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Miracolo dell'EucaristiaI. Il castello e la persona

Il “Castello interiore” è molto di più di un libro. Parla di chi è Dio e della dignità dell’uomo; parla della chiamata di ogni uomo alla piena comunione con la Trinità nella stanza centrale del castello.

«Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un sol diamante o di un tersissimo cristallo, nel quale vi siano molte mansioni, come molte ve ne sono in cielo.
Del resto, sorelle, se ci pensiamo bene, che cos’è l’anima del giusto se non un paradiso, dove il Signore dice di prendere le sue delizie? E allora come sarà la stanza in cui si diletta un Re così potente, così saggio, così puro, così pieno di ricchezze? No, non vi è nulla che possa paragonarsi alla grande bellezza di un’anima e alla sua immensa capacità! Il nostro intelletto, per acuto che sia, non arriverà mai a comprenderla, come non potrà mai comprendere Dio, alla cui immagine e somiglianza noi siamo stati creati.

Se ciò è vero, e non se ne può dubitare, è inutile che ci stanchiamo nel voler comprendere la bellezza del castello. Tuttavia, per avere un’idea della sua eccellenza e dignità, basta pensare che Dio dice di averlo fatto a sua immagine, benché tra il castello e Dio vi sia sempre la differenza di Creatore e creatura, essendo anche l’anima una creatura. 

Come ho detto, questo castello risulta di molte stanze, alcune poste in alto, altre in basso ed altre ai lati. Al centro, in mezzo a tutte, vi è la stanza principale, quella dove si svolgono le cose di grande segretezza tra Dio e l’anima.
Considerate bene questo paragone di cui forse Dio si compiacerà di servirsi per farvi intendere qualche cosa delle grazie che Egli si degna di accordare alle anime e la differenza che le distingue» (Castello interiore prime dimore 1,1.3).

La porta d’ingresso del castello è l’orazione, l’intrattenersi con il Signore. Teresa vuol risvegliare nell’uomo la coscienza della necessità di trattare con Dio per vivere in pienezza.

«Tornando al nostro incantevole e splendido castello, dobbiamo ora vedere il modo di potervi entrare. Sembra che dica uno sproposito, perché se il castello è la stessa anima, non si ha certo bisogno di entrarvi, perché si è già dentro. Non è forse una sciocchezza dire a uno di entrare in una stanza quando già vi sia? Però dovete sapere che vi è una grande differenza tra un modo di essere e un altro.
Per quanto io capisca, la porta per entrare in questo castello è l’orazione e la meditazione. Non dico più la mentale che la vocale, perché dove si ha orazione, occorre che vi sia pure meditazione. Non chiamo infatti orazione quella di colui che non considera con chi parla, chi è che parla, cosa domanda e a chi domanda, anche se muove molto le labbra.
Mi diceva ultimamente un gran teologo che le anime senza orazione sono come un corpo storpiato o paralitico che ha mani e piedi, ma non li può muovere.
Ve ne sono di così ammalate e talmente avvezze a vivere fra le cose esteriori, da esser refrattarie a qualsiasi cura, quasi impotenti a rientrare in se stesse. Abituate a un continuo contatto con i rettili e gli animali che stanno intorno al castello, si son fatte quasi come quelli, e non sanno più vincersi, nonostante la nobiltà della loro natura e la possibilità che hanno di trattare nientemeno che con Dio» (Castello interiore prime dimore 1,5-7).

Le dimore corrispondono alle diverse giornate del cammino per giungere alla stanza del Re; sono come sette gradi di amore per Dio e per il prossimo.

«Ritorniamo dunque al nostro castello e alle sue mansioni. Non dovete figurarvi queste mansioni le une dopo le altre, in fila, ma fissate gli occhi nel centro, che è l’appartamento o il palazzo del Re; consideratelo come il tipo di palma (palmista, pianta molto presente in Andalusia) di cui non si può mangiare il buono se non togliendo le molte foglie che lo coprono. Così qui: intorno e al di sopra della stanza centrale, ve ne sono molte altre, illuminate in ogni parte dal Sole che risiede nel mezzo. Le cose dell’anima si devono sempre considerare con ampiezza, estensione e magnificenza, senza paura di esagerare, perché la capacità dell’anima sorpassa ogni umana immaginazione.
Importa molto che un’anima di orazione, a qualunque grado sia giunta, sia lasciata libera di circolare come vuole, in alto, in basso, e ai lati, senza incantucciarla e restringerla in una stanza. Poiché Dio l’ha fatta così grande, non obblighiamola a rimanere a lungo nello stesso posto, sia pure nel proprio conoscimento.
Oh, la conoscenza di sè stessi! Intendetemi bene figlie! Esso è tanta necessario che le anime ammesse da Dio nella sua stanza, dove Lui stesso abita, non devono mai trascurarla, nonostante siano giunte tanto in alto» (Castello interiore prime dimore 2,8.11).

