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di P. Fabio Roana ocd

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Clicca qui per consultare il Vangelo di questa Domenica (Mt 3,1-12).

È un urto micidiale quello con cui ci arriva la voce di Giovanni Battista, un urto che minaccia di sradicare la foresta delle nostre vite cattive, di fare piazza pulita di un mondo perverso ormai incapace di buoni frutti. Guardiamoci intorno, guardiamoci dentro: possiamo dirci al riparo dalla minaccia di questo giudizio? Qualcuno penserà che le parole più dure del Battista siano rivolte ad altri, a farisei e sadducei per esempio, sicuri di sé e incapaci di conversione. Quanto però c’è di salutare in esse per «ogni albero» da frutto (Mt 3,10; Sal 1), per ciascuno di noi!

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!», predica Giovanni (Mt 3,2). C’è un incontro che ci aspetta, un grande incontro, l’incontro con il Re celeste che il nostro cuore – che ce ne rendiamo conto o meno – attende, perché esso in fondo sa che Egli deve venire prima o poi e, se non lo sa, possa trovare da qualche parte qualcuno che glielo ricordi. Bisogna che ci prepariamo: un bagno che ci lavi e rigeneri, un vestito nuovo, un profumo che possa piacerGli, una vita migliore, magari qualcosa da offrirGli (qualche «buon frutto»)…

Santa Teresa di Gesù nella sua adolescenza ha passato come molti un periodo in cui ha cercato di farsi bella per il mondo, cedendo alle sue vanità: vestiti ricercati, cura delle mani e dei capelli, profumi, in attesa, chissà, di un principe azzurro… (Vita 2,2). Ma non è di questo che vogliamo parlare. Il vero incontro, l’incontro della vita, lo farà molti anni dopo, e addirittura vent’anni dopo essersi consacrata al Signore nel Carmelo. Certo, a quel punto il cammino per lei sarà costellato già di tante misericordie da parte di Dio, eppure la svolta avverrà quasi all’improvviso di fronte a un’«immagine … di Cristo molto piagato» (Vita 9,1).

Ecco il momento di conversione per lei risolutivo, l’incontro alla fine con l’Amore della sua vita. Anche se poi si lamenterà di non essere mai in grado di mettersi definitivamente in carreggiata, a differenza dei santi convertiti che conosceva (come per esempio Maria Maddalena e Agostino), ma di continuare a cadere sempre di nuovo, quale misera peccatrice (inizio della Vita). Teresa di Gesù in ciò manterrà un atteggiamento umile e penitente, aperto alla conversione. E non è questo l’atteggiamento a cui ci richiama Giovanni Battista? Dobbiamo sentirci tutti costantemente interpellati dalle sue parole, senza pretenderci arrivati come coloro contro i quali si scaglia con forza.

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Santa Teresa da quel “primo” incontro inizia un nuovo cammino spirituale che la porta a vivere in profondità il Mistero di Dio, nella preghiera e nella vita. «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!»: non a caso questa «madre degli spirituali» indica come primo atto di quando ci si mette in orazione (vocale) proprio quello penitenziale (Cammino di perfezione 26,1); di fronte a Dio, di fronte al Re, dobbiamo renderci conto di chi è Lui e di chi siamo noi (Vita 13; Cammino di perfezione 12-13; Castello interiore I,2). Ma l’esperienza della vicinanza del regno dei cieli ci richiama in particolare una figlia di Teresa di Gesù, proclamata santa poche settimane fa (il 16 ottobre): Elisabetta della Trinità.

Santa Elisabetta ci mostra con la sua vita e il suo insegnamento «come si può trovare il cielo sulla terra» (Ritiro), indicandoci questo segreto nell’interiorità di noi stessi; per spiegarsi si fa aiutare da un altro carmelitano: «“Il Regno dei cieli è al di dentro!…”. S. Giovanni della Croce dice che “è nella sostanza dell’anima dove non possono arrivare né il demonio né il mondo, che Dio si dà a lei. Allora tutti i suoi movimenti divengono divini e, sebbene siano di Dio, son pure egualmente suoi perché N. Signore li produce in lei e con lei”» (Ritiro, secondo giorno; citazione da Fiamma d'amor viva B 1,9).

