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di P. Antonio Maria Sicari ocd

SantaElisabettaUngheria

LA RICCHEZZA AL SERVIZIO DELLA POVERTà

1. Sant’Elisabetta d’Ungheria (1207-1231).

Nonostante fosse regina, s’era innamorata dell’ideale predicato da Francesco d’Assisi (allora ancora vivente): ed erano molte, allora, le principesse reali che sognavano di imitare Chiara d’Assisi, almeno come “terziarie”. Quelle che non potevano lasciare i lussuosi castelli per vivere in povertà, decidevano allora di «abitare tra le splendide mura della carità».

Così, per affrontare la piaga di una spaventosa carestia che si era abbattuta sulle sue terre, Elisabetta cominciò col fare costruire, vicino al suo castello, un ospedale dove ordinò che venissero accolti e ricoverati tutti coloro che non erano in grado di sostenersi: vi si riversarono malati, affamati, mendicanti d’ogni genere, e la regina «arrivò al punto da erogare in beneficenza i proventi dei quattro principati di suo marito e da vendere oggetti di valore e vesti preziose…».

Alla morte del marito, abbandonò i ricchi parenti, per vivere in un nuovo ospedale che aveva fatto edificare, per servire personalmente i suoi malati. Il confessore che la guidava attentamente e la sorvegliava perché non eccedesse, ogni tanto scopriva che Elisabetta aveva anche i suoi poveri nascosti: prima un bambino paralitico che soffriva di frequenti perdite intestinali e che lei teneva nella sua stessa camera, assistendolo personalmente e ripetutamente, vegliandolo notte dopo notte; poi una fanciulla lebbrosa che si teneva accanto come una figlia curandola personalmente; poi un altro bambino coperto di scabbia cui prestava i servizi più umili.

Quando Elisabetta morì, «tutta logorata dalla compassione», aveva solo ventiquattro anni, e li aveva passati quasi tutti a rivendicare la sublime cristiana dignità di tutti i poveri del suo regno. Fu canonizzata appena quattro anni dopo la sua morte, e proclamata poi «Patrona delle associazioni caritative, e di vedove, orfani, malati, mendicanti e dei perseguitati ingiustamente e di tutti i sofferenti»Ma non sorprende il fatto che qualcuno preferisca piuttosto chiamarla «La santa della giustizia!».

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800px-DBP 1980 1056 Friedrich Joseph Haass2. Servo di Dio Friedrich Joseph Haass (1780-1853).

Era di origine tedesca, ma fu invitato a esercitare la sua professione in Russia, dove divenne «Medico primario degli Ospedali delle prigioni di Mosca». Svolse la sua missione con vera e totale “misericordia per i carcerati”.

Ecco come lo ha descritto - dal vivo – F. Dostoevskij (che lo conobbe) nel suo romanzo L’idiota: «C’era, a Mosca, un vecchio signore, un generale o piuttosto un Consigliere di Stato, con un nome tedesco. Passava la sua vita a visitare la carceri e a incontrare i criminali. Tutti i condannati che partivano per la Siberia sapevano che fuori Mosca, all’altezza dei monti Vorob’ev, avrebbero ricevuto la visita del vecchio generale. Egli compiva la sua missione con la massima serietà e la massima pietà: arrivava, passava tra le file dei deportati, si fermava davanti a ciascuno e ad ognuno chiedeva quali fossero le sue necessità. Non faceva la morale a nessuno e ad ognuno diceva: “Mio caro...”. Regalava loro del denaro, e mandava loro roba di prima necessità: pezze da piedi, fasce, pantaloni. A volte portava libri spirituali e Bibbie e li distribuiva tra coloro che sapevano leggere, nella persuasione che questi li avrebbero letti anche agli altri, ad alta voce, durante il viaggio. Raramente li interrogava sul delitto commesso, tutt’al più ascoltava se il delinquente gliene parlava. Tutti i condannati erano uguali per lui; non faceva distinzioni di sorta. Parlava loro come a fratelli, ed essi finivano per trattarlo da padre. Se notava tra i deportati qualche donna con la sua creatura in braccio, le si avvicinava, accarezzava il bimbo, faceva schioccare le dita perché sorridesse. Così fece sempre, per anni e anni, fino alla morte. Tutta la Russia e tutta la Siberia, o almeno tutti i condannati, lo conoscevano».