Lo splendore del castello, la gioia di trattare con Dio, non possono essere sperimentate da chi vive nel peccato mortale. L’uomo è stato redento da Cristo per godere della pienezza dell’amicizia di Dio.

«Prima di andare innanzi, vi prego di considerare come si trasformi questo castello meraviglioso e risplendente, questa perla orientale, quest’albero di vita piantato nelle stesse acque vive della vita che è Dio, quando s’imbratti di peccato mortale. Non vi sono tenebre così dense, né cose tanto tetre e buie, che non ne siano superate e di molto. Il Sole che gli compartiva tanta bellezza e splendore è come se più non vi fosse, perché, pur rimanendo ancora nel suo centro, l’anima tuttavia non ne partecipa più.
Conserva sempre la capacità di goderlo, come il cristallo di riflettere i raggi, ma intanto non vi è più nulla che le sia di merito; e finché dura in quello stato, non le giovano a nulla per l’acquisto della gloria neppure le sue buone opere, perché non procedendo esse da quel principio per cui la nostra virtù è virtù, voglio dire da Dio, da cui, anzi, si allontanano, non gli possono essere accette. Infatti, chi commette un peccato mortale intende di contentare, non Dio, ma il demonio; e siccome il demonio non è che tenebra, la povera anima si fa tenebra con lui.
Anime redente dal sangue di Gesù Cristo, aprite gli occhi e abbiate pietà di voi stesse!
Com’è possibile che, persuase di questa verità, non procuriate di togliere la pece che copre il vostro cristallo? Se la morte vi sorprende in questo stato, quella luce non la godrete mai più! O Gesù! Che orrore vedere un’anima priva di questo lume!» (Castello interiore prime dimore 2,1.4).

In questa esperienza mistica, Dio dona a Teresa la grazia di affermare nuovamente per la Chiesa la comunione tra Cristo e il cristiano.

«Una volta, mentre stavo recitando le Ore con la comunità, l’anima mia si sentì improvvisamente raccolta, e parve trasformarsi in uno specchio tersissimo, luminoso in ogni parte, al rovescio, ai lati e in basso. Nel suo centro mi apparve nostro Signore Gesù Cristo nel modo che sono solita vederlo, parendomi di vederlo in ogni parte della mia anima come per riflesso. E intanto lo specchio si rifletteva tutto nel Signore per una comunicazione amorosissima che non so dire.
Questa visione mi fu di grandissimo vantaggio, come tuttora mi è quando la ricordo, specialmente dopo la comunione. In un’anima in peccato mortale lo specchio si copre di una fitta nebbia e diventa nero, così che Dio non vi può più apparire né lasciarsi vedere, sebbene vi sia sempre come datore dell’essere. Negli eretici lo specchio è rotto: il che è assai peggio che se fosse oscurato. Ma è molto difficile far comprendere queste cose, perché altro è vederle e altro saperle dire. Per conto mio ne ritrassi molti vantaggi, tra cui un vivissimo dispiacere di essermi tante volte oscurata l’anima con il peccato e privata della vista di Dio. Questa visione mi sembra buona per le anime che si danno al raccoglimento, perché insegna a contemplare Dio nell’intimo di loro stesse: considerazione che colpisce di più, e con la quale si hanno frutti più grandi che non considerando il Signore fuori di noi» (Vita 40,5-6).

II. Dio è sempre presente

Dove abita Dio, dove cercarlo? L’uomo è dimora di Dio, tempio dello Spirito. Dio vuol farsi trovare dall’uomo per fargli gustare la sua presenza. L’uomo nella sua ricerca risponde all’invito di Dio.

