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di F. Iacopo Iadarola ocd

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Ieri si è tenuta l'udienza ai partecipanti al Giubileo della Vita Consacrata, in cui, a conclusione dell'Anno per la Vita Consacrata, Papa Francesco ha individuato i tre pilastri fondamentali su cui deve reggersi la vita di ogni religioso: profezia, prossimità e speranza. E nel commentare questi tre punti, scartando il discorso "preparato", il Sommo Pontefice si è appoggiato come di consueto al solido insegnamento della piccola Teresina.

Già lo aveva fatto, per esempio, nel discorso al raduno dei formatori di consacrati e all'incontro mondiale dei giovani consacrati e consacrate. Anche questa volta Teresa di Gesù Bambino viene citata ben due volte per delucidare il punto su cui più si sofferma il Santo Padre nel suo discorso: la prossimità. "[Siete] uomini e donne consacrate, ma non per allontanarsi dalla gente e avere tutte le comodità, no, per avvicinarsi e capire la vita dei cristiani e dei non cristiani, le sofferenze, i problemi, le tante cose che si capiscono soltanto se un uomo e una donna consacrati diventano prossimo: nella prossimità. “Ma, Padre, io sono una suora di clausura, cosa devo fare?”. Pensate a santa Teresa del Bambin Gesù, patrona delle missioni, che con il suo cuore ardente era prossima, e le lettere che riceveva dai missionari la facevano più prossima alla gente. Prossimità".
E per aiutarci a pensare a Teresa e a come visse questa prossimità, vogliamo esemplificarla con qualche testo.

Leggiamo ad esempio la lettera inviata al suo corrispondente missionario in Cina, p. Adolfo Roulland, il 9 maggio 1897 (LT 226): "Aspettando questa beata eternità, che si aprirà per noi fra poco perché la vita non dura che un giorno, lavoriamo insieme per la salvezza delle anime. Io posso fare ben poco o, meglio, assolutamente niente se sono sola; quello che mi consola è pensare che al suo fianco posso servire a qualcosa. In effetti lo zero per se stesso non ha alcun valore, ma posto accanto all'uno diviene potente; purché però si metta dal lato giusto, dopo e non prima!... È proprio là che Gesù mi ha posto e spero di restarvi sempre, seguendo lei da lontano con la preghiera e il sacrificio".

O ricordiamo queste parole di Storia di un'anima: "In fondo, Madre, io la pensavo come lei e anzi, poiché «lo zelo di un carmelitano deve incendiare il mondo», spero con la grazia del buon Dio di essere utile a più di due missionari e non potrei dimenticare di pregare per tutti, senza lasciar da parte i semplici sacerdoti la cui missione da compiere è talvolta difficile quanto quella degli apostoli che predicano agli infedeli. Insomma voglio essere figlia della Chiesa come lo era la nostra Madre Santa Teresa e pregare secondo le intenzioni del nostro Santo Padre il Papa, sapendo che le sue intenzioni abbracciano l'universo" (Manoscritto C, 33v°).

O queste altre, tratta dalla lettera a Celina del 15 agosto 1892 (LT 135): "L'apostolato della preghiera non è, per così dire, più sublime di quello della parola? La nostra missione come Carmelitane è di formare operai evangelici che salveranno milioni di anime, di cui saremo le madri!... Celina, se queste non fossero le parole stesse di Gesù, chi oserebbe crederci? Trovo che la nostra parte è assai bella! Cosa abbiamo da invidiare ai sacerdoti?... Come vorrei dirti tutto quel che penso, ma mi manca il tempo, cerca di capire tutto quel che non posso scriverti!" 