Anche lo scrittore M. Gork’ij ne ha parlato, definendolo «l’umanista dell’azione» e paragonandolo a San Francesco, riconoscendo che entrambi hanno posseduto «l’alta felicità dell’amore». Una particolare benemerenza di Haass fu quella d’aver radunato intorno a sé molti collaboratori che si dedicavano a coltivare nelle prigioni quella «bellezza della misericordia» a cui il popolo russo è così sensibile. Morì benedetto dagli innumerevoli poveri che aveva assistito. Accanto al suo letto di morte, giunse perfino il santo Patriarca Filarete, che lo confortò con queste parole: «La tua vita è davvero piena di grazia. Piene di grazia sono le tue opere. In te si compiono le parole del Salvatore: “Beati i miti, beati gli affamati e assetati di giustizia, beati i misericordiosi, beati i puri di cuore, beati gli operatori di pace!”... Fratello mio, tu vai nel Regno dei cieli!».

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3. Beato Vladimir Ghika  (1873-1954).

BeatoVladimirGhika

Un altro “volto” che merita di essere ricordato (anche per la profondità del suo pensiero) è quello – non molto noto, ma particolarmente espressivo – di questo principe rumeno, convertito al cattolicesimo, che papa Francesco ha dichiarato martire nel 2013.

Agli inizi del tormentato secolo XX, egli – divenuto sacerdote – fondò nella sua patria (che non ne aveva mai avuti) il primo istituto cattolico dedito alle opere di carità, ispirandosi a S. Vincenzo de Paoli. Lo fece spendendo tutte le sue energie e i suoi averi per i poveri e i malati, ma anche elaborando una caratteristica «liturgia del prossimo» che divenne una costante del suo pensiero e della formazione che trasmetteva ai suoi seguaci. 

"Liturgia del prossimo"1 vuol dire che, nella visita ai poveri, bisogna celebrare “l’incontro di Gesù con Gesù”. Scriveva infatti: «Doppia e misteriosa liturgia: il povero vede Cristo venire a lui sotto le specie di colui che lo soccorre, e il benefattore vede apparire nel povero il Cristo sofferente, sul quale egli si china. Ma, per ciò stesso, si tratta di un’unica liturgia. Infatti, se il gesto è compiuto come si deve, da ambedue i lati c’è soltanto Cristo: il Cristo Salvatore viene verso il Cristo Sofferente, e ambedue si integrano nel Cristo Risorto, glorioso e benedicente».

In tal modo la liturgia eucaristica, già celebrata sull’altare, si prolunga nella visita ai poveri: non si tratta d’altro che di «dilatare la Messa nella giornata e nel mondo intero, come onde concentriche che si propagano a partire dalla comunione eucaristica del mattino…».

Perciò Vladimir, quando lo chiamavano per qualche necessità, s’incamminava pregando: «Signore, vado a trovare uno di quelli che Tu hai chiamato “altri Te stesso”. Fa’ che l’offerta che gli porto e il cuore con cui gliela donerò siano ben accolti dal mio fratello sofferente. Fa’ che il tempo che passerò accanto a lui, porti frutto di vita eterna, per lui e per me. Signore, benedicimi con la mano dei tuoi Poveri. Signore, sostienimi con lo sguardo dei tuoi Poveri. Signore, ricevi anche me, un giorno, nella santa compagnia dei tuoi Poveri».

Era questa la sua massima preferita: «Niente rende Dio così prossimo come il prossimo», e la mise in pratica fino all’ultima ora della sua vita, anche nell’orrore di un carcere comunista, dove venne gettato quando aveva ormai più di ottant’anni, e dove trascorse gli ultimi mesi sostenendo tutti i prigionieri con l’affetto, le attenzioni  e i racconti di un vecchio nonno.

Diceva loro, commentando il racconto evangelico sui discepoli di Emmaus: «Quando il giorno muore, i discepoli di Gesù possono essere riconosciuti solo dal modo in cui – come il loro Maestro – sanno «spezzare il pane», sacrificando per i fratelli il pane vivo dei propri corpi».

Note:

1 V. Ghika, Entretiens Spirituels. La Liturgie du prochain, Beauchesne, Paris 1997.