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Riportiamo l'omelia del P. Generale in occasione della chiusura dell'anno teresiano, pronunciata il 14 ottobre nella Chiesa di S. Teresa, ad Avila. 

«Siamo giunti alla fine di questo anno, in cui abbiamo commemorato il quinto centenario della nascita della santa Madre Teresa, un anno ricco, intenso, pieno di eventi, incontri, emozioni. Per noi membri della famiglia teresiana, inoltre, oggi non si conclude solo un anno di celebrazioni, ma tutto un cammino di preparazione, iniziato sei anni fa, attraverso il quale abbiamo ripercorso gli scritti e il messaggio che la Madre ci ha lasciato. In questo anno sono state dette e scritte tante cose suggestive e interessanti su santa Teresa che verrebbe quasi la voglia di restare in silenzio, per assimilare ciò che abbiamo letto e ascoltato e per passare a mettere in pratica quanto abbiamo appreso: “callar y obrar”, come direbbe san Giovanni della Croce. Credo, in effetti, che questo debba essere fatto e come Ordine, nel Capitolo Generale del maggio scorso, abbiamo previsto un programma per questo sessennio, che ci permetta di far seguire alla “lectio” di Teresa una seria “meditatio” e “actio”, capaci di coinvolgere il nostro modo di vivere, di pensare e di testimoniare il carisma teresiano nella chiesa e nel mondo di oggi.

Ciò, però, non significa che non ci sia più niente da esplorare o da scoprire in Teresa, tutt’altro! L’abbondante produzione di contributi scientifici e divulgativi ci aiuta certamente nell’approfondire e aggiornare la nostra conoscenza di Teresa, ma non esaurisce la ricchezza della sua persona e della sua opera. Teresa, in certo qual modo, resta un mistero dalle profondità insondabili, di fronte al quale si continua a restare meravigliati, Teresa direbbe “espantados”, parola che contiene in sé il brivido dell’infinito e dell’incommensurabile, quel brivido che la bambina Teresa avvertiva quando ripeteva col fratello Rodrigo: “¡Para siempre, siempre, siempre!” (V 1,4).

Nel corso dei secoli tanti aspetti del multiforme ingegno di Teresa sono stati messi in luce: la maestra dell’orazione e della dottrina spirituale, la pioniera nell’analisi dell’interiorità, la donna che si libera dai condizionamenti del suo tempo, l’umanista che ridà alla persona il suo valore e la sua centralità, la comunicatrice che inventa un linguaggio originale e apre nuovi orizzonti alla lingua castigliana, per citarne solo alcuni. Ma Teresa rimane sempre al di là di tutti questi titoli e di tutte questi beni che ci ha lasciato in eredità: il segreto del suo volto rimane inafferrabile (in questo senso possiamo scusare il suo modesto ritrattista, Juan de la Miseria, per averla dipinta “brutta e cisposa”).

Perché Teresa era al tempo stesso sublime e concreta, perduta in Dio e attenta a ogni questione pratica, estroversa e amante della solitudine, dolcissima e severa, impegnata nelle battaglie di ogni giorno e con il cuore anelante alla vita eterna. Se perdessimo di vista questa tensione che attraversa tutta la sua persona, ridurremmo Teresa a una immagine piatta, statica, banale. Se scrisse e portò sempre con sé quelle parole che tutti conosciamo: “Nada te turbe, nada te espante”, è proprio perché aveva bisogno di ripetersele in continuazione, come un naufrago che, travolto dalle onde, si aggrappa all’unica tavola di salvezza che gli si offre: quella dell’abbandono in Dio. Come potremmo capire Teresa senza questa lotta, senza questa stanchezza, senza questa esperienza di essere costantemente minacciata dai gorghi dei “tiempos recios” in cui le è toccato vivere? E in questo affanno, in questa continua altalena di innalzamenti e sprofondamenti, il suo sguardo continua a scrutare l’orizzonte cercando la figura dell’Amico, dell’Amato, del Maestro, del Capitano. E quando riesce a intravederla, le sue forze si rianimano, può andare avanti ancora per un altro tratto, capisce che il lavoro non è finito, ancora non è giunto il momento di incontrarsi faccia a faccia. Ma ogni volta che sente suonare l’orologio, si rallegra perché un’altra ora della vita è passata e si è così avvicinata un po’ di più al momento in cui potrà vedere Dio (V 40,20).

“In questo modo vivo ora”: così Teresa cerca di descriverci il suo stato d’animo, la sua coscienza profonda. È su questo sfondo che dobbiamo collocare la sua opera, se non vogliamo travisarne il senso, se vogliamo trovare l’intonazione esatta con cui leggerla. E soprattutto se vogliamo imparare a vivere come lei, se vogliamo condividere non solo le sue idee, ma il suo sentire, il suo modo di essere al mondo, libera e prigioniera, impegnata e totalmente distaccata, inquieta e stabilmente in pace. Sì, effettivamente abbiamo ancora molto da imparare alla scuola della sua sapienza».