eroina della storia sacra, appaia in sogno alla Madre Priora per riflettere con lei sulla conversione di Israele, uno dei segni che la tradizione cristiana riconosce propedeutici al ritorno del Signore. Una convinzione attinta da S. Paolo che, nella lettera ai Romani, capitoli 9-11, tratta dell’elezione di Israele e poi del suo ripudio affinché possano entrare nell’alleanza anche i pagani. Per collocare poi la definitiva riconciliazione nell’orizzonte stesso della risurrezione: «Se infatti – scrive Paolo – il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti?» (Rm 11,15).

...Dai suoi finalmente accolto
Ester contempla la Chiesa nascere dal seno del suo popolo: «Dal suo cuore spuntare vidi poi, come tenero tralcio allor fiorito l’immacolata, lei, la tutta Pura, di Davide discendente». E ancora: «La pienezza di grazia vidi uscire dal Cuore di Gesù, e da lui fluire nel cuore della Vergine, e di lì traboccare in ogni membro del Corpo, quale torrente di vita», fino al momento dell’esaltazione gloriosa della Vergine. «Allora compresi – racconta Ester – che a lei ero stata unita per volere di Dio fin dall’eternità: sempre e per sempre non sarà la mia vita che un raggio della sua». Ma il popolo eletto non segue Maria: «La Chiesa, sì, è fiorita, ma il mio popolo in massa è rimasto lontano dal Signore e dalla madre sua... Nemico della Croce va vagando qua e là, senza riposo, oggetto di ludibrio e di disprezzo». Edith Stein immagina Israele come la pecora smarrita che il buon Pastore – prima dell’apparire della croce gloriosa in cielo, prima del ritorno di Elia (sono gli altri segni della parusia) – va a raccogliere «dai profondi abissi» e «stringerà al suo cuore». Perché questo possa accadere «non cesserà la Madre di pregare pel popolo suo». Non solo: «Anime cerca in aiuto a pregare; poiché solo quando Israele avrà trovato il Cristo, solo quando dai suoi verrà Egli accolto, allora ritornerà di fronte a tutti nella splendida sua magnificenza». Ma questo secondo avvento «la preghiera sola ... può impetrare». Appare allora chiaro: quello che un tempo accadde nel primo avvento dove protagonista fu la Vergine Maria, ora il compito si dilata a tutta la Chiesa, o meglio a tutti quei «cuori disponibili e aperti». 
E la carmelitana si dona così: «al tuo Israele – eccomi – offro un rifugio nel mio cuore nascostamente pregando e soffrendo per portarlo nel Cuore al Salvatore».
In questo modo il Carmelo vive l’Avvento: come Maria attende Cristo per offrirgli accoglienza e ospitalità con tutta la propria umanità; e insieme maternamente custodisce l’attesa di ogni uomo perché questi possa finalmente incontrare il suo Salvatore.