«Considerate dunque che dentro di noi ci sia un palazzo immensamente ricco, fatto di oro e di pietre preziose, degno del gran monarca a cui appartiene.
E pensate, inoltre, come in verità è, che voi concorrete a dargli la magnificenza che ha, perché non c’è palazzo di tanta bellezza come un’anima pura e ricca di virtù. Più le sue virtù sono elevate, più le pietre preziose risplendono.
Immaginate ora che in questo palazzo abiti il gran Re che nella sua misericordia si è degnato di farsi vostro Padre assiso sopra un trono di altissimo pregio: il vostro cuore.
Non immaginiamoci vuote interiormente.
Eppure per me non è sempre stato così. Sapevo benissimo di aver un’anima, ma non ne capivo il valore, né chi l’abitava, perché le vanità della vita mi avevano bendati gli occhi per non lasciarmi vedere. Se avessi inteso, come ora, che nel piccolo palazzo dell’anima mia abita un re così grande, mi sembra che non lo avrei lasciato tanto solo, ma che di quando in quando gli avrei tenuto compagnia, e sarei stata più diligente per conservarmi senza peccati.
Nulla di più meraviglioso che vedere Colui che può riempire della sua grandezza mille e più mondi, rinchiudersi in una cosa tanto piccola! Egli è il Signore del mondo, libero di fare quel che vuole, e perciò nell’amore che ci porta, si accomoda in tutto alla nostra misura.
Dobbiamo ritirarci in noi stesse anche in mezzo alle occupazioni, essendoci sempre di gran vantaggio ricordarci di tanto in tanto, sia pure di sfuggita, dell’Ospite che abbiamo in noi, persuadendoci insieme che per parlare con Lui non occorre alzar la voce. Se ne prenderemo l’abitudine, Egli si farà sentire presente» (Cammino di perfezione 28,9-11; 29,5).

Dio è presenza viva e operante nell’uomo. Dio rende l’uomo degno della sua comunione e capace di dialogare con Lui fin dal suo nascere
(cfr. Gaudium et spes 19).

«Una volta ero raccolta con la compagnia che porto sempre nell’anima. Dio mi sembrava così presente che mi ricordai di ciò che disse S. Pietro: “Tu sei il Cristo, Figlio di Dio vivo”, perché così vivo mi stava Dio nell’anima. Questa presenza non è come nelle altre visioni: essa fortifica la fede in tal modo da non poter affatto dubitare che la SS. Trinità sia nelle anime nostre per presenza, per potenza e per essenza: verità di grandissimo vantaggio a chi l’intende. Siccome ero tutta confusa nel vedere sì eccelsa Maestà in una creatura tanto vile come l’anima mia, intesi dirmi così: “Non è vile, figliuola, perché è fatta a mia immagine”» (Relazione 54, Siviglia 1575).

L’allegria, la gioia è una delle caratteristiche della personalità di Teresa. Per lei, la radice della gioia sta nel fatto che la Trinità si compiace di abitare nel cuore dell’uomo.

O speranza mia e Padre mio, mio Creatore, mio vero Signore e Fratello, quando rifletto su ciò che dici, e cioè che le tue delizie sono nell’abitare con i figli degli uomini, la mia anima si rallegra molto. O Signore del cielo e della terra! Sono parole che non fanno perdere la fiducia a nessun peccatore! Forse, Signore, ti manca qualcuno con cui deliziarti, per cercare un verme così ributtante come son io? Quella voce al momento del battesimo di tuo Figlio dice che tu ti compiacevi in Lui (cf. Lc 3,22). Dobbiamo forse metterci tutti sullo stesso piano, Signore?

Oh, che grandissima misericordia, e che favore senza alcun nostro merito! E noi, mortali, ce ne scorderemo? — Ricordati tu, Dio mio, di tanta miseria e guarda la nostra debolezza, Tu che conosci ogni cosa.
Oh, anima mia! Considera la grande gioia e il grande amore che ha il Padre nel conoscere suo Figlio e il Figlio suo Padre; contempla l’ardore con cui lo Spirito Santo si unisce a loro, e come nessuno dei Tre possa separarsi da tanto amore e conoscenza, perché sono una cosa sola. Le tre Persone divine si conoscono, si amano e si compiacciono a vicenda. Allora, che bisogno c’è del mio amore? Perché lo vuoi, o mio Dio? Che ci guadagni con esso? — Oh, sii per sempre benedetto, mio Dio! Tutte le creature ti lodino, e con lodi senza fine, come senza fine sei tu!

Rallegrati, anima mia, che c’è chi ama il tuo Dio com’egli merita. Rallegrati che c’è chi conosce la sua bontà e potenza. Ringrazialo di averci inviato il suo unico Figlio che lo conosce così bene. Sotto la sua protezione puoi avvicinarti al tuo Dio e supplicarlo che, se egli trova in te le sue delizie, le cose della terra non t’impediscano di trovar in Lui le tue e di rallegrarti delle sue grandezze. Dato che tanto merita di essere amato e lodato, pregalo che ti dia di contribuire almeno un poco perché sia benedetto il suo nome, onde tu possa dire con verità: La mia anima, loda ed esalta il Signore (cf. Lc 1,46) » (Esclamazione 7).