di P. Marco Sgroi ocd

cristicchi

«Adesso chiudi dolcemente gli occhi e stammi ad ascoltare...

...sono solo quattro accordi ed un pugno di parole / più che perle di saggezza sono sassi di miniera / che ho scavato a fondo a mani nude in una vita intera». Con queste parole si aprono le finestre dell’anima di Simone Cristicchi e della sua Abbi cura di me, canzone in gara alla 69° edizione del Festival di Sanremo dedicato alla canzone italiana.

Festival che, come testimonia la canzone di Cristicchi – vincitore, peraltro, della 57° edizione del 2007 con il toccante brano sul disagio psichico Ti regalerò una rosa – ha ancora la capacità di stupire e di offrire al popolo italiano delle perle di non poco valore. Soprattutto in un periodo in cui la musica italiana sembri soffocare tra i ritmi della tristissima e insignificante trap dai testi improponibili e un rap costruito “a-suon-di” rime forzate e tematiche troppo banalmente abusate, le quali, nella migliore delle ipotesi, sono in grado solo di dichiarare: «Sono in giro con gli altri e siamo tutti bastardi / Siamo tutti annebbiati dal fumo e dal Bacardi» (Sfera Ebbasta feat. Quavo, Cupido). E mentre alcuni inneggiano «A scuola prendevo sei, uh, mo’ voglio un conto a sei zeri. / Tu non vali un cazzo oggi, uh, non valevi un cazzo ieri» (Gue Pequeno feat Sfera Ebbasta, Lamborghini), la canzone di Simone pianta semi di bellezza nel cuore degli italiani e, per utilizzare un’espressione cara a Clemente Rebora, fa da concime all’albero della vita. Una vita che comporta la fatica di uno sguardo profondo e serio: del cuore, delle stelle, del fiore tra l’asfalto, del«l’orchestra delle foglie che vibrano al vento». Nelle piccole cose, infatti, c’è sempre un miracolo più grande come per il chicco di grano nascosto nel campo. E per questo «La vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere / perché tutto è un miracolo tutto quello che vedi».

Abbi cura di me racconta, narra, testimonia il bel lavoro dell’esistenza, dell’essere al mondo, della ricerca del senso di ciò che sta dietro, nel terreno del passato, ma anche di ciò che è nascosto in avanti, orizzonti inattesi. Per ritrovare e cogliere la bellezza dell’attimo e di un presente che necessita urgentemente un riscatto. Così, infatti, è stato per Cristicchi in questi anni di assenza dal palco dell’Ariston e di presenza nei teatri italiani. Ha dovuto affrontare la fatica del minatore, scendere nelle profonde miniere del cuore, per far emergere le perle della fragilità, dell’accettazione, della fiducia, dell’abbandono all’altro da sé; scoprendosi, infine, bisognoso di un riscatto: la grande vittoria dell’amore sull’immensa scacchiera della vita.

Una poesia e una preghiera

Insomma come raccontava ad Avvenire – in una intervista del 27 gennaio 2019 – la canzone Abbi cura di me è innanzitutto una richiesta d’aiuto e poi una preghiera all’amore universale, che può essere indirizzata verso un padre, una madre, un figlio e anche verso Dio. Una preghiera, dunque: ecco la definizione che descrive al meglio questo brano. Una preghiera che testimonia un desiderio profondo e irrinunciabile: quello di vivere pienamente l’esperienza ardua del perdono verso se stessi e verso coloro che ci hanno ferito: «Perdona chi ti ha ferito, abbraccialo adesso / Perché l’impresa più grande è perdonare se stesso».

Ma Abbi cura di me è anche una poesia, ancor prima di essere una canzone. Da assaporare lentamente. Da far sedimentare nell’anima. E certamente, in essa, è svelata la ricerca interiore e spirituale del cantautore romano. Ricerca che ha permesso l’apertura di spazi inesplorati e inattesi come: la bellezza dell’amicizia con alcuni monaci; l’esperienza di eremitaggio; l’udienza generale con Papa Francesco; l’emozione della vera gioia riflessa negli occhi di una suora di clausura. Quest’ultima esperienza, per Simone, è stata decisiva: l’incontro di uno sguardo ripieno e abitato da una presenza che, dopo aver folgorato il cuore, ha lasciato i semi di una speranza rinnovata e di una rinascita.

Questa ricerca, inoltre, si è rivestita di concretezza. “Battezzata” come Happy next, cioè Il prossimo felice o La felicità del prossimo, si è trasformata in un documentario sulla felicità che, peraltro, ha accompagnato il brano sanremese come video-clip ufficiale, suscitando grandi emozioni. Ciò che conta, comunque, è il motore che sta dietro ai due progetti: l’amore. «L’amore è l’unica strada, è l’unico motore / È la scintilla divina che custodisci nel cuore». Afferma, infatti, Simone sempre nell’intervista per Avvenire: «Credo che occorra ritornare alle priorità della vita. Siamo invasi ogni giorno da mille progetti, da mille informazioni, mille immagini, siamo continuamente collegati e connessi con la realtà virtuale. Così si perde interesse per le grandi domande dell’esistenza. Siamo noi stessi che ci dobbiamo risvegliare e capire l’importanza della vita. In realtà c’è tanta bellezza che ci circonda, la meraviglia di esserci e di partecipare».

Il desiderio, evidentemente, è quello di una catarsi globale dell’umano, di una conversione alla bellezza e alla vita, che richiedono slancio creativo e continua protezione. Perché la felicità e l’amore sono come la luce che brilla sull’altra faccia di una lacrima, come una manciata di semi lasciata alle spalle e «come crisalidi che diventeranno farfalle». Infatti, è nella lacrima, nel seme, nella crisalide, il potere di una fecondità che attende solo di essere sprigionata, affinché ogni attimo diventi prezioso.

Insomma, tra «le montagne e il mare» bisogna lasciarsi incantare dalla poesia di questo brano di Simone Cristicchi. Un brano che apre alla dinamica del dono e dell’accoglienza e che tesse, nei cuori di chi ascolta, il tempo della vita e il tempo dell’amore: due tempi senza scadenze che intrecciandosi spalancano le porte del cuore sulla soglia dell’eternità.

È inutile perdersi in tante parole quando quelle di Abbi cura di me splendono già per la loro semplicità e purezza, per la loro immediatezza e bellezza. Una preghiera e una poesia che ogni uomo può far propria. Una canzone da custodire nel cuore; perché, in fondo, Abbi cura di me è il grido che ogni uomo si porta dentro e che spesso non riesce ad esprimere, neppure nei confronti di Dio: «Abbi cura di me / Che tutto è così fragile /Adesso apri lentamente gli occhi e stammi vicino / Perché mi trema la voce come se fossi un bambino / Ma fino all’ultimo giorno in cui potrò respirare / Tu stringimi forte e non lasciarmi andare. / Abbi cura di me».