Il tempo d’Avvento è il tempo d’attesa e preparazione di un incontro: l’incontro di Dio con l’uomo in Gesù e quindi di noi con Lui. Ma questi santi ci dicono che non si tratta di un incontro che si svolge solo nella storia e all’esterno di noi (a Betlemme duemila anni fa, nella nostra storia personale o al ritorno del Signore alla fine dei tempi), ma anche e più profondamente all’interno di noi oggi. Perciò possiamo dire che se tale attesa e tale preparazione non coinvolgono il nostro intimo, come un tempo che sia di raccoglimento amoroso, non raggiungono pienamente il loro scopo. In caso positivo, invece, “frutti di conversione” potranno nascere dentro di noi, come un cambiamento che parte veramente dal nostro cuore, e fuori di noi, come opere profondamente buone.

“Preparare la via al Signore” vuol dire anche questo e lo sapevano già bene i carmelitani dei primi secoli, come attesta il nostro più antico libro di formazione, prendendo spunto dall’inizio della vicenda biblica di Elia (1Re 17,2-4): «Duplice è il fine di questa vita. Il primo viene raggiunto con il nostro sforzo, con l’esercizio delle virtù e con l’aiuto della grazia divina: consiste nell’offrire a Dio un cuore santo e purificato da ogni macchia di peccato. Ciò accade quando siamo perfetti in Cherit, ossia siamo immersi in quell’amore di cui il Saggio afferma: “L’amore ricopre ogni colpa” [Pr 10,12b]. E perché Elia pervenisse a questa mèta gli disse: “Nasconditi preso il torrente Cherit”. Il secondo fine viene conseguito da noi per puro dono di Dio: è quello di gustare alquanto nel cuore e di sperimentare nell’animo la potenza della presenza divina e la dolcezza della gloria celeste, non soltanto dopo la morte, ma anche in questa vita. Questo significa bere al torrente della voluttà divina, come Dio promise a Elia: “Ivi berrai al torrente”» (La formazione dei primi monaci, capitolo secondo).

Riprendendo alcune espressioni del brano evangelico odierno, il carmelitano è chiamato a convertirsi, confessando i suoi peccati e lasciandosi purificare, perché s’instauri in lui il regno dei cieli; è chiamato a preparare la via perché il Signore possa a sua volta percorrerla e farsi presente, fino al profondo del suo cuore (il che equivale in realtà a prendersi cura di una via che il Signore stesso ha aperto per primo). Tutto ciò avendo come fonte, mezzo e fine l’amore (si noti il gioco tra i termini “Cherit” e “carità”).

L’amore qui è tutto, insomma. Lo insegna san Giovanni della Croce: il fuoco che da principio purifica il legno (simbolo dell’anima) da «tutti i mali e tutti i viziosi umori che l’anima non riusciva a vedere» è il medesimo «fuoco d’amore» che le provoca quell’«incendio spirituale» e quel frutto che è l’«ardente passione d’amore», che sono già i primi segni dell’«unione con Dio», quando il legno finisce per identificarsi con questo fuoco, non distinguendosi ormai più in esso (Notte oscura II 10,1-2.9; 11,1-2). È quanto possono evocarci le parole conclusive di Giovanni Battista, “l’Elia che doveva venire ed è venuto” (Mt 11,14; 17,12): «ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco»; «egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3,10.11). Questo fuoco d’amore è morte e vita insieme.

Ecco di quale genere di bagno, di vestito nuovo, di profumo e di vita fruttuosa si parlava all’inizio: si tratta del battesimo preannunciato dal Battista e della vita nuova in Cristo. Ora sappiamo come prepararci: il tempo d’Avvento ci conduca all’incontro con il Dio che è Amore.