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di P. Aldino Cazzago ocd

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Dopo aver illustrato in un precedente articolo la nascita del culto mariano nei primi secoli della storia dell’Ordine Carmelitano (XIII-XV), ci soffermiamo ora a delineare il legame spirituale tra due grandi sante carmelitane e la Vergine Maria.

Santa Teresa d’Avila (1515-1582)

La prima figura è quella di santa Teresa d’Avila, riformatice dell’Ordine carmelitano. Nel 1565, in obbedienza al suo direttore spirituale, terminava di scrivere la sua autobiografia. Aveva ormai 50 anni e dal 1562 aveva intrapreso la riforma dell’Ordine carmelitano. Al momento della morte avrà fondato numerosi monasteri di monache e alcuni conventi di frati. Ella conosceva certamente lo speciale legame che da secoli univa l’Ordine carmelitano a Maria. I primi Carmelitani non si erano forse denominati come «Fratelli della Beata Vergine del Monte Carmelo»?

Il riferimento a Maria appare fin dal primo capitolo dell’autobiografia quando con la memoria torna alla sua fanciullezza: «Ricordo che quando mia madre morì, avevo poco meno di dodici anni. Appena ne compresi la gran perdita, mi portai afflitta ai piedi di una statua della Madonna e la supplicai con molte lacrime di voler farmi da madre». Fin qui il ricordo di un fatto lontano. Ciò che segue è il bilancio di quella richiesta: «Mi sembra che questa preghiera, fatta con tanta semplicità, sia stata accolta favorevolmente, perché non vi fu cosa in cui mi sia raccomandata a questa Vergine sovrana senza che ne venissi subito esaudita. Ella mi fece sua».

Alle sue consorelle ripeteva spesso cha la Vergine Maria era la vera «priora» del monastero, chiamandola affettuosamente, lei che aveva davvero la carica di priora, «la mia priora». Quando pensava alla sua riforma dell’Ordine, la voleva come un servizio reso alla Vergine e le sue monache non dovevamo mai dimenticarsi di vivere come «figlie» della Vergine Madre. Con il realismo tipico dei santi, che sanno di non valere nulla agli occhi di Dio, alle sue monache scriveva queste parole: «E voi, figliole mie [ …] ringraziate Iddio di essere le vere figlie di questa Signora, perché avendo in lei una Madre così grande, non siete costrette a vergognarvi di me, che sono tanto cattiva. Imitatela, considerate la grandezza e il vantaggio che abbiamo d’averla come Patrona». Spesso iniziava le sue lettere con le parole «Gesù Maria».

La Vergine fu anche al centro di alcune apparizioni, in particolare di quella che accadde poco prima della fondazione del monastero di San Giuseppe ad Avila, il primo monastero riformato di monache. Aiutata dallo stesso san Giuseppe, Maria, rivestiva di una veste bianca Teresa. Mentre quella vestizione le arrecava una «grandissima gioia e diletto», Maria le assicurava la sua protezione sul monastero che stava per nascere. La Vergine, scrisse, era di «una bellezza incantevole, vestita di bianco con grandissimo splendore, non abbagliante, ma soave».

Per Teresa Maria è anche l’immagine viva di quello che Dio può operare con ognuno di noi. Come la Scrittura insegna, nulla può contenere Dio, nemmeno i cieli. Dio è infinito, eppure può decidere di racchiudersi nel piccolo spazio di una sola anima. Dopo aver paragonato la propria a un castello destinato a diventare la dimora di Dio stesso, Teresa scriveva: «Se infatti allora avessi saputo, come comprendo chiaramente adesso, che in questo minuscolo palazzo dell’anima mia dimora un Re così eccelso, ritengo che non l’avrei lasciato tanto spesso così solo […]. Però che spettacolo meraviglioso vedere Colui il quale può riempire mille mondi della sua esistenza, rinchiudersi in uno spazio così piccolo! Allo stesso modo ha voluto rannicchiarsi nel grembo della Sua Santissima Madre».

