arcobaleno

di P. Aldino Cazzago ocd

A chi non è capitato di alzarsi al mattino con la cosiddetta “luna storta” e di iniziare la giornata con un ingiustificato livello di insofferenza, che mieterà vittime tra le prime persone che si incontreranno? Chi non ha trascorso alcune ore, o un’intera giornata, in una noia mortale e ha concluso, un po’ sconsolato, di non aver fatto nulla di buono e di aver buttato via del tempo?

Per vincere la noia

All’improvviso in questa noia, per un inaspettato, e forse piccolo, accadimento, il nostro umore cambia, il nostro sguardo si rasserena e il nostro cuore si quieta. Perché è accaduto tutto ciò? Che cosa sta all’origine del cambiamento della percezione che abbiamo di noi stessi? Spesso un piccolo fatto, come il volto di un bambino che, incrociandoci, versa in noi, seppur inconsapevolmente, un po’ della gioia che abita nei suoi occhi, oppure forse un cielo che la sera prima era dato per nuvoloso e ora si presenta di un azzurro indescrivibile che, mentre ci rapisce lo sguardo, rapisce anche noi. Forse, all’origine di questo cambiamento del nostro animo, vi è, invece, il semplice riaffiorare di una gioia, recente o passata, che ci ha portato per così dire «fuori dal tempo» e anche oggi il suo solo ricordo è capace di farci rivivere la stessa realtà.

Nel film che Andrej Tarkovskij ha dedicato ad Andrej Rublev, il grande iconografo russo del XV secolo, una scena illustra, almeno in parte, quanto abbiamo affermato. Dopo uno dei tanti dialoghi sull’arte e sul senso della vita, Andrej Rublev si rivolge  all’altro grande iconografo Teofane il Greco: «Lo sai anche tu, certi giorni non ti riesce nulla, oppure sei stanco e sfinito, e niente di dà sollievo, e all’improvviso nella folla incontri uno sguardo semplice, uno sguardo umano, ed è come se avessi ricevuto la comunione e subito tutto è più facile».

Più frequentemente di quanto immaginiamo, a riscattare un noioso scorrere del tempo, è sufficiente un’imprevista scintilla di bellezza, anche solo quella di un inaspettato sorriso, che irrompe e attraversa, illuminandolo, il  nostro guardare, il nostro io. «L’occhio, si legge nel libro del Siracide, desidera grazia e bellezza» (40,22). E il Salmista non è forse testimone dello stesso incontro di sguardi quando esclama che il Signore salva con «la luce del (suo) volto» (cfr. Sal 44,4)?

Da queste semplici osservazioni è facile ricavare alcune riflessioni sulla bellezza.

Educare lo sguardo

Come ha scritto Sergio Givone, nel suo manifestarsi la bellezza è «un’evidenza prima che non ha neppure bisogno di essere definita. Quando c’è, c’è». Nel suo esserci la bellezza non dipende dall’uomo. A questi spetta solo riconoscerla o, come si dice, “accusarne” la presenza. Davanti ad un tramonto con le sue straordinarie variazioni di rosso c’è che si commuove e chi resta indifferente.

Oggiun nuovo fenomeno ha preso il sopravvento. Accanto a  una tradizionale e malata voracità del mangiare, si va sempre più sviluppando un’inedita e malata, voracità dello sguardo. I nostri occhi ‘trangugiano’ ininterrottamente immagini che si depositano velocemente nella nostra mente e altrettanto velocemente sono coperte da quelle successive. Immateriali strati di immagini vengono così  a occupare pesantemente il nostro animo. Forse è giunto il momento di una pedagogia e di un’ascesi dello sguardo e, possiamo aggiungere, dell’ascolto se vogliamo ancora poter dire  di aver goduto di una bella musica o essere stupiti dall’armonia e dalla bellezza di un cinguettio di uccelli, mentre attraversiamo un bosco. È quasi superfluo dire che a questo proposito la scuola ha una responsabilità educativa insostituibile. Franz Kafka ha scritto che «chi conserva la facoltà di vedere la bellezza non invecchia mai».

Lungo i secoli i canoni di valutazione della bellezza sono spesso cambiati e tuttavia, sotto le loro svariate e a volte contraddittorie forme, l’uomo è sempre andato e sempre andrà alla ricerca della bellezza. Esattamente cent’anni fa Claude Debussy scriveva al musicista russo Igor Stravinskij: «Chiudere le finestre alla bellezza è contro la ragione e distrugge il vero significato della vita» (lettera del 15 ottobre 1915).

bambina

Un tempo salvato

La bellezza, offrendoci sprazzi di luce e di gioia, ha la capacità di riscattare il tempo che, scorrendo inesorabilmente, getta nella dimensione del passato tutto ciò che incontra (avvenimenti, cose, persone, parole). Parafrasando Dostoevskij, si potrebbe dire che «la bellezza salva il tempo». Che cos’è un museo d’arte se non il luogo dove la bellezza, nelle sue varie manifestazioni, ha avuto il sopravvento sul tempo che passa? E chi sono gli artisti se non uomini grazie ai quali la bellezza è stata capace di squarciare la trama del tempo, spesso incolore e carica di dolore e di immettere in esso la traccia della sua presenza, il respiro dell’infinito e dell’eterno. «Tutto ciò che ha  qualche rapporto con la bellezza, ha scritto Simone Weil, deve essere sottratto al corso del tempo. La bellezza è l’eternità in questo mondo». In alcuni fogli di appunti, stesi quando è ormai avanti con gli anni, Chagall annotava: «Io non vivo alla giornata, ma mi attraversano i venti dell’eternità, i problemi del tempo mi passano attraverso. Ogni giorno afferro il pennello, la penna». I suoi capolavori, pur nati in un preciso e difficile contesto storico, non sono forse testimonianza di un animo che si è lasciato muove e attraversare dai «venti dell’eternità»?  

Poiché la bellezza è uno dei trascendentali di Dio, senza forzare il testo evangelico, possiamo affermare che  «in principio era la bellezza» e per questo fare esperienza di vera bellezza significa  sempre accedere, seppur fugacemente, a qualcosa che sa di eterno, che sta «in principio». Anche  il libro della Sapienza ricorda  che Dio è «principio e autore della bellezza» (13,3).

Un peso che innalza

Quando è autentica, la bellezza ha la capacità di possederci senza farci sentire un oggetto. Ci possiede, ci abita, colmandoci di sé e tuttavia la sua presenza non ci schiaccia. Anzi, smentendo le leggi della fisica, il suo peso, la sua presenza ci portano in alto, ci fanno volare sulle sue ali. La bellezza è qui molto vicina all’amore in tutte le sue manifestazioni. Nei suoi quadri Chagall ha spesso ritratto  l’amore che fa volare gli innamorati. Se diamo ascolto ad un altro grande russo, Pavel Florenskij, «l’amore realizzato è bellezza».

Di questa presenza, del  suo riverbero nella nostra vita vorremmo non privarcene mai e questo per la semplice ragione che la bellezza chiama, attrae  altra bellezza. Di un cibo pur buono ci si può saziare fino a esaurirne il desiderio. Lo stesso non si può dire della bellezza dopo che la si è incontrata: il desiderio di lei, anziché scemare, va sempre più crescendo.

Mentre ci possiede, la bellezza non può essere posseduta, quasi fosse un oggetto. L’unico modo per possederla è quello di contemplarla con assoluta gratuità, facendole spazio ogni volta che, anche per un breve tratto, si fa compagna della nostra vita. Certo si dà anche la possibilità di andare alla ricerca di essa.

Conclusione

«Nella bellezza – anche nelle sue manifestazioni più semplici ed elementari – noi incontriamo qualcosa che ha un valore assoluto, che esiste non per qualcosa d’altro, ma per se stesso, che con la sua stessa esistenza rende felice e soddisfa la nostra anima, anima che nella bellezza si placa e si libera dalle brame e dalle fatiche dell’esistenza». Queste parole del grande filosofo e teologo russo Vladimir Solov’ëv sintetizzano bene quanto abbiamo sottolineato fin qui.

Quando l’educazione alla bellezza diventa uno fattore stabile della formazione della persona si è anche fatto un passo in avanti nella sua educazione alla fede e, se credente, della sua fede. Padre David Maria Turoldo ha scritto che «il brutto, la categoria del brutto, non può appartenere al divino».    

Oltre mezzo secolo fa il grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar ha usato parole che ancora oggi suonano come un potente giudizio sulla nostra vita: «Chi, al suo nome [quello della bellezza], increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare».  Alla bellezza ci si educa: per questo è necessario imparare il suo alfabeto.

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