di P. Antonio Maria Sicari ocd

IN MISSIONE DI MISERICORDIA VERSO I LONTANI

PeterClaver11. San Pietro Claver (1580-1654).

Ancora giovane studente gesuita a Palma di Majorca, ascoltò l’invito del vecchio portinaio del suo convento che gli raccontava ciò che accadeva nel nuovo mondo e gli suggeriva: «Le anime degli indiani hanno un valore infinito, perché hanno lo stesso prezzo del sangue di Cristo… Va’ nelle Indie a comprare tutte quelle anime che si perdono!».

Così Pietro chiese di essere inviato a Cartagena, in Colombia, nel cui porto le navi negriere riversavano un migliaio di schiavi al mese. Egli non aveva alcuna possibilità di agire socialmente o politicamente, ma decise subito di mettersi al servizio di quei poveretti, presentandosi come «schiavo dei negri per sempre» e operando per dar loro una dignità alla quale essi non avrebbero mai potuto aspirare: la dignità di sentirsi amati.

A tutti gli schiavi egli prestava subito ogni soccorso possibile (dopo aver elemosinato a loro favore, per accumulare generi di prima necessità e di conforto). Poi, cominciando da coloro che giungevano già moribondi per lo sfinimento, impartiva una sua straordinaria catechesi affidata a grandi cartelloni, da lui stesso dipinti a colori vivacissimi, nei quali raccontava la vita e la misericordia di Gesù Crocifisso.

In seguito, con lo stesso metodo, e con altri cartelli illustrati, Pietro raccontava a tutti il Vangelo, spiegava le verità della fede cristiana e insegnava i comandamenti di Dio. Ed era convinto d’aver raggiunto davvero il cuore dei suoi poveri neri quando li udiva ripetere esattamente quella formula che egli aveva loro insegnato insistentemente, ripetutamente, piangendo di commozione: «Gesù Cristo, Figliuol di Dio, voi siete mio padre, mia madre, e tutto il mio bene. Io vi amo molto, e sento un estremo dolore di avervi offeso. Signore, io vi amo molto, molto, molto!».

Col tempo Pietro Claver imparerà anche a parlare i vari dialetti e radunerà attorno a sé numerosi catechisti, divenendo «Patrono universale delle missioni tra le popolazioni nere»

 

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2. Venerabile Marcello Candia (1916-1983).

marcello candia 0«Da ricco [imprenditore] che era, si fece povero», donando tutti i suoi averi e se stesso. Negli anni della giovinezza e della prima maturità imparò a coniugare il lavoro con una saggia amministrazione dei suoi beni e una carità sociale sempre più attenta e operosa. Poi, quando le circostanze lo portarono a stringere amicizia con alcuni missionari brasiliani, concluse: «Non basta dare un aiuto economico. Bisogna condividere con i poveri la loro vita, almeno quanto è possibile. Sarebbe troppo comodo che me ne stessi qui a fare la vita agiata e tranquilla, per poi dire: “Il superfluo lo mando là”. Io sono chiamato ad andare a vivere con loro!».

E si trasferì a Macapà dove fondò e diresse un ospedale «per i più poveri dei poveri» e un confortevole lebbrosario a Marituba, trascorrendo in Brasile gli ultimi diciotto anni della sua vita, disseminandovi «opere e opere» (case di cura, scuole, villaggi, lebbrosari, conventi, seminari, chiese, sedi di volontariato) spingendosi fino a Belo Horizonte, alle favelas di Rio de Janeiro, e ai confini con la Bolivia.

Un amico che ogni tanto andava a trovarlo in missione gli ha dato questa testimonianza: «Candia era dinamico, sicuro di sé, abituato a comandare e a parlare sempre lui. Era un uomo generoso, benefico, che aveva grandi mezzi a disposizione, ma con la coscienza di averli e di saperli usare... Ma ogni volta che tornavo in Amazzonia lo trovavo cambiato. Si era reso conto di aver bisogno di tutti per realizzare le sue aspirazioni. Era un cambiamento notevolissimo: da un uomo al centro del suo mondo, stava diventando servo di tutti... Si sentiva davvero al servizio di coloro che Dio gli faceva incontrare...». Sulle pareti della sua abitazione in Brasile aveva fatto scrivere: «Non si può condividere il Pane del cielo, se non si condivide il pane della terra».