Nel marzo del 1581, un anno e mezzo prima di morire, a una sua consorella, scriverà di aver «visto realizzato nell’Ordine della Vergine nostra Signora tutto ciò che desideravo». Bastano queste poche righe per capire il ruolo e l’importanza che Maria ebbe nella lunga vita della nostra santa.

Santa Teresa di Gesù Bambino (1873-1897)

Tre secoli dopo Teresa d’Avila, si affacciava alla vita del mondo e della Chiesa santa Teresa di Gesù Bambino. Questa giovane monaca carmelitana francese, che morirà a soli 24 anni, visse, pur dentro l’assoluta normalità di una vita familiare e claustrale, una straordinaria avventura di santità. Nel 1925 papa Pio XI la canonizzerà e due anni dopo la proclamerà, con san Francesco Saverio, «patrona di tutte le missioni cattoliche del mondo», lei che pur non era mai uscita dal suo monastero ma aveva vissuto uno sconfinato desiderio di annuncio della Buona Novella a tutto il mondo.

Il suo rapporto con Maria non si ammanta di quel facile sentimentalismo, frutto anche di una predicazione di stampo devozionale, che parlava della Vergine come di qualcosa di così perfetto da risultare inaccessibile e alla fine lontano dalla concreta esistenza della stragrande maggioranza dei cristiani. Con un certo coraggio a questo proposito scriveva: «Che i preti ci mostrino dunque delle virtù [di Maria] praticabili. È bene parlare delle sue prerogative, ma soprattutto bisogna poterla imitare. Ella preferisce l’imitazione piuttosto che l’ammirazione, e la sua vita è stata così semplice! Per quanto bella sia una predica sulla Santa Vergine, se si è obbligati tutto il tempo a fare: Ah!... Ah! Se ne ha abbastanza. Come mi piace cantarle: “Visibile hai reso la stretta via al cielo, praticando sempre le virtù più umili”».

In un’altra occasione affermò che avrebbe desiderato essere sacerdote per poter predicare sulla figura della Vergine: avrebbe detto «tutto e in una sola volta». Ad esempio così: «Perché una predica sulla Santa Vergine mi piaccia e mi faccia del bene, bisogna che veda la sua vita reale, non supposizioni sulla sua vita; e sono sicura che la sua vita reale doveva essere semplicissima. La presentano come inavvicinabile, bisognerebbe mostrarla imitabile, fare risaltare le sue virtù, dire che viveva di fede come noi, darne le prove con il Vangelo». La giovane carmelitana non faceva che anticipare di settant’anni il Concilio Vaticano II quando nella Lumen Gentium affermerà che Maria «avanzò nella peregrinazione della fede» (n. 58).

La maternità di Maria non fu per lei una verità astratta e buona solo per incomprensibili libri di teologia. Anche potendolo, non avrebbe mai cambiato il suo ruolo privilegiato di «figlia». Alla sorella Celina spiegava tutto ciò con questa parole: «A proposito della Madonna, bisogna che ti confidi una delle mie familiarità con lei. A volte mi trovo a dirle “Ma mia buona Santa Vergine, trovo che sono più fortunata di te, perché ti ho per Madre, ma tu, tu non hai una santa Vergine da amare … . È vero che tu sei la Madre di Gesù, ma questo Gesù ce lo hai donati a tutti! E Lui sulla Croce, ti ha donato a tutti come Madre. Così noi siamo più ricche di te, perché possediamo Gesù e anche tu ci appartieni […] ed ecco che io, povera piccola creatura, sono non la tua serva, ma la tua figlia, tu sei la Madre di Gesù e sei mia Madre”». Poi con un sottile senso dell’ironia, così concludeva: «Senza dubbio la Santa Vergine deve ridere della mia ingenuità e tuttavia quel che dico è proprio vero!». Molti cristiani di oggi che vivono spiritualmente «orfani», dovrebbero meditare a lungo le parole di questa semplice cristiana che dal 1997 Giovanni Paolo II ha voluto come la più giovane e l’ultima «dottore della Chiesa».