Occhi

La stessa Teresina non ha più parole per esprimere la piena che ha nel cuore di farsi prossima di tutto l'universo: da vera figlia di S. Teresa d'Avila, per la quale il fine della vita spirituale non è di farsi vezzeggiare da Dio con favori celesti, ma di essere venduti "schiavi del mondo". Inoltre, come scrisse magistralmente H. U. von Balthasar, "solo la piccola Teresa scaccia dalla contemplazione gli ultimi resti dell'interpretazione neoplatonica [del primato della vita contemplativa sulla vita attiva]. Fosse anche soltanto per questa impresa, le spetta un posto preciso nella storia della teologia. Se non in teoria, certo nella pratica, ella ha sostituito al concetto di effetto quello di fecondità, facendo per la prima volta capire chiaramente che l'azione non è semplicemente l'effetto di una contemplazione sovrabbondante [...] ma che la contemplazione è già in se stessa una forza motrice, anzi la sorgente ultima di qualsiasi fecondità, la leva decisiva di ogni reale cambiamento [...] La contemplazione non è superiore all'azione perché non deve occuparsi del lavoro [...] e neppure perché essa si occupa solamente di Dio, mentre l'azione si dedica "solo" al prossimo; ma unicamente perché, all'interno della carità della Chiesa, essa possiede un'efficacia più profonda e più feconda, tanto che Teresa non teme di paragonare la vocazione religiosa contemplativa con quella sacerdotale" (Teresa di Lisieux e Elisabetta di Digione. Sorelle nello spirito, Milano, 1974, p. 141).

E Papa Francesco, nei suoi ripetuti appelli ai religiosi di essere spiritualmente fecondi e non "zitelle", sembra avere particolarmente a cuore questo aspetto dell'insegnamento della piccola Santa sulla prossimità, con cui è armonizzato ogni apparente conflitto fra preghiera e azione, fra amore per Dio e amore per il fratello. Insegnamento che non si risolve in un astratto cronoprogramma su come bilanciare la vita contemplativa con quella attiva, ma che Teresina seppe mettere in atto in ogni attimo del quotidiano, come Francesco ricorda proseguendo nel suo discorso: "Santa Teresa di Gesù Bambino mai, mai si è lamentata del lavoro, del fastidio che le dava quella suora che doveva portare alla sala da pranzo, tutte le sere: dal coro alla sala da pranzo. Mai! Perché quella povera suora era molto anziana, quasi paralitica, camminava male, aveva dolori – anch’io la capisco! –, era anche un po’ nevrotica… Mai, mai è andata da un’altra suora a dire: “Ma questa come dà fastidio!”. Cosa faceva? La aiutava ad accomodarsi, le portava il tovagliolo, le spezzava il pane e le faceva un sorriso. Questa si chiama prossimità. Prossimità!".

Prossimità: ritorna la stessa parola con cui si aiuta un missionario dall'altro capo del mondo, o un'anziana paralitica dall'altro capo del tavolo. L'episodio ricordato dal Papa è raccontato dalla stessa Teresina nel Manoscritto C 28v°-30v°, dove aggiunge che, nell'accompagnare questa povera monaca, Suor San Pietro - con cui il Santo Padre scherzosamente si immedesima! - le sembrava di accompagnare Gesù in persona. E ciò non le era successo spontaneamente, ma aveva richiesto sacrificio e capacità di vincere la propria naturale ripugnanza. Eppure alla fine ciò le era risultato tanto dolce che il solo ricordo di questo ingrato incarico le sembrava "una brezza primaverile". E' questa, precisamente, la "mistica della vita fraterna" tanto cara a Papa Francesco, con cui si impara a guardare alla grandezza sacra del prossimo ed a scoprire Dio in ogni essere umano, sopportando le molestie del vivere insieme aggrappandosi all'amore di Dio. Il Santo Padre ne aveva già parlato diffusamente nella Evangelii Gaudium, al n°92, in cui non a caso era annotata una lunga citazione di queste medesime pagine del Manoscritto C.

Alla fine dell'Anno per la Vita Consacrata, dunque, Papa Francesco ci descrive a tutto tondo, grazie a Teresina, la grazia della prossimità, la grazia del sapersi fare prossimi. Che non è prerogativa dei buoni samaritani, o esercizio annuale per l'Anno di Misericordia, ma impegno cruciale della vita di ogni cristiano e, a maggior ragione, di ogni religioso. E' l'unica medesima grazia con cui si viene catapultati, dal chiostro e dal coro, a tutto il mondo; e, dal fratello duro od estraneo, al seno stesso di Dio.

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