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di F. Alessandro Futia ocd

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21 dicembre, anno del Signore 2017. Come di consueto, all’approssimarsi del Natale, Papa Francesco incontra la Curia Romana nella Sala Clementina per rivolgere a tutti i collaboratori che vi lavorano i suoi auguri per le feste natalizie. Il lungo discorso, trentatré minuti circa, è incentrato sulle riflessioni del Pontefice in merito al rapporto della Curia col mondo esterno (ad extra). Essa, in quanto legata al ministero petrino, prolunga nel mondo il servizio del Papa stesso, tutto rivolto all’annuncio della buona notizia, Vangelo di Gesù Cristo. Per una lettura completa rimandiamo a questo link.

Al termine del messaggio tutti si alzano, mentre il Papa si fa porgere un libro e lo presenta come il dono di Natale che ha pensato di fare a ciascuno dei convenuti. Si tratta di un libro di teologia spirituale, dal titolo “Voglio vedere Dio”, scritto da un sacerdote carmelitano scalzo, beatificato appena un anno fa ad Avignone, padre Maria Eugenio di Gesù Bambino. Anche da lontano il libro appare alquanto voluminoso e il Papa aggiunge subito: “Ci farà bene a tutti, forse non leggendolo tutto ma cercando nell’indice quel punto che più mi interessa o del quale ho più bisogno. Spero che sia di profitto per tutti noi”.

Perché il Papa ha scelto di offrire proprio questo testo?

DRj-nTRW0AASvTONella prefazione a una vecchia edizione così scrisse il Beato Maria Eugenio: “Nel 1933 un gruppo di persone, fra cui parecchi professori di scuole secondarie, si presentò al nostro solitario convento a domandare la scienza della preghiera carmelitana”. Seguirono da parte dei frati esitazioni, rifiuti e infine la resa, mutata presto in ospitalità. Quelle persone aspiravano a penetrare più profondamente nel mistero di Dio attraverso la condivisione di una dottrina vissuta. Così padre Maria Eugenio decise di trasmettere a questi cercatori di Dio l’insegnamento dei Maestri riformatori del Carmelo attraverso delle conferenze plasmate sulla struttura del capolavoro “Il Castello interiore”, di Santa Teresa d’Avila e intrise della spiritualità della "piccola via" di Santa Teresa di Lisieux. Quello che il nostro Beato evidenziò attraverso questo lavoro fu che il dono della sete di Dio non è esclusivo di una cerchia di intellettuali, ma prescinde la condizione di partenza di ciascun uomo. “Giudeo o Greco, schiavo o libero”, ciascuno può riceverla e mettersi in cammino verso la sorgente “che scaturisce e scorre, benché sia notte” (“Que bien sé yo la fonte”, san Giovanni della Croce).

Certamente la cultura teologica è uno strumento privilegiato per servire. Il Papa, “servo dei servi di Cristo”, nel discorso summenzionato ha più volte usato l’espressione “primato diaconale” con l’intento di rimarcare l’importanza, per i collaboratori del papa, di mantenersi con lui nella “comunione del servizio della  Parola, Dio-Emmanuele che si fa uomo per amore degli uomini”. In questo santo servizio i Maestri del Carmelo riformato hanno riversato tutte le loro energie, ognuno a suo modo e secondo le proprie capacità. Santa Teresa d’Avila non fu certamente una filosofa, né una teologa, e lo stesso si può dire di Teresa di Gesù Bambino. Eppure entrambe furono assetate di conoscere e amare Dio, e diventare sante per la via assegnata loro dalla Grazia.

A proposito di “via”, il 2 dicembre scorso Papa Francesco, mentre si trovava a Dhaka a conclusione del suo viaggio apostolico in Myanmar e Bangladesh, ai sacerdoti, consacrati e seminaristi lì riuniti ha rivolto un saluto a braccio. Tra i punti principali del messaggio, l’ultimo esortava a ricercare uno spirito di gioia. La scena particolare emersa nell’esposizione del Pontefice è stata quella della piccola Teresa di Lisieux che per un certo periodo della sua vita monastica si assunse il compito di accompagnare tutte le sere al refettorio una monaca anziana, malata e poco collaborativa. Una fredda sera d’inverno, durante il breve ma arduo viaggio attraverso il chiostro, mentre svolgeva questo piccolo ufficio, Santa Teresa udì in lontananza il suono di uno strumento musicale. Presa dall’immaginazione si figurò dame danzanti coi rispettivi cavalieri, un salone illuminato, ori, mondanità. Poi vide accanto a sé la vecchina che trasportava, gemente, sola. Subito, dice Teresa, fu illuminata dal Signore coi raggi della verità e pensò che, per quanto fosse poco gradevole all’apparenza, non avrebbe mai scambiato la gioia di camminare per così breve via con la piccola monaca al suo fianco, anche se avesse potuto godere mille anni di feste di questo mondo (Storia di un’anima, Manoscritto C). Questa quotidianità sperimentata e amata fu per lei la via che le diede la più grande luce su Dio e su se stessa. La chiamò “ma petite voie” (la mia piccola via).

Sappiamo, però, che di fronte al reale, l’abitudine ci porta ad avanzare mille scuse pur di non cambiare. Si finisce per addurre a pretesto della propria infelicità il prossimo e i torti subiti, se di torti si tratta. Così il Papa, per spiegare questo atteggiamento delle “lamentele” che sta agli antipodi della linea scelta dalla piccola Teresa, ha usato nel medesimo discorso rivolto ai sacerdoti, consacrati e seminaristi, un’espressione di Santa Teresa d’Avila: “Guai a quella suora che dicesse: Mi hanno fatto un’ingiustizia!” (Cammino di perfezione 13, 1). La mormorazione è il peccato che rende amara la vita propria e altrui, punito dal Signore nel libro dell’Esodo col morso dei serpenti velenosi. La mormorazione, o pettegolezzo, è quella piaga che impedisce all’uomo di vedere le grandi opere di Dio sotto le spoglie delle piccole cose. Le piccole scelte, le piccole occasioni, i piccoli istanti che assommandosi formano una vita umana, sono questi i καιρόι (momenti salvifici) con cui Dio ci visita e se lo vogliamo ci salva. 

Il Natale di Gesù Cristo avviene di notte, nella povertà di una mangiatoia, in una regione abitata da pastori. Per "vedere Dio" bisogna incamminarsi nella notte, la propria, verso la terra dell’interiorità da cui molti fuggono credendo di essere vuoti e disadorni, oppure perchè attratti dalle novità agitantisi all’esterno di se stessi. La scienza della preghiera carmelitana a cui il Papa fa spesso riferimento con le citazioni dei nostri santi, condensata come insegnamento pratico nel libro del Beato Maria Eugenio, è una sinfonia di voci, di libertà umane intrecciate con la Volontà di Dio, unificate in una lode simile a quella degli angeli esclamanti la notte di Natale: “Gloria a Dio! Gloria a Dio